Cenni storici

Antiquarum comunale

Le origini del nome

Itinerario guidato su alcune zone archeologiche di Tiriolo

Le prime notizie relative ad insediamenti umani nel territorio di Tiriolo si devono alle ricerche condotte nel XIX sec. da studiosi quali il Lovisato, il Foderaro, il Topa ed altri.

Dalle loro relazioni e dagli abbondanti ritrovamenti di materiali litici, si può intuire l'evolversi dei gruppi primitivi che popolavano il territorio di Tiriolo.

Le più antiche tracce di insediamenti si sono riscontrate nelle grotte naturali del monte, omonimo al paese e nella valletta di Sovarico, dove si sono ritrovati oggetti appartenenti all'ultima fase dell'età della pietra (asce levigate, scalpelli rudimentali, raschiatoi di ossidiana, ecc..).

L'esigenza di procurarsi il cibo anche nei mesi invernali, modificò le abitudini dell'uomo della zona, che da cacciatore si trasformò in agricoltore e pescatore e dalle grotte scese in località Donnu Pietru, dove si sono rinvenuti oggetti dell'età del bronzo e del ferro e dove si presuppone che si sia consolidato un primo centro protostorico, di progredito livello sociale, già nodo di interessanti scambi commerciali per le popolazioni dell'Istmo.

L'arrivo dei coloni greci nello Jonio (VIII - VII secolo a.c.) ha soffocato, con la propria organizzazione culturale, politica ed economica, questo centro indigeno, inglobandolo, con un processo di graduale acculturazione.

L'influenza egemonica dei colonizzatori greci si presuppone che si sia protratta fino alla metà del IV sec. a. C., periodo in cui i Bretti, provenienti dal Nord, conquistarono l'Istmo lametino.

Quasi certamente tra il 356 ed il 346 a.C. nel luogo dell'antico centro protostorico, che aveva subito l'influenza magno-greca, si impiantò un nucleo osco-brettio, sorto dapprima con intenzioni strategiche sul punto di dominio dell'Istmo.

Successivamente si verificò un pacifico assestamento politico, economico e culturale del centro, che tra il IV ed il III sec. a.C. raggiunse la sua massima espansione.

Il ritrovamento di vari bolli stampigliati all'interno di alcuni vasi ha permesso di individuare in tale periodo a Tiriolo la presenza di almeno un'officina destinata a riprodurre forme atte a soddisfare il fabbisogno locale e degli altri centri, lungo le valli del Corace e dell'Amato che gravitano su Tiriolo.

La presenza, tra le rovine di una casa signorile del 310-300 a.C., di frammenti di vasi contenenti un prodotto raffinato come il vino proveniente da Rodi, oltre a confermare Tiriolo quale centro recetore di un mercato attivo della costa, si collega a fattori economici e politici di straordinaria importanza .

Nella prima metà del III sec. a.C., è verosimile si sia verificato un fenomeno di "agglutinamento ellenico" delle popolazioni Brettie, che assunsero abitudini e strutture grafico linguistiche greche.

In questo clima di coesione economica e culturale si affacciò la potenza conquistatrice di Roma (numerosi sono stati ritrovamenti nel territorio di Tiriolo di monete di emissione romana-campana).

In conseguenza dell'arrivo di Pirro e in un clima di incertezza politica, i Bretti dovettero cedere a Roma metà della Sila. subendo così un duro colpo per la loro economia che dalla pastorizia e dallo sfruttamento del legno traeva decisivi mezzi di sostentamento.

Di conseguenza l'evento della II guerra punica (218-202 a.C.) rappresentò per i centri Bretti (frazionati nella politica e nel territorio) un'illusoria speranza di autonomia dal potere di Roma.

Gli abbondanti ritrovamenti di denaro punico in località Donnu Pietru fanno supporre che anche Tiriolo fosse stata alleata di Annibale.

Sconfitti i Cartaginesi, Roma rispose severamente al tradimento subito e il Feri (con tesi non del tutto confermabile) presuppone che Tiriolo sia stata rasa al suolo per punizione.

Al di là di ogni pur suggestiva ipotesi, certo è che l'emanazione del Senatus Consultum de Bacchanalibus (186 a.C.) da un'attenta lettura, denota l'intenzione di Roma di limitare le libertà del popolo indigeno, vietando i raggruppamenti delle persone del luogo, che, probabilmente, col pretesto del culto orgiastico-religioso in onore di Bacco, cospiravano contro il potere centrale.

Secondo Tito Livio (XXXIX, 41), nel 183 a.C., Lucio Postumio, si incaricò di riportare l'ordine nelle province dell'Italia meridionale infestata da culti orifici.

E', dunque probabile che alla legge del 186 a.C., evidentemente non molto osservata, seguì la repressione armata (183 a.C.).

Dopo un periodo di stasi verificatosi a partire dal II secolo a.C., conseguente all'abbandono del centro osco-brettio, tra il primo secolo a.C. ed il I sec. d.C. la penetrazione romana nel territorio tiriolese è caratterizzata dalla costruzione di vasti complessi di ville rustiche, i resti delle quali sono state scoperte in località Santu Janni.

In età alto medievale, quando le esigenze di difesa dovettero farsi più pressanti, venne costruito un vasto complesso fortificato, con torri quadrangolari e cinta muraria, il cui nucleo più antico può farsi ascendere al VII-IX secolo d.C.; così come era avvenuto in età medio ellenistica la montagna rappresentava l'estremo rifugio per la popolazione.

Tra il IX e l'XI secolo della nostra era l'Italia meridionale e l'Istmo di Catanzaro furono teatro di continue incursioni di pirati Saraceni (o Musulmani) prima, dei Normanni dopo, che costringevano le martoriate popolazioni a subire continui saccheggi.

Durante una di queste incursioni, nel 929-930, il condottiero Sabir (Schiavone) assalì "la rocca di Tarwlah" (Teriolo) e racolse "dodici mila prigionieri".

Castello "Sant'Angelo" e Palazzo Schettini.

Progressivamente la fortificazione sulla montagna venne abbandonata e il nucleo abitativo trasferito sulla cima dell'attuale centro storico, sviluppandosi e proteggendosi attorno al castello.

Intorno alla fine del X secolo nel territorio attuale di Tiriolo, posto su un colle a controllo del fiume Corace e a protezione di Catanzaro, venne costruito il "castrum" di Rocca Falluca che prese il suo nome dai primi feudatari normanni Ugone e Mihera di Faloch.

Il XIII ed il XIV secolo videro la comparsa e la dominazione di una nuova dinastia straniera nel Regno di Napoli, gli angioini, con la sostituzione dei nuovi feudatari di origine francese a quelli di più antica stirpe normanna-sveva.

Nel '300 Tiriolo entrò a far parte del vasto dominio feudale dei Ruffo, marchesi di Crotone e conto di Catanzaro, rimanendovi, pur nelle alterne vicende storiche fino alla metà del '400 quando la marchesa Enrichetta Ruffo ed il marito Antonio Contelles si ribellarono al nuovo sovrano Alfonso I d'Aragona, entrando così a far parte del vasto demanio regio.

Nel 1481 il Re Ferdinando I fu costretto, per reperire nuove entrate alla finanze regie provate dalla guerra contro i turchi, a vendere "la terra di Teriolo, Rocca Falluca e Gimigliano" a Galeotto Carafa.

Nel corso del Cinquecento Tiriolo conobbe un altro periodo caratterizzato da continue guerre, carestie e pestilenze che ne fecero diminuire la popolazione.

Nel 1610 Francesco Maria Carafa Duca di Nocera vendeva Tiriolo al Conte Carlo Cigala-Doria della città di Messina, ai cui discendenti appartenne fino al tramonto della feudalità.

Sotto il dominio dei nuovi feudatari il paese crebbe e si sviluppò, contava otto chiese, due conventi, il castello e alcuni palazzi signorili dai pregevoli balconi in ferro battuto.

I nuovi mercanti-baroni diedero nuovo impulso all'economia, fungendo da intermediari tra la Calabria e Messina per il commercio della seta; acquistando nuovi terreni e concedendoli alle famiglie di contadini che intendevano stabilirsi nel loro feudo; costruendo sulle rive del Corace e dell'Amato nuovi mulini per la macina del grano e trappeti per la lavorazione delle olive e la produzione di un olio pregiato che veniva esportato fino a Napoli (Le architetture rurali).

Tra la fine del '600 e nel corso del '700 Tiriolo subì continui danni dai terremoti. A tal proposito si ricorda la notte del 29 marzo 1783: il paese fu sconvolto da una tremenda scossa che oltre a provocare seri danni alle chiese, ai palazzi provocò la morte di sette persone (De' Terremoti della Calabria Ultra nel 1783 e 1789 - Saggio scritto da V. De Filippis). La popolazione fu costretta, per paura di nuove scosse, a rimanere a lungo nelle tendopoli e nelle baracche sorte su tutto il territorio.

Nel corso del '700 la situazione di crisi delle campagne andava aggravandosi, le riforme promosse dalla monarchia ebbero un'efficacia assai scarsa. Le idee rivoluzionarie rimasero circoscritte a ristretti gruppi di intellettuali, mentre il malcontento dei contadini si indirizzava verso la borghesia locale piuttosto che contro il governo.

Nel 1799 veniva proclamata a Napoli la Repubblica Partenopea della quale venne chiamato a far prrte il matematico e filosofo tiriolese Vincenzo De Filippis, dapprima come presidente della commissione finanze e successivamente, in seguito alle dimissione del Conforti, come Ministro dell'Interno.

Venne giustiziato insieme ad altri sette patrioti il 28 novembre 1799.

Nel corso della breve esistenza della Repubblica Partenopea i riformisti ed illuministi napoletani, soprattutto per l'appartenenza di molti di loro alla grande borghesia, non riuscirono ad attuare una serie di riforme, quali la legge eversiva della feudalità o quella sui demani, che avrebbero potuto attrarre alla rivoluzione quei ceti popolari che invece finirono col seguire l Cardinale Ruffo all'ombra della Santa Fede.

Nel 1806 quegli stessi contadini che pochi anni prima erano insorti in nome del Re contro i proprietari e che avevano viste deluse le loro aspettative, almeno all'inizio non presero le armi contro i francesi.

Ma le difficoltà insorse nel corso del decennio francese (1806-1815) caratterizzato da una profonda crisi agricola dovuta sia all'arretratezza delle tecniche di coltura sia a difficoltà economiche generali e del commercio in particolare, portarono, come estrema conseguenza, ad un'intensificarsi del fenomeno del brigantaggio.

Tra le cause occorre considerare sia la reazione popolare ai soprusi delle truppe di occupazione, che colpivano indiscriminatamente, sia l'attività di agenti borbonici e dei Capi-Massa che già avevano seguito il Ruffo, sia soprattutto l'ostilità, dei contadini verso i proprietari di terre.

Si hanno documentate testimonianze che anche nel territorio di Tiriolo operarono nutrite bande di briganti che tra il 1806 ed il1811 commisero continue ruberie ed omicidi, tre questi viene ricordato Giuseppe Rotella sopronnominato per la sua crudeltà il "Boja".

Nel 1807, in piazza S. Elia, vennero giustiziati sette briganti, mentre numerosi altri vennero uccisi o catturati, fino all'estinzione delle bande avvenuta nel gennaio 1811 ad opera delle truppe del Generale Jannelli.

Nel 1860, doo lo sbarco e la liberazione della Sicilia e della Calabria, il Generale Garibaldi e le sue camicie rosse tra il 28 e il 29 agosto furono ospiti di Tiriolo. Da qui proseguirono per Soveria Mannelli, dove il 30 agosto le truppe borboniche del generale Ghio, forti di dieci mila uomini si arresero a Garibaldi.

Dopo l'unità d'Italia la storia di Tiriolo s'intreccia a quella di altri centri tipici della Calabria e, senza specifico rilievo, si spinge fino ai nostri giorni.

 

Il VERO VIAGGIO DI ULISSE

(La ricostruzione del mondo secondo Omero)

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