Bacco

 

Una delle più importanti divinità della vegetazione e dei misteri orgiastici, in particolare dio della vite e del vino. La sua personalità appare come il risultato di un sincretismo tra un dio greco del vino e dei vignaioli, uno tracio di culto misterico e due o tre altri di carattere ctonio, indigeni di Creta e dell'Asia Minore. Il suo luogo di origine costituì un problema già per gli antichi, che in taluni racconti mitologici lo presentavano espressamente come un dio straniero, venuto da lontano e tardi nell'Ellade, e ricordavano ancora la resistenza opposta da principio all'introduzione del suo culto (mito di Penteo). Gli elementi essenziali che costituiscono la sua complessa figura in epoca classica provengono principalmente dalla Tracia: quivi fu credenza che il dio abitasse le cime boscose dei monti e nello stesso tempo proteggesse l'agricoltura e presiedesse a riti fondati sull'esaltante ebbrezza del vino e che le menadi, sue seguaci, si abbandonassero nella notte sulle alture a orge mistiche. Accolto in Grecia, Dioniso ricevette dai Beoti una genealogia e una vicenda mitica: ebbe per padre Zeus, per madre una mortale, Semele, figlia di Cadmo, e una nascita duplice e miracolosa, per cui tratto, ancora feto immaturo, dalle ceneri della madre, folgorata dallo splendore del divino amante, era stato cucito in una coscia del sommo dio e da essa era venuto alla luce al termine normale della gestazione. Il suo culto si diffuse via via dalla Beozia nell'Attica, nelle isole e nell'Asia, dove Dioniso avrebbe raggiunto l'India con una trionfale e fantastica spedizione celebrata dai poeti antichi, e in particolare da Nonno di Panopoli. Secondo una tradizione molto diffusa, avrebbe combattuto contro i Giganti e sposato Arianna abbandonata da Teseo.

Dio della vegetazione, aveva per attributi il pino e l'edera, presiedeva alla coltura della vite e del fico e per taluni aspetti si riallacciava alla forza naturale dell'acqua, in stretta unione con le ninfe; dio della fecondazione, manifestantesi nella forza generativa del fallo, si assimilava in forma parziale o totale a un caprone o, più spesso, a un toro in cui credevasi che si incarnasse durante talune feste; divinità ctonia, infine, per gli evidenti legami con le vicende del mondo naturale e con il ciclo delle stagioni. La sua complessa personalità appare, tra l'altro, dal gran numero degli epiteti che ne rivelano le molteplici facoltà, funzioni e ipostasi: Niseo, Bromio, Ditirambo, Evio, Bacco, Zagreo, Sabazio, Lieo, ecc. Era accompagnato da un gioioso e danzante corteggio di satiri, di sileni, di menadi, di tiadi e di baccanti insieme con Pan e con Priapo e i suoi riti si svolgevano nel clima dell'ebbrezza orgiastica, che dava ai seguaci, nell'esasperazione dei sensi e nell'eccitazione provocata dal vino e dalle carni delle vittime divorate crude e vive (omofagia), l'illusione di incorporare l'essenza stessa del dio e di farsi uno con lui. Da siffatte cerimonie religiose, deliranti e sfrenate, sorsero il ditirambo e la poesia drammatica ( DIONISIE ). Il culto di Dioniso, proprio delle moltitudini come di ristrette associazioni, espressione delle erompenti forze della natura come delle profonde esigenze dell'anima, dall'originaria Tracia o Lidia diffuso pressoché universalmente nelle terre conosciute, esercitò un notevole influsso sulla civiltà greca e sui popoli antichi che a essa s'ispirarono: contribuì a introdurre nella religione il senso del mistero, nella poesia lirica il sentimento della natura e nell'arte, soprattutto plastica, il movimento e il pathos.

Il tipo arcaico di Dioniso è quello di un dio barbuto, inghirlandato di pampini d'uva, nel pieno vigore degli anni, vestito di chitone e di mantello, o cinto di una pelle di pantera; nella maggior parte delle raffigurazioni è circondato dal suo corteo, il tiaso, composto di menadi e satiri; nelle mani regge il tirso (scettro con rami d'edera), talvolta recipienti per bevande. Nella coppa di Exechia, Dioniso è su un vascello adorno di pampini; nel cratere di Clizia* e Ergotimo (il cosiddetto vaso François al Museo archeologico di Firenze) cammina reggendo su una spalla un'anfora. La statua più antica del dio è forse quella rimasta incompiuta e che giace in una cava dell'isola di Nasso; doveva trattarsi di una figura stante di grandi proporzioni (altezza 10,45 m). Nel fregio del tesoro dei Sifni, in Delfi, appare la prima rappresentazione di Dioniso che lotta nella Gigantomachia.

L'epoca classica ed ellenistica sviluppa il tipo giovanile di Dioniso, dal corpo nudo, la chioma ricciuta, il volto imberbe. Così doveva presentarsi il simulacro in bronzo di Mirone, collocato sull'Elicona e attestato solo dalle fonti letterarie. Nel Partenone il dio compare più volte; di notevole interesse la metopa in cui è presentato in lotta con un gigante; questa raffigurazione influì particolarmente nella creazione del nuovo tipo di Dioniso adolescente, come dimostra il grande fregio dell'altare di Zeus a Pergamo (II sec. a.C.). Nell'opera di Prassitele, Dioniso appare in una rara immagine infantile; il piccolo dio è consegnato alle ninfe da Ermete (gruppo di Olimpia). Nella pittura vascolare il dio è rappresentato specialmente nel suo incontro con Arianna. Scene dionisiache, infine, appaiono nelle pitture parietali pompeiane. Il tema ispirò largamente gli artisti italiani del Cinquecento e del Seicento; si ricordano in particolare le statue marmoree di Jacopo Sansovino e di Michelangelo nel Museo del Bargello a Firenze e i dipinti di Tiziano (Madrid, Prado, e Londra, National Gallery), del Caravaggio (Firenze, Uffizi) e di Annibale Carracci (Roma, palazzo Farnese).

 

 

In tutto il mondo greco, sotto nomi diversi, si celebravano feste in onore di Dioniso, alcune campestri, altre misteriche, durante le quali avevano luogo processioni grottesche, banchetti, falloforie. Le piú importanti di quelle misteriche si svolgevano ogni tre anni in Frigia e in Lidia, in Tracia, in Macedonia, a Nasso, sul Citerone e sull'altopiano di Delfi (orge delle baccanti e delle tiadi) e in Italia (misteri dionisiaci, baccanali di Roma). Ma in nessun luogo le feste di Dioniso eguagliarono quelle dell'Attica nei secc. V e IV a.C. Ad Atene, esse comprendevano le oscoforie le antesterie le lenee le piccole dionisie o rurali e infine le grandi dionisie o urbane. Le dionisie rurali, feste del vino nuovo, che si celebravano nel mese di posideone (dicembre-gennaio) nei villaggi, ebbero per lungo tempo nel como, banchetto-corteo sfrenato e licenzioso, l'elemento essenziale. Le grandi dionisie avevano luogo all'inizio della primavera, nel mese di antesterione (febbraio-marzo), sotto la direzione dell'arconte eponimo, e duravano sei giorni. Incominciavano con offerte e sacrifici, cui seguiva il proagone (proagon, preludio) con la presentazione al pubblico dei poeti, degli attori e dei cori degli agoni ditirambici e drammatici. Il giorno seguente, in solenne processione, si portava su di un carro- trireme il simulacro del dio Dioniso Eleuterio (Liberatore) a un santuario nei pressi dell'Accademia e successivamente nel teatro, tra canti, danze e orgiastiche manifestazioni di gioia alle quali partecipavano cittadini di ogni ceto e anche molti forestieri. La mattina seguente avevano inizio i concorsi di musica e di poesia e dei cori ditirambici, che dalla sera fino a tarda notte culminavano in un sontuoso e sfrenato banchetto. Dal quarto giorno al sesto si svolgevano rappresentazioni drammatiche, per le quali ogni poeta concorrente, nel V sec. a.C., presentava una trilogia tragica e un dramma satiresco. Le feste di Dioniso hanno avuto una parte molto importante nella storia della poesia lirica e del teatro, contribuendo sia all'origine sia allo sviluppo della tragedia e della commedia.

 

 

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I Baccanali

 

I baccanali si diffusero in Italia attraverso la Magna Grecia, come manifestazione della religione dionisiaca. Erano celebrati dapprima tre volte all'anno e di giorno, poi cinque volte al mese e di notte, con un rito che non differiva molto nello spirito e nella forma da quello praticato nel mondo greco. I baccanali suscitarono ben presto i sospetti dello Stato romano, fino a provocarne l'abolizione. Il provvedimento fu preso nel 186 a.C. con il senatus consultum de Bacchanalibus (il cui testo è giunto fino a noi), dopo una severa inchiesta del console Postumio Albino, informato da una iniziata pentita sulla natura dei riti orgiastici, che si svolgevano a Ostia, alla foce del Tevere, nel bosco consacrato a Stimula. Secondo il lungo racconto di Livio, essi furono senz'altro giudicati contrari alla morale pubblica e atti a favorire complotti politici, per cui gli adepti furono ricercati e perseguiti come pericolosi nemici della sicurezza dello Stato. Le inquisizioni si estesero anche fuori di Roma e colpirono ben 7.000 persone di tutte le classi sociali, parte delle quali vennero condannate a morte, parte alla prigione, mentre con il senato-consulto venne disposta l'abolizione dei baccanali in Roma e in Italia e la distruzione dei ridotti dove si svolgevano, con l'autorizzazione del senato di fare particolari eccezioni. Il divieto, il primo dei Romani nel campo religioso, trovò numerose resistenze, specialmente nell'Italia meridionale, dove il culto di Bacco persisté a lungo.

 

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