IL VERO VIAGGIO DI ULISSE

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"Allora Odisseo si alzò per andare in città: e intorno Atena
gli versò molta nebbia, pensando il suo bene,
perchè nessuno dei Feaci superbi, incontrandolo,
parole ingiuriose dicesse o chiedesse chi era"
(Odissea, VII, 14-17)
 
"Cinquanta ancelle erano in casa di Alcino:
alcune con mole moliscolo giallo frumento,
altre tessono tele e girano fusi,
sedute, simili a foglie di altissimi pioppi:
dalle tele in lavoro gocciola limpido l'olio.
Quanto i Feaci son sapienti sugli uomini tutti
a reggere l'agile nave sul mare, altrettanto le donne
son tessitrici di tele; a loro Atena donò in grado massimo
di far operee belle e d'avere savia mente"
(Odissea, VII, 103-111)
 
 

La mappa del viaggio

 

Due millenni e mezzo fa, nell' VlII secolo a.C., Omero raccontò nel suo poema "L'Odissea" il viaggio di Ulisse.

Com'è noto queste famose peregrinazioni ebbero inizio a Troia e finirono ad Itaca. Proprio al centro di questi due capisaldi è posto il Capo Malea, che rappresenta il punto più meridionale della Grecia.

Qui, come Omero racconta:

"Ma doppiando il Malea, la corrente, le onde,
e Borea mi deviarono, m'allontanarono oltre Citera".
[Citera è un isola vicino il Capo Malea, Ndr].
(Odissea, IX, 80-81)

Quale fu il punto in cui venne "deviato" Ulisse, quali luoghi raggiunse nel corso delle sue avventure fino al momento del ritorno ad Itaca?

Dapprima permettetemi alcuni minuti di teoria, dopo seguiremo il viaggio di Ulisse nel Mediterraneo centrale fino alla Calabria.

Sulla ricostruzione del viaggio di Ulisse esistono più di settanta teorie, differenti l'una dall'altra, avanzate nei venticinque secoli che ci separano dagli avvenimenti. Si vuole che Ulisse sia stato in Italia, in Palestina, nella Spagna, in Crimea, a Tenerife, addirittura nel Polo Sud e nel Polo Nord.

Evidentemente Ulisse non potè visitare tutti questi luoghi perché il suo viaggio, secondo Omero, durò non più di sessanta giorni; mentre gli otto anni di soggiorno vengono distribuiti nelle dodici tappe, che contrassegnarono la sua avventura.

Di seguito vi vorrei mostrare una nuova teoria sul viaggio di Ulisse, che ho elaborato in collaborazione con mio fratello in un libro pubblicato in tedesco, frutto di nove anni di ricerche e di migliaia di chilometri percorsi.

Qual è la differenza tra la nostra e le altre settanta ipotesi?

Lasciamo da parte per il momento tutte le settanta teorie, anche quelle più antiche e legate a realtà locali, perché in gran parte si contraddicono à vicenda; dimentichiamo, in un primo tempo, tutte le nostre conoscenze geografiche e storiche perché gli scettici contestano che sia possibile un interpretazione geografica dell'Odissea.

Domandiamoci invece: è possibile individuare tutti i dodici percorsi del viaggio di Uisse sulla base dei dati direzionali forniti da Omero?

Il principio più importante per la ricostruzione di questo schema interpretativo sono le direzioni dei venti che Omero indica quali direttrici del viaggio. Per esempio il ponente nell'ultimo percorso dai Feaci ad Itaca; nel percorso undici da Calipso ai Feaci Ulisse aveva l'Orsa, che è detto anche Carro, alla sua sinistra quando attraversò il mare. Colui che lascia a sinistra la costellazione del Nord va da occidente verso oriente. Ed in questa maniera sono costruiti tutti i dodici percorsi.

Le maggiori difficoltà nei tentativi di contestualizzare l'Odissea risiedono, soprattutto, nel fatto che Omero non fornisce per ogni singolo itinerario la sua lunghezza e direzione. Ma ricordiamo che per la costruzione geometrica di un triangolo non è necessario conoscere tutti i lati e tutti gli angoli; perciò, nella nostra ipotesi, abbiamo voluto verificare se i dati nautici forniti da Omero non siano già sufficienti per ricostruire i diversi percorsi del viaggio di Ulisse complessivamente, definendo cioè con sufficiente approssimazione e chiarezza, anche gli itinerari e i luoghi prima sconosciuti.

Questa costruzione è infatti possibile.

Impiegherei, comunque, troppo tempo se volessi mostrarvi tutti i singoli particolari.

E' ormai certo, che tutti i tentativi per rappresentare nella sua intierezza il viaggio di Ulisse devono tenere conto di questo schema, sempre che i punti cardinali forniti da Omero siano attendibili.

In un secondo stadio confrontiamo questo schema geografico con i dati reali della natura del Mediterraneo; le correnti marine rappresentate dalle frecce sulla carta; le linee costiere; le isole; gli stretti; quasi proiettando lo schema tratto per tratto su una carta nautica.

Se Omero nella sua opera ha avuto presente una realtà geografica, ogni volta si devono trovare nell'ambito determinato dallo schema, delle corrispondenze tra le sue descrizioni dei luoghi e la realtà naturale. Se non si verifica questa rispondenza, allora anche i dati nautici forniti dall'Odissea devono essere attribuiti al mondo delle favole.

Comunque, verificando questo schema geometrico sulla carta nautica, si ha un itinerario reale, si ottiene così una teoria fondata sul viaggio di Ulisse così come viene descritto da Omero.

Infatti questo itinerario - guida, che parte dalle rovine di Troia conduce a terre reali: Tunisia e Malta, intorno alla Sicilia e infine, attraverso la Calabria, ad Itaca.

Seguiamolo tratto per tratto

 Primo percorso - Da Itaca a Capo Malea  

 Secondo percorso - Da Capo Malea alla Terra dei Lotofagi

 Terzo percorso- Dalla Terra dei Lotofagi all'Isola dei Ciclopi

 Quarto percorso - Dall'Isola dei Ciclopi all'isola di Eolo

 Quinto percorso- Dall'isola di Eolo alla Terra dei Lestrigòni

 Sesto percorso - Dalla Terra dei Lestrigòni all'Isola di Circe

 Settimo percorso - Dall'Isola di Circe alla Dimora di Tiresia

 Ottavo percorso- Dall'Isola di Circe a Imera

 Nono percorso- Da Imera a Scilla e Cariddi

 Decimo percorso- Da Scilla e Cariddi all'Isola di Trinachia

 Undicesimo percorso- Dall'Isola di Trinachia all'isola di Ogigia

 Dodicesimo percorso- Dall'isola di Ogigia alla Terra dei Feaci

 Conclusioni

Primo percorso - Da Itaca a Capo Malea

Riconosciamo subito sulla carta Troia, Itaca e Capo Malea i tre luoghi certi. Seguiamo da Capo Malea, il punto più meridionale della Grecia, le parole di Omero:

"Ma doppiando il Malea, la corrente, le onde,
e Borea mi deviarono, m'allontanarono oltre Citera.
Per nove giorni fui trascinato da venti funesti
sul mare pescoso: al decimo giorno arrivammo
alla terra dei Mangiatori di loto [Lotofagi], che mangiano cibi di flori."
(Odissea, IX, 80-84)
 

Secondo percorso - Da Capo Malea alla Terra dei Lotofagi

Nel nostro schema abbiamo trovato per questo percorso una direzione Sud-Ovest. L'unica terra a cui essa conduce da Capo Malea è la costa nord africana lungo la Sirte. Questa direzione corrisponde con le correnti marine.

Fin dall'antichità si è d'accordo che il paese dei Lotofagi menzionato da Omero, sia da localizzarsi nella Sirte, più precisamente nella piccola Sirte, nell'isola di Menis, oggi in arabo Gerba.

Gerba è uno dei pochi luoghi dove un'oasi situata immediatamente sul mare interrompe un lungo tratto di costa altrimenti deserta. Dato che i compagni di Ulisse preferirono rimanere nel paese  dei Lotofagi, piuttosto che ritornare in patria, si può immaginare benissimo questa terra come una fiorente oasi.

 

Terzo percorso - Dalla Terra dei Lotofagi all'Isola dei Ciclopi

Tuttavia Ulisse, subito dopo l'arrivo, aver consumato i pasti ed un breve giro d'esplorazione riparti da li e approdò, la notte seguente, su un'isola. Omero chiama quest'isola, descritta come piatta e selvosa, prospicente al paese dei Lotofagi, la terra dei Ciclopi. Ulisse dopo esservi giunto lascia incagliare la nave sulla sabbia. Un'isola piatta e selvosa, sabbiosa e posta dinanzi alla terraferma si trova effettivamente circa alla distanza di un mezzo giorno e una mezza notte da Gerba: l'isola di Kerkennah (Tunisia), che si trova vicino alla simile isola di Knais.

Dall'isola piatta e selvosa, menzionata da Omero, Ulisse navigò alla volta della montagnosa terra dei Ciclopi per compiere un giro d'esplorazione. Omero la descrive come una società di pastori dediti all'allevamento di capre e percore. Ancora ai giorni nostri la ricchezza della Tunisia meridionale è fondata su un'economia pastorale.

Mi sia concesso a questo punto contraddire una certa tradizione antica che localizza la terra dei Ciclopi in Sicilia, precisamente ad Acitrezza vicino Catania. Questa localizzazione è ben nota, ma essa è documentata non prirna di tre secoli dopo Omero, ed inoltre non è confermata, perché è impossibile costruire un itinerario che conduca ad Acitrezza tenendo presenti i dati nautici e geografici forniti da Omero. Riparleremo ancora della Sicilia, ma in quanto ai ciclopi omerici è sicuro che non erano siciliani. Dobbiamo cercare invece il loro paese nella Tunisia meridionale. I ciclopi, infatti, erano trogloditi ed ancora oggi i Berberi della regione di Matrnatah abitano in dimore sotterranee: queste grotte sono di notevoli dimensioni e sono state scavate dall'alto come giganteschi pozzi. Una galleria conduce al suolo di questo pozzo, che forma un cortile aperto dal quale partono alcune grotte coperte: queste servono come stalle, dispense, ecc.

Qui si può ben immaginare ciò che Omero racconta sul Ciclope;

"Rapdamente all'antro arrivammo, ma dentro
non lo trovammo; pasceva pei pascoli le pecore pingui.
Entrati nell'antro osservammo ogni cosa;
dal peso dei caci i graticci piegavano;
steccati c'erano per gli agnelli e i capretti [...].
Là, acceso il fitoco, facemmo offerte, e anche noi
prendemmo e mangiammo formaggi, e l'aspettammo dentro,
seduti, finch'è venne pascendo; portava un carico greve
di legna secca, per la sua cena.
E' dentro l'antro gettandolo produsse rimbombo,
noi atterriti balzammo nel fondo dell'antro".
(Odissea, LX, 216-236)

Il resto della storia è noto: Ulisse e i suoi compagni, dopo aver accecato il Ciclope, poterono salvarsi uscendo dalla grotta attaccati al petto delle pecore.

Importante per la nostra ricostruzione è il fatto che quel tipo di grotte si trovi soltanto nella Libia occidentale e nella Tunisia meridionale.

Uno sguardo alla carta nautica mostra, che la via da Gerba a Kerkennah corrisponde bene ai dati reali della natura del Mediterraneo perché questa via segue precisamente la corrente marina e la piccola Sirte.

 

Quarto percorso - Dall'Isola dei Ciclopi all'isola di Eolo

 Dalla terra dei Ciclopi Ulisse giunse all'isola di Eolo, da cui potevano raggiungere la terra dei Padri, la Grecia, con il vento di Ovest.

Se esaminiamo la carta nautica, troviamo in Malta un'isola che corrisponde ai dati forniti da Omero. Malta, infatti, vista dal mare sembra essere l'unica isola; possiamo escludere la Sicilia, che per la sua grandezza, non può certamente essere descritta come un'isola da chi le si avvicina, somigliando di più alla terraferma. inoltre le correnti marine, spingono le navi dalla Sirte proprio in prossimità di Malta.

Fin dal V secolo a.C., come ben sappiamo, l'isola di Eolo viene identificata con il gruppo delle isole Eolie; ma questa identificazione è errata, infatti è impossibile giungervi con il vento occidentale viaggiando verso la Grecia. Potrebbe procedersi ad un'identificazione con le isole di Pantelleria, Linosa e Lampedusa, ma diversamente da Malta, queste non corrispondono alla descrizione lasciataci da Omero:

"E all'isola Eolia arrivammo; qui stava
Eolo Ippotade, caro ai numi immortali,
nell'isola galleggiante: tutta un muro di bronzo,
indistrunibile, la circondava, nuda s'ergeva la roccia".
(Odissea, X, 1-4)

Con parole simili è descritta l'isola dì Malta in una recente guida turistica:

"L'altopiano qui formato precipita a picco sul mare; particolarmente la costa Sud-Ovest consiste in quasi ininterrotta muraglia rocciosa che precipita dall'altezza di più di cento metri a picco sul mare".

La prima spiaggia protetta, che si offre a chi costeggia la costa meridionale di Malta in direzione Est, è il Mars Scirocco, la più grande rada dell'isola. Oggi vi si alzano i resti della fortezza di Birzebbuga a destra. Essi sono il monumento archeologico più importante di Malta del periodo di Ulisse e dì Omero (1400 fino all'800 a.C.). Inoltre Malta conobbe un'elevata civilizzazione databile già al terzo millennio a.C.. Omero indica come segno caratteristico dell'alta cultura dell'isola di Eolo le case famose, l'uso del flauto ed una ricca cucina. Tutto questo può coincidere con l'antica ed importante cultura maltese.

Eolo offrì ad Ulisse, per il viaggio di ritorno verso la sua patria, un soffio di vento occidentale,

"Mi diede un'otre, che fece scuoiando un bue di nove anni,
e dentro degli urlanti uragani costrinse le strade;
perché signore dei venti lo fece il Cronide,
e può fermare e destare quello che vuole:
Nella concava nave l'otre legava con una catenella d'argento,
lucente, che non trapelassero fuori per nulla;
e solo il vento di Zefiro mi mandò dietro a soffiare,
che portasse le navi e noi pure […]
(Odissea, X, 19-26)

 grazie al quale Ulisse ed i suo compagni navigarono per nove giorni e nove notti:

"al decimo già si scorgevano i campi paterni,
gli uomini intorno ai fuochi vedevamo, vicini.
Allora il sonno soave mi prese, ch'ero sfinito;
continuamente alla barra ero stato, senza darla a nessuno
dei compagni, perché più presto arrivassimo in patria;
e i compagni parole fra loro parlavano,
e dicevano che oro e argento a casa portavo,
doni d'Eolo magnanimo, figlio di Ippote.
Così qualcuno diceva guardando l'altro vicino:
"Vedi come costui è amato e onorato dagli uomini
tutti, dei quali visita contrade e città
Da Troia si porta le molte belle ricchezze
del suo bottino; e noi, fatta la medesima via,
a mani vuote ce ne torniamo a casa.
Ora poi anche questo gli ha dato per amicizia
Eolo; presto, dunque, vediamo cos'è,
quant'oro e argento c'è dentro l'otre".
Così dicevano e vinse la mala idea dei compagni:
sciolsero l'otre: i venti tutti fuori balzarono,
e all'improvviso afferrandoli, al largo li riportò l'uragano,
piangenti lontani dall'isola patria".
(Odissea, X, 29-49)

E che, in effetti, sia possibile venire spinti dai venti dalla Grecia verso Malta lo dice l'evangelista Luca, che negli "Atti degli Apostoli" (At., 27, 13-44; 28, 1-3), narra che Paolo, navigando da Creta diretto a Roma, venne da un naufragio sbattuto sulle coste di Malta.

Grazie anche a questa autorevole testimonianza, viene una conferma alle nostre precedenti considerazioni, per cui Malta è da considerarsi l'isola di Eolo.

Sbarcato per la seconda volta sull'isola di Eolo, ad Ulisse venne negato il diritto di ospitalità e cacciato in malo modo.

 

Quinto percorso - Dall'isola di Eolo alla Terra dei Lestrigòni

 Per il percorso seguente lo schema del viaggio indica una direzione Nord-Ovest.

Ulisse dovette far remare i suoi uomini perché probabilmente le vele erano state danneggiate nella precedente tempesta.

Una nave che provenendo da Malta per raggiungere la costa più vicina farebbe rotta sulla Sicilia; e, verrebbe spinta dalle correnti marine, sulla parte meridionale di essa, in direzione Nord-Ovest. Dunque, anche in questo caso, le condizioni dei luoghi del Mediterraneo corrispondono alla direzione Nord-Ovest indicata nei testo di Omero.

"Sei giornate di seguito navigammo di giorno e di notte,
la settima toccammo l'altissima rocca di Lamo,
Telépilo Lestrigònia […].
(Odissea, X, 80-82)

Remando per sei giorni e sei notti dall'isola di Malta si può raggiungere la punta occidentale della Sicilia. Lì dobbiamo cercare una rocca erta.

Appena Ulisse circumnavigò il Capo Lilibeo il suo sguardo dovette cadere sull'imponente rocca di Erice, che si leva scoscesa dalla pianura di Trapani e serve ancora come punto di riferimento per i naviganti.

La rocca di Erice è frequentata da millenni; i più antichi resti archeologici risalgono alla tarda età del Bronzo e del Ferro, perciò e realmente possibile che Omero ne avesse conoscenza e la chiamasse "L'erta rocca di Lanno".

A questo punto è necessario verificare se nei suoi pressi si trova un porto come quello di Telèpilo. I porti di Marsala e Trapani, vennero fondali molto tempo dopo Omero, dunque si escludono.

Ma tra Marsala e Trapani è ubicata Mozia con il suo porto artificiale, arcaico; oggi insabbiato.

"Qui come entrammo nel bel porto, che roccia
inaccessibile cinge, ininterrotta da una pane e dall'altra,
e due promontori sporgenti, correndosi incontro
sulla bocca s'avanzano, stretta è l'entrata".
(Odissea, X, 87-90)

La conformazione del porto dì Mozia permette, gettando pietre dai due lati di tagliare le vie di fuga alle navi nemiche, così come fecero, secondo il racconto di Omero, i Lestrigòni.

"Essi dai picchi con pietre che appena può
un uomo portare colpivano [...]".
(Odiessea, 3(5. 121-122)

Mentre i suoi compagni venivano massacrati nel porto, Ulisse rimasto fuori con la sua nave potè salvarsi.

Possiamo, quindi, identificare la rocca di Erice con "l'erta rocca di Lamo" e Mozia con il porto di Telépilo menzionati nell'Odissea.

I reperti archeologici rinvenuti. a Mozia, documentano la presenza dei Fenici fin dall'VIII secolo a.C.; ma anche prima è accertata una presenza di popolazioni indigene. Dunque, Omero, qui potè avere notizia di una popolazione ostile ai Greci.

 

Sesto percorso - Dalla Terra dei Lestrigòni all'Isola di Circe

 Per il percorso successivo si potrebbe ricostruire, dai dati omerici, una direzione Nord-Est.

Questa direzione corrisponde anche qui alle correnti marine, che conducono realmente ad una piccola isola, Ustica a Nord di Palermo.

E' questa l'unica isola di cui si può dire, come fa Omero:

"[…] che intorno il mare infinito corona".
(Odissea, X, 195)

Si esclude la tradizionale identificazione con il monte Circeo in Lazio, che è unita alla terraferma e si escludono anche le isole Egadi o Lipari, perchè appartengono ad un gruppo di isole.

Da Ustica, così come narra Omero, si può raggiungere col vento del Nord, in un solo giorno, la costa. Tenendo conto di ciò, si può stabilire che in Ustica è stata trovato il solo luogo che può corrispondere ai dati nauticì forniti da Omero.

Ulisse sbarcato durante la notte, non aveva potuto riconoscere l'isola in cui giunse. Stanchi dalle peripezie passate, Ulisse ed i suoi compagni riposarono per due giorni e due notti, al terzo giorno:

"[...] allora io la mia lancia prendendo ed il coltello affilato,
rapidamente, lasciata la nave, salivo in vedetta,
se opere mai di mortale vedessi o sentissi la voce.
E su una cima rocciosa m'inerpicavo ad esplorare […]"
(Odissea, X, 145-I 49)

 

Esiste ad Ustica una cima rocciosa da cui è possibile spaziare all'intorno,

"e mi apparve del fumo su dalla terra ampie strade,
in casa di Circe, tra i folti querceti e la macchia"
(Odissea, X, 149-150)

E' del tutto superfluo raccontare l'incontro con Circe, però c'è un interessante particolare; Circe invitò Ulisse a trattenersi sull'isola e gli permise di riparare la sua nave in una grotta. A Ustica, una delle sue sei grotte, viene chiamata "Grotta delle barche" perché veramente viene utilizzata dai pescatori come riparo.

 

Settimo percorso - Dall'Isola di Circe alla Dimora di Tiresia

 Ulisse si trattenne presso Circe fino all'anno compiuto, il che, probabilmente, significa che vi passò l'inverno; poi colto dalla nostalgia, pregò Circe di ricondurlo in patria, e questa gli disse che occorreva prima seguire un diverso cammino e giungere

"[...] alle case dell'Ade e delta tremenda Persefone,
a interrogare l'anirna del tebano Tiresia,
il cieco indovino, di cui salda resta la mente [...]"
(Odissea, X, 491-493)

per ricevere indicazioni circa la via da seguire:

"Divino Laerziade, ingegnoso Odisseo,
mancanza di guida per la tua nave non ti preoccupi,
ma alzato l'albero, spiegate le vele bianche,
siedi; la nave porterà il soffio di Borea".
(Odissea, X, 505-507)

 

Ottavo percorso - Dall'Isola di Circe a Imera

 Un percorso in questa direzione conduce in ogni caso da Ustica verso la costa settentrionale della Sicilia. Ulisse viaggiò tutto il giorno ed approdò dopo il tramonto del sole; la durata indicata serve a coprire la distanza tra Ustica e la Sicilia percorrendola con una barca a vela.

Ma dove si trovano le case di Ade e Persefone? Seguiamo, anche in questo caso, le indicazioni fornite da Circe ad Ulisse:

"E quando con la nave l'Oceano avrai traversato,
dov'é una bassa spiaggia e boschi sacri a Persefone,
alti pioppi e salici dai frutti che non maturano,
tira in secco la nave in riva all'Oceano gorghi profondi,
e scendi nelle case putrescenti dell'Ade"
(Odissea X, 507,512)

Come sappiamo la costa settentrionale della Sicilia generalmente è ripida; tra Palermo e Messina si trova un'unica riva piana abbastanza consistente, ad Est di Termini Imerese:

"Qui in Acheronte il Piriflegetonte si getta
e il Cocito, ch'è un braccio dell'acqua di Stige,
e c'è una roccia, all'unione dei due fiumi sonanti […]".
(Odissea, X, 513-515)

Anche qui troviamo una roccia altissima, il Monte Calogero, e ci sono le foci di due fiumi, il fiume Torto e alle spalle il fiume Grande o Imera.

Circe continua:

"[…] qui dunque approdato, eroe, come ti dico,
scava una fossa d'un cubito per lungo e per largo,
e intorno a questa liba la libaggione dei morti,
prima di miele e latte, poi di vino soave
la terza d'acqua; e spargi bianca farina,
e supplica molto le teste esangui dei morti [...]"
(Odissea, X, 516-521)

Questo luogo non e senza importanza, essendo sede del tempio dorico di Imera, attualmente in rovina. E' vero che la colonia greca di Imera venne fondata nel VII secolo a.C., cioè circa un secolo dopo Omero, ma è pur sempre possibile che questo tempio dorico sia stato costruito su un precedente sacrario pre-ellenistico. In ogni caso sono noti in Sicilia, e non solo, il riutilizzo di antichi luoghi di culto da parte dei coloni greci.

Nessuno, finora, ha localizzato la casa di Ade in Sicilia né ad Imera; questa nuova interpretazione risolve molti problemi.

Omero chiama la regione delle case di Ade e Persefone, territorio dei Chimmerii (o Cimmerii); forse si tratta solo di una felice coincidenza, però le monete emesse dalla colonia greca di Iinera riportano la legenda Chimara.

Secondo il racconto di Omero la sosta di Ulisse nel territorio dei Chimmerii fu breve Poco dopo il tramonto del sole, davanti al sacrario di Ade, Ulisse portò, con due compagni un'offerta, chiedendo al veggente Tiresia notizie sul cammino da percorrere e sulla lunghezza del viaggio di ritorno in Patria.

  

Nono percorso - Da Imera a Scilla e Cariddi

 Ritornato dal regno dei morti. Ulisse incontrò di nuovo Circe seguita dalle sue ancelle, che lo mise in guardia dall'ascoltare la voce delle Sirene,

"Poi quando lontano di là avranno spinto i compagni
la nave, allora non posso più esattamente segnarti
quale dev'esser la via: tu da solo
col tuo cuore consigliati: io ti dirò le due rotte.
Di qua rupi altissime, a picco: battendole,
immane strepita il flutto dell'azzurra Anfitrite;
"Rupi erranti" gli déi betai le chiamano. [...]
Mai scampò nave d'uomini che qui capitasse,
ma tutto insieme, carcasse di navi e corpi d'uomini
l'onde del mare e la furia d'un fuoco mortale travolgono".
(Odissea, XII 55-68)

Identifichiamo questo pencolo con il vulcano Stromboli nel pieno dell'attività eruttiva, con la lava che arriva fino al mare.

"E poi i due Scogli: uno l'ampio cielo raggiunge
con la cima puntuta: e l'avviluppa una nube livida [...].
A metà dello scoglio c'è una buia spelonca [...].
Là dentro Scilla vive [...].
(Odissea, XII, 73-85)

Si tratta, dunque, della costa calabrese a sinistra dell'ingresso settentrionale dello Stretto di Messina.

Continua, ancora, Omero:

"L'altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo,
vicini uno all'altro, dall'uno potresti colpir l'altro di freccia.
Su questo c'è un fico grande, ricco di foglie:
e sotto Cariddì gloriosa l'acqua livida assorbe".
(Odissea, XII, 101-104)

Cioè la costa siciliana a destra.

Ulisse decise di intraprendere questa seconda via, verso Sud. Partendo da Imera lo Stretto di Messina offre la più breve via marina per raggiungere la Grecia, nella durata indicata.

Dunque, in questo caso, riteniamo che sia confermata l'antica tradizione, secondo la quale Omero parlando di Scilla e Cariddi si riferisca alla costa calabrese e siciliana dello Stretto di Messina.

Ci sono, naturalmente, anche in questo teorie diverse, che identificano Scilla e Cariddi con lo Stretto di Gibilterra o con i Dardanelli.

  

Decimo percorso - Da Scilla e Cariddi all'Isola di Trinachia

 Ulisse impartì l'ordine di intraprendere un nuovo percorso con direzione verso Sud.

"Piuttosto lungo lo scoglio roccioso di Scilla navigando veloce
fa passare la nave [...]
E all'isola Trinachia verrai: qui in numero grande
vari pascolando le vacche del Sole e le floride greggi [...]
(Odissea, XII, 108-128)

Il percorso sulla riva calabrese dello Stretto conduce in Sicilia, e precisamente al molo di Messina. Qui, appena giunto, Ulisse udì. il muggito delle vacche ed il belare delle pecore rinchiuse nei recinti; si era, dunque, verso il tramonto.

Dopo aver fatto giurare ai compagni, che nessuno avrebbe toccato gli armenti sacri al dio Sole,

"[...] ancorammo nel pollo profondo la nave ben fatta,
vicino a un'acqua dolce, e i compagni scesero
dalla nave e prepararono con cura la cena".
(Odissea, XII, 305-308)

Come mostra un'incisione di fine '800, il gigantesco naturale molo di Messina, costituisce un porto sinuoso ideale.

Ulisse ed i suoi compagni, che venuti meno al giuramento fatto avevano per sei giorni banchettato con. le vacche più belle del Sole, vennero trattenuti dalla forza contraria dei venti.

"Quando il settimo giorno mandò Zeus Cronide,
il Noto fini di soffiare con raffiche,
e noi sulla nave in fretta salendo, navigavamo pel mare infinito,
piantato l'albero e issate le vele bianche;
ma appena l'isola avevamo lasciata, e ormai nessun'altra
delle terre appariva, ma solo cielo e mare [...]".
(Odissea, XII, 399-406)

Allora Zeus Cronide, fermò una nuvola sopra la concava nave, che venne risucchiata nella tempesta e trascinata per tutta la notte e al levarsi del sole Ulisse sì ritrovò di nuovo "allo Scoglio di Scilla e all'atroce Cariddi".

 

Undicesimo percorso - Dall'Isola di Trinachia all'isola di Ogigia

La nave trascinata per nove giorni, alla decima notte si avvicinò all'isola di Ogigia, dove abita Calipso.

A Nord dello Stretto di Messina, l'unica isola in cui può essere trasportato un naufrago, è il gruppo delle isole Lipari.

Determinare quale isola di questo gruppo sia l'isola Ogigia di Omero è difficile.

Secondo Omero, l'isola si trova là dove si trova l'ombelico del mare; forse questo farebbe concludere che si tratti dell'isola principale del gruppo e cioè Lipari, o, a causa della forma del vulcano, Vulcano; ma forse Omero si riferisce con la sua descrizione della ricchezza delle piante a Panarea, anche qui si trovano insediamenti preistorici. Sull'isola di Calipso, Ulisse si costruì una zattera con cui riuscì a raggiungere la terra dei Feaci, che, finalmente, lo accompagnarono ad Itaca.

 

Dodicesimo percorso - Dall'isola di Ogigia alla Terra dei Feaci

Nella foto accanto è raffigurato un vaso greco (VI sec a. C.) con la rappresentazione dell'incontro tra Ulisse, naufrago sui lidi dei Feaci, e Nausicaa. Al centro della scena si trova Atena che ha provocato il colloquio tra i due; a fianco di Nausica, un'ancella fugge spaventata.

 

Tutti i tentativi fatti fino ad oggi per ricostruire geograficamente il viaggio di Ulisse tenendo conto dei dati forniti da Omero, sono falliti, particolarmente per l'identificazione di questo luogo.

La terra dei Feaci è stata localizzata, nelle diverse teorie in Palestina, Tunisia, Andalusia, Istria, Cirenaica, Malta, Creta, Corfù, Trapani, ed anche in Germania.

Non si è riusciti a rispondere però all'interrogativo di come Ulisse dopo il primo passaggio da Scilla e Cariddi, fu respinto nuovamente oltre e, tuttavia, poté venire condono in Patria dai Feaci, senza attraversarlo una terza volta.

Secondo Omero la terra dei Feaci, vista dalla Grecia, giace una volta davanti e una volta dietro Scilla e Cariddi.

Questa "contraddizione" sembrava di difficile soluzione, perciò tutte le teorie ricostruttive erano costrette a modificare o la realtà geografica o il testo omerico. Ma né l'una né l'altra cosa metodologicamente concessa.

Nonostante ciò, i dati apparentemente contraddittori forniti da Omero, possono costituire la chiave per determinare l'ubicazione della terra dei Feaci.

Finora si è sempre supposto che il mare che sospinse Ulisse verso la terra dei Feaci fosse il medesimo attraverso il quale egli ritornò a casa. Ma questa supposizione, naturalmente la più attendibile, non è sostenuta da alcuna parola di Omero. Se, al contrario, poniamo insieme i due dati di Omero e cerchiamo un paese che in un mare giaccia contemporaneamente dietro e davanti allo Stretto verremo indotti a pensare alla Calabria, la cui costa occidentale giace sul Tirreno e l'orientale sullo Ionio. E' proprio là sì giungerà, se con percorso verso Est, si proviene da Lipari e di là bisogna salpare per raggiungere Itaca, con percorso parimenti verso Est, come indica il testo omerico.

Se questa sorprendente spiegazione è giusta nel corso del suo viaggio Ulisse deve, comunque, aver attraversato un tratto di terra. Questo fatto, mai osservato è in realtà ciò che dice Omero: nei pressi della terra dei Feaci l'onda e la tempesta infrangono la sua zattera e soltanto a nuoto Ulisse riesce a porsi in salvo raggiungendo la costa. Di là dovette recarsi a piedi prima marciò per un pendio, il giorno dopo portato su valli carrabili, con carri guidati da muli, verso la capitale dei Feaci ed ancora un altro giorno scese verso il porto e, quindi, finalmente una nave lo riportò in patria.

Manifestamente Omero si riferisce a due coste differenti e legate tra loro da una certa distanza.

 Alcune interpretazioni tradizionali parlano dell'isola dei Feaci ma il testo greco non contiene la parola isola, al contrario è chiamata da Omero Scheria (S c h e r a ), che vuoi dire terraferma (continente o paese).

Infatti dopo essere stato in numerose isole (Malta, Sicilia, Ustica, Lipari), Ulisse finalmente raggiunse in Calabria la terraferma. Questa spiegazione nuova, ma semplice nel contempo, risolve gran parte delle contraddizioni presenti nella interpretazione del testo.

Si identifica così la felice terra dei Feaci del tempo di Omero, con la Magna Grecia dell'antichità e con la Calabria attuale. Non può che essere stata in Calabria la terra dei Feaci: la durata che il testo omerico indica permette il passaggio da una costa all'altra della Calabria solo sull'istmo più stretto e più basso.

Questo istmo è quello di Catanzaro fra a Golfo di S. Eufemia e il Golfo di Squillace. Qui i due mari si avvicinano a meno di trenta chilometri, e qui si può facilmente superare la catena montuosa calabrese attraverso un comodo valico a soli 300 metri s.l.m., invece che a mille metri di altezza a Nord e a Sud di là.

Il naufrago Ulisse venne dapprima gettato su una costa ripida di rocce e scogli, probabilmente la costa intorno al Capo Vaticano, volendoli evitare Ulisse cercò riparo sulle rive pianeggianti. Si salvò sulla foce di un fiume sulla cui riva crescevano canneti; perciò Omero si riferisce a una pianura, racchiusa da una ripida costa. Troviamo queste caratteristiche sulla costa occidentale dell'istmo, cioè nella piana di S. Eufemia, alle foci del fiume Amato. E sulla foce dell'Amato si trovano i menzionati canneti.

"Uscito dal fiume, l'eroe
fra i giunchi cadde bocconi, baciò la terra dono di biade;
ma disse affranto al suo cuore magnanimo:
"Ohimè, che succede? che altro mi capita?
se vegli qui presso il fiume la notte affannosa,
temo che insieme la mala brina e l'umida guazza
non mi finiscano il cuore, stremato dalla fatica:
un vento freddo spira dal fiume avanti l'aurora.
E se, il divo salendo, su per la selva buia,
tra i fitti cespugli mi distendo a dormire, e mi passano
freddo e stanchezza, e dolce viene a me il sonno,
temo di cader preda e cibo di fiere".
Questa; però, pensando, gli pare la cosa migliore.
E mosse verso la selva; la trovò non lontano dall'acqua,
su una piccola altura; s'infilò sotto un doppio cespuglio,
cresciuto insieme da un ceppo d'olivo e oleastro"
(Odissea, V, 462-477)

 

 Ulisse, dunque, trovò un tranquillo riparo dove venne vinto dal sonno e dalla spossatezza; finché non lo svegliarono le grida di Nausicaa e delle sue ancelle dai lavatoi sul fiume

"Ma tu sollecita il padre glorioso, avanti l'aurora;
a prepararti le mula e il carro, che ti trasporti
cinture e pepli e mantelli vivaci;
e anche per tè così è molto meglio, che andare
a piedi: son molto lontani dalla città i lavabi".
(Odissea, VI, 36-40)

 Se si risale l'Amato fino al pendio del monte, si arriva ai lavatoi tradizionali nelle vicinanze della stazione attuale di Marcellinara. Perciò qui, oppure sul ponte Calderaio, si deve immaginare la scena dell'incontro tra Ulisse e Nausicaa, figlia di Mete e Alcinoo il re dei Feaci.

Purtroppo non ho più visto lavandaie sull'Amato, i veri lavatoi di Nausicaa; ma si vedono ancora sul Corace lavandaie calabresi che stendono le vesti sul lido di ghiaia, così come Omero scrive delle ancelle di Nausicaa.

Ulisse dopo essersi lavato dalla salsedine, pregò Nausicaa di dargli delle vestì; quindi venne rifocillato e condotto alla città dei Feaci, attraverso un percorso espressamente lungo.

Secondo il racconto di Omero, raggiunsero la città poco dopo il tramonto e l'ospite venne accolto amichevolmente da Mete e Alcinoo. La capitale dei Feaci deve trovarsi sullo spartiacque dell'istmo, perché Nausicaa disse ad Ulisse:

"Ma come in vista della città arriveremo - un muro la cinge,
alto, e da un lato e dall'altro sono due porti, ma stretta è l'entrata [...]".
(Odiessea, VI, 263-265)

Dalle parole di Nausicaa, si presume, che il suo Paese sta tra due mari, uno situato ad Est e uno a Ovest; l'accesso terrestre, invece, è difficile. La terra dei Feaci si caratterizza come l'ultima parte del continente, ed infatti la Calabria è la punta della penisola italiana e prima della costruzione delle vie costiere - appena un centinaio di anni fa - l'accesso attraverso le aree interne era estremamente difficoltoso.

Per tutte queste ragioni ubichiamo la terra dei Feaci e la sua capitale nell'istmo di Catanzaro, in un punto dominante come Squillace, situata sulla via antica, o a Tiriolo perché da qui è possibile vedere nel miglior modo possibile i due mari:

"[…]ammirò i due golfi e le navi"

cioè il Golfo di S. Eufemia e il Golfo di Squillace

Omero descrive la ricchezza e la prosperità raggiunta dai Feaci, quasi un novello "paradiso terrestre":

"[…] Ma Odisseo andava al palazzo stupendo d'Alcinoo, e molto in cuore
esitava, là fermo, senza passare la soglia di bronzo.
Come splendore di sole c'era, o di luna
nell'alta casa del magnanimo Alcinoo.
Muri di bronzo di qua e di là s'allungavano
dalla soglia all'interno; e intorno un fregio di smalto.
Porte d'oro la solida casa dentro chiudevano,
d'argento s'alzavano su bronzea soglia gli stipiti;
e l'architrave di sopra era d'argento, d'oro l'anello:
d'oro e d'argento ai due lati eran cani,
che Efesto fece con arte sapiente,
per custodire la casa del magnanimo Alcinoo;
per sempre immortali erano e senza vecchiezza.
Lungo il muro si appoggiavano i troni, di qua e di là,
in due file, dalla soglia all'interno; e pepli sopra
sottili, ben tessuti, eran gettati, lavori di donne.
Là dei Feaci sedevano i principi,
a bere e mangiare: in abbondanza ne avevano.
Fanciulli d'oro sopra solidi piedistalli
si tenevano dritti, reggendo in mano fiaccole accese,
illuminando le notti ai banchettanti in palazzo.
Cinquanta ancelle erano in casa d'AIcinoo:
alcune con mole moliscono giallo frumento,
altre tessono tele e girano i fusi,
simili a foglie d'altissimi pioppi:
dalle tele in lavoro goccia limpido l'olio.
Quanto i Feàci sono sapienti sugli uomini tutti
a reggere l'agile nave sul mare altrettanto le donne
son tessitrici di tele; a loro Atena donò in grado massimo
di far opere belle e d'aver savia mente
Fuori, poi, dal cortile, era un grande orto, presso le porte,
di quattro iugeri corre tutt'intorno una siepe.
Alti alberi là dentro, in pieno rigoglio,
peri e granati e meli dai frutti lucenti,
e fichi dolci e floridi ulivi;
mai il loro frutto vien meno o finisce,
inverno o estate per tutto l'anno: ma sempre
il soffio di Zeffiro altri fa nascere e altri matura.
Pera su pera appassisce, mela su mela,
e presso il grappolo il grappolo, e il fico sul fico.
Là anche una vigna feconda era piantata, ed una parte di questa in aprico terreno
matura al sole; d'un altra vendemmiano i grappoli
e altri ne pigiano; ma accanto ecco grappoli verdi,
che gettano il fiore, altri appena maturano.
Più in là lungo l'estremo filare, aiuole ordinate
d'ogni ortaggio verdeggiano, tutto l'anno ridenti.
E due fonti vi sono: una per tutto il giardino
si spande; l'altra all'opposto corre fin sotto il cortile,
fino all'alto palazzo: qui viene per acqua la gente.
Questi mirabili doni dei numi erano in casa d'Alcinoo".
(Odissea, VII, 81-132)
 

Questa ricchezza dei Feaci antichi fu basata, probabilmente, sulla dominazione della via dei due mari, come avvenne più tardi per le città greche di Sibari, Crotone, Locri. Queste città divennero le più floride della Magna Grecia grazie alla finzione di mediazione commerciale tra l'Etruria e la Grecia.

Le navi provenienti dalla madre patria scaricavano i loro carichi al porto sul mare Ionio e da qui, attraverso i sentieri terrestri, li trasportavano sul mare Tirreno per essere di nuovo imbarcate. Si costeggiava il Corace, il Fallaco, e poi l'Amato fino al mare Tirreno.

La provincia di Catanzaro e, specialmente, Tiriolo possono andare fiere per quest'elogio storico e poetico.

Alla corte del re Alcinoo, Ulisse raccontò le diverse tappe del suo periglioso viaggio: Troia; Capo Malea; Piccole Sirti con il paese dei Lotofagi; i Ciclopi; Malta; l'isola di Eolo; lo scoglio di Marsala con il porto dei Lestrigòni; Monte Erice come l'erta Rocca di Ramo; Ustica come l'isola di Circe; Imera come le case di Ade e Persefone; lo stretto di Messina come Scilla e Cariddi, con lo scoglio delle Sirene; una delle isole Lipari come l'isola di Calipso e finalmente l'ultima importantissima stazione, la Calabria, cioè l'antica Magna Grecia come la terra dei Feaci, chiamata da Omero Scheria.

Quando Ulisse finì di raccontare la sua storia tutti i Feaci restarono muti, in silenzio; poi il re Alcìinoo promise ad Ulisse un equipaggio per il ritorno ad Itaca.

Un altro giorno una guida accompagnò, dalla città alla veloce nave, dopo aver seguito probabilmente il fiume Fallaco e il Corace fino alla riva del mare.

Nelle vicinanze dell'attuale Roccelletta di Borgia, alla foce del Corace, possiamo supporre l'esistenza in antico di un sito idoneo come porto perché vicino sono state trovate, pochi anni fa, due teatri dell'antica città greca di Schylletion.

Di là Ulisse potè ritornare, come Omero racconta, con vento dì Ovest direttamente alla sua patria Itaca, situata precisamente nella parte orientale dello stesso mar Jonio.

Ulisse parti dai Feaci poco dopo il tramonto del sole, ed il suo ultimo sguardo, probabilmente, cadde sul Monte di Tiriolo.

 


Ripetiamo in poche parole la nostra dimostrazione, che ho presentato soltanto abbreviata.

Abbiamo esaminato se i dati nautici forniti da Omero siano da prendere in considerazione per una ricostruzione geografica del viaggio di Ulisse.

Dall'analisi effèttuata emerge, che:

- dai dati direzionali dei viaggio forniti da Omero è possibile ricostruire un itinerario ipotetico;

- questo itinerario va conciliato con i dati della natura del Mediterraneo, identificando i luoghi esistenti nella realtà;

- questo itinerario è percorribile nei tempi di viaggio risultanti dal testo omerico.

Tutto questo porta alla conclusione, che alla base dell'Odissea di Omero stanno effettivamente conoscenze della geografia reale, che possono farci risalire ad esperienze dirette, o indirette, di viaggio.

Questo sìgnifica che nel suo poema Omero contestualizzò la leggenda di Ulisse, includendovi le rotte di navigazione all'interno del Mediterraneo.

In ogni caso il poema dellVIII secolo A. c. contiene veramente il rapporto di viaggio di un uomo, che nel Prologo viene definito:

"L'uomo ricco d'astuzie raccontami, o Musa, che a lungo
errò dopo ch'ebbe distrutto la rocca sacra di Troia;
di molti uomini le città vide e conobbe la mente,
molti dolori patì in cuore sul mare,
lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi"
(Odissea, I, 1-5)

Storicamente questo risultato è importante perché sulla base del/a nostra ricostruzione, abbiamo trovato nell'Odissea la più antica descrizione dell'Occidente e il primo documento scritto riguardante la storia d'Italia, precedente di alcuni secoli a tutte le altre testimonianze conservatesi sulla Sicilia e la Calabria.

Il viaggio descritto da Omero sembra veramente un viaggio di esplorazione; ciò non contraddice con il fatto che Omero certe volte parli di giganti e di altre forme mitiche, oltretutto nel "mito" si nutriva tanta letteratura antica; d'altra parte nessuno dubita che la lettera Colombo inviò al re spagnolo si fondi su esperienze reali dì viaggio, anche se parla di uomini che nascono con la coda.

Ora è noto come nell'epoca omerica, cioè nell'VIII secolo a. C., cominciò l'esplorazione e la colonizzazione greca in Occidente.

Fino ad oggi non abbiamo nessuna testimonianza scritta contemporanea alla colonizzazione ma se si accettano i risultati della nostra tesi otteniamo nel racconto omerico una testimonianza unica dei viaggi di esplorazione dei greci, immediatamente prima dei viaggi di colonizzazione.

D'altra parte la contemporaneità del racconto omerico e l'inizio della colonizzazione greca è ciò che rende la nostra teoria degna di fede, perché se i greci dell'epoca di Omero si recarono effettivamente per mare in Sicilia e nell'Italia meridionale, è da ritenere che Omero ne avesse conoscenza ed è possibile che ne faccia riferimento nel suo Poema.

Inoltre si trovano enorm4 sorprendenti, coincidenze.

Nelle regioni dove i greci non riuscirono a fondare delle colonie stabili (sulla costa dell'attuale Tunisia, a Malta, in Sicilia occidentale) Omero racconta storie di abitanti inospitali. I ciclopi ed i Lotofagi mangiarono uomini di Ulisse e gettarono pietre sulle navi; Eolo scacciò Ulisse dalla sua isola nella sua seconda visita.

Invece, dove i greci fondarono le loro colonie, in Sicilia orientale e nell'attuale Calabria, Omero racconta di territori disabitati o di uomini e popolazioni ospitali, come Tiresia ed Imera ed i Feaci in Calabria.

A questo punto è opportuno porre una domanda: la nostra teoria può essere ancor più convalidata dai risultati provenienti da scavi archeologici?

La civiltà di Calabria nell'epoca omerica, cioè nella tarda età del Bronzo e la prima età del Ferro, è ben nota: straordinari sono i ritrovamenti archeologici risalenti a quest'epoca, che possono ammirarsi nel Museo Nazionale di Reggio Calabria: magnifiche ceramiche, splendidi bracciali, anelli, fibule, aste, armi.

Secondo Omero il re dei Feaci regalò ad Ulisse una spada di bronzo ornata di avorio.

Nel Museo di Reggio Calabria è conservata una spada simile. E' certo, che nell'epoca omerica, gli elefanti avevano smesso di calcare, se mai lo avevano fatto, il suolo calabrese, dunque, il ritrovamento di quel frammento di avori testimonia che le popolazioni indigene pre-ellenistiche erano dedite al commercio via mare così come Omero dice dei Feaci. Comunque i ritrovamenti di maggior pregio provengono dalle aree meridionali della regione; purtroppo, mancano a tutt'oggi ritrovamenti interessanti di epoca omerica nella provincia di Catanzaro. Da quest'area abbiamo solo sporadici ritrovamenti: ma le armi ritrovare proprio a Tiriolo e le fibule di bronzo, testimoniano che il grado di civiltà raggiunto dalle popolazioni che risiedevano nell'area dell'istmo di Catanzaro, era simile a quello delle altre aree della regione, più ricche di ritrovamenti.

Ancora non conosciamo il nome di questa popolazione indigena, che abitava la regione nel corso dell'VIII secolo a. C. e prima.

In onore del Poeta, che l'ha descritta per primo, propongo di chiamarla col nome che Omero le diede, TERRA DEI FEACI perché se mai questa è esistita nella realtà doveva essere nella Calabria attuale, particolarmente nel più breve istmo fra i due mari, cioè nei cuore dell'attuale provincia di Catanzaro.

Se la terra dei Feaci si trova in quest'area, e Tiriolo ne era la capitale e il porto sullo Jonio era nei pressi della greca Schylletion (Roccelletta di Borgia), l'Odissea, insieme ad una citazione del più antico storico siciliano, Antioco di Siracusa (vissuto verso la fine dell'VIII secolo a. C.), acquista un valore straordinario.

Antioco scrisse:

"L'intiera terra fra i due golfi di mari,
il Nepetinico [S. Eufemiaj e lo Scilletinico [Squillace],
fu ridotta sotto il potere di un uomo buono e saggio,
che convinse i vicini, gli uni con le parole, gli altri con la forza
Questo uomo sin chiamò Italo che denominò per primo
questa terra Italia. E quando italo si fu impadronito
di questa terra dell'istmo, ed aveva molte genti
che gli erano sottomesse, subito pretese anche i territori confinanti
e pose sotto la sua dominazione molte città".

Successivamente il nome di Italia si estese dalla parte dell'istmo di Catanzaro, all'intera Calabria attuale e, quindi all'intera penisola.

Secondo la testimonianza riportata da Antioco, vi era effettivamente una civiltà evoluta, che precedette la colonizzazione greca, negli stessi luoghi descritti da Omero come "terra dei Feaci".

Se, dunque, dai risultati degli scavi nell'area dell'istmo calabrese verrà fuori la terra dei Feaci, troveremo in Tiriolo la prima capitale d'Italia

 

 

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