I CONTRATTI DI SOCCIDA

Il contratto di soccida in Sardegna, molto utilizzato soprattutto in passato, era tipico di situazioni in cui il pastore non aveva mezzi sufficienti (bestiame, terra, danaro) per condurre un allevamento autonomo. Si stabiliva così un rapporto produttivo tra un proprietario dei mezzi di produzione o della maggior parte di essi e un prestatore d’opera, talvolta anche proprietario di una piccola quantità di bestiame. Il proprietario maggiore, spesso, sceglieva di sfruttare i terreni sui quali si praticava la rotazione agraria (vidazzone) oltre che sui saltus . In questi casi, la dipendenza del pastore dal socio maggiore era pressoché assoluta sia per le operazioni di acquisto o di vendita, sia nelle scelte dei pascoli, sia negli spostamenti nel territorio.
La soccida a cumoni, già presente nel Cinquecento, giunge sino ai giorni nostri. Il socio maggiore conferiva i due terzi del gregge, e il terzo rimanente veniva messo dal socio minore; il contratto aveva una durata di cinque o sei anni, allo scadere dei quali il gregge veniva diviso in parti uguali. Annualmente i frutti venivano divisi a metà, mentre le spese di gestione erano a carico del pastore. Tali spese comprendevano l’acquisto di sale, di recipienti per la mungitura e la lavorazione del formaggio; una spesa più consistente era quella relativa all’assunzione di un servo pastore  per lo svolgimento di operazioni quali la conduzione e custodia del gregge e/o per la lavorazione dei prodotti.
I contratti di soccida, in generale, avevano una data di inizio e di termine del contratto prefissati. Solitamente coincidevano con ricorrenze religiose estive; si osserva che tali date coincidono con i giorni di inizio e termine della stagione calda.

Le caratteristiche dei contratti hanno permesso alla soccida di adattarsi molto bene al passaggio dal modo di produzione feudale a quello capitalistico. In questo senso non si può parlare, come invece molti fanno, di una invariabilità delle forme produttive pastorali; invece occorre osservare il lento e graduale cambiamento che si rivela una risposta adattiva alle mutate condizioni politico-economiche. La diffusione del denaro è certamente stata una spinta verso l'assorbimento della realtà pastorale nella sfera del mercato capitalistico. D’altronde è noto che in tutto questo circolasse più facilmente nelle tasche dei pastori piuttosto che in quelle dei contadini.
La pastorizia sarda subisce l’influsso del mercato già dall’inizio dell’epoca moderna. La produzione, pertanto, è influenzata oltre che da fenomeni interni, legati all’amministrazione politica, all’organizzazione dello sfruttamento della terra e alle bizze del tempo atmosferico, anche dalla maggiore o minore domanda delle città dell’isola  e non solo.
 

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