HOME


 

Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti:

innovazioni ed opere architettoniche

Filippo Brunelleschi (Firenze, 1377-1446):

Filippo Brunelleschi, architetto e ingegnere, scultore e pittore, è universalmente considerato il pioniere del Rinascimento italiano e l’inventore di una concezione dell’architettura che avrebbe dominato la scena artistica europea almeno fino alla fine del XIX secolo.

Attraverso un appassionato studio dell’antichità che lo portò più volte a Roma a partire dal 1402, egli reagì all’anticlassicismo dell’architettura e della cultura artistica tardo gotiche, rifacendosi con coerenza al linguaggio degli antichi e proponendo nuovi sistemi progettuali basati sulla modularità delle strutture. Chiave di questa svolta culturale e tecnica fu l’invenzione della prospettiva a punto unico di fuga, nella quale la grande tradizione tecnica degli architetti e dei maestri toscani si coniugava con le nuove tendenze del pensiero scientifico, tutte convergenti versi l’impiego sempre crescente degli strumenti matematici nello studio della realtà.

Brunelleschi diede la dimostrazione pratica del nuovo metodo prospettico in due tavole raffiguranti due paesaggi urbani fiorentini.

Le tavole andavano guardate attraverso un foro in esse praticato; in questo modo l’occhio dello spettatore si dispone, rispetto all’immagine, nella posizione più corretta, in coincidenza con il punto di fuga unificato dalle ortogonali di profondità e alla distanza voluta dall’immagine. Era così stabilita la convergenza delle ortogonali verso un punto focale e determinata geometricamente la diminuzione proporzionale dei corpi inseriti nello spazio, nonché la scorciatura dei piani ortogonali al piano dell’immagine, in relazione alla posizione e alla distanza dallo spettatore.

Il sistema brunelleschiano venne poi codificato da Leon Battista Alberti nel De pictura (1435). In questo trattato troviamo esemplarmente formulata l’idea del dipinto come una finestra affacciata su di uno spazio artificialmente creato, dell’imitazione della realtà come scopo centrale della pratica prospettica e la centralità dell’uomo come spettatore del mondo, in quanto il dipinto prospettico ne riproduce la percezione oculare. "Il quadro -scrive Alberti– è un’intersezione piana della piramide visiva", cioè dei raggi che uniscono l’occhio dello spettatore all’oggetto da rappresentare.

L’elaborazione delle regole della prospettiva,insieme allo sforzo di enucleare i principi geometrici su cui organizzare la riproduzione e la creazione dello spazio, stette alla base e definì il senso del ritorno all’antichità. L’uso degli ordini architettonici classici fu, però, per Brunelleschi, soltanto uno strumento di controllo matematico della progettazione. L’architettura classica venne intesa come modello dell’esatta misurabilità dello spazio, come esempio evidente della possibilità concreta di sottoporre tutta la corposa realtà dello spazio architettonico a rigorose formule matematiche.

Con Brunelleschi si definì, inoltre, un nuovo sistema di organizzazione del cantiere e del lavoro edilizio e si inaugurò una nuova figura sociale di architetto che non era più un sovrintendente ai lavori, come in età medievale, bensì un intellettuale, colto ed aggiornato, che concepiva e preparava il progetto della struttura generale e dei particolari dell’edificio.

Leon Battista Alberti (Genova, 1404- Roma, 1472):

Leon Battista Alberti, architetto e teorico dell’architettura, si applicò nei più diversi settori culturali, lasciando testi filosofici e politici,trattati di architettura, scultura e pittura, commedie e opere letterarie, e divenendo così una figura emblematica del Rinascimento.

Fervente diffusore del classicismo fiorentino, portò avanti le istanze più innovative di Brunelleschi.

Un suo interrese costante fu la ricerca di regole, teoriche e pratiche, capaci di guidare il lavoro degli artisti. Alberti per primo avverti il delinearsi di una situazione diversa dal passato: gli artisti non erano più artigiani perché fondavano il loro operare sui principi della matematica, della geometria, dell’ottica, delle scienze naturali,. E nei suoi trattati teorici diede un fondamentale contributo perché questo processo andasse avanti.

Nel De statua analizzò per primo e sistematicamente le proporzioni del corpo umano; nel De pictura non solo diede la prima definizione teorica e pratica della prospettiva scientifica, ma sottolineò le premesse intellettuali dell’attività pittorica. Infine, nel De re aedificatoria descrisse tutta la vastissima casistica relativa all’architettura moderna: vi è sottolineata l’importanza del progetto, prioritario rispetto all’edificio che ad esso si deve conformare; vi sono analizzate le diverse tipologie degli edifici in relazione alla loro funzione, la forma della città e delle sue parti, sia da un punto di vista stradale che architettonico. L’aspetto innovativo delle sue proposte consiste in sintesi nel contrapporre alla pratica architettonica gotica, fondata sulla moltiplicazione degli ornamenti, il ritmo rigorosamente scandito dalla struttura di un edificio, esaltando così la prassi degli antichi e quella moderna inaugurata da Brunelleschi. Secondo Alberti l’architetto deve essere un’intellettuale, preparato in tutte le discipline liberali, ma la sua opera deve essere valorizzata da un’adeguata committenza. La classe sociale a cui Alberti fa idealmente riferimento nei suoi trattati etici è l’alta borghesia illuminata fiorentina. Alberti non si confronta più, come Brunelleschi, con le istituzioni di una comunità cittadina e repubblicana, ma con l’ambiente cosmopolita delle corti.

Ha inizio con lui il processo di trasformazione dell’artista rinascimentale in cortigiano, tecnico dell’immagine al servizio del principe, che caratterizzerà la storia sociale degli artisti dalla metà del Quattrocento in poi. Oltre che per l’alta borghesia fiorentina, Alberti lavorò infatti al servizio del papato, degli Este a Ferrara, dei Malatesta a Rimini e dei Gonzaga a Mantova, e intrattenne rapporti personali ai più alti livelli sociali, persino con duca di Urbino Federico da Montefeltro.

 

 

Firenze:

 

1401

Il sacrificio di Isacco

Bronzo dorato, 45X38 cm

Museo nazionale del Bargello

In questo rilievo, presentato al concorso bandito dall’Arte della Lana per la seconda porta bronzea del Battistero di Firenze,che aveva come tema il passo biblico del sacrificio di Isacco, Brunelleschi esalta il carattere energico e l’autonomo agire degli attori della scena, in contrasto con il paesaggio, che ha un ruolo minore. Brunelleschi, per la propensione al calcolo delle forze, all’esaltazione della struttura geometrica e della spazialità, dimostrava già in questo rilievo giovanile una mentalità che era potenzialmente quella di un architetto moderno.

 

1419-44:

Ospedale degli Innocenti

 

L’Ospedale degli Innocenti presenta una struttura chiarissima: un porticato rettilineo dà accesso ad un cortile quadrato e a due edifici rettangolari di uguali dimensioni, la chiesa e la sala dov’erano i letti dei fanciulli (l’abituro). In un sottostante piano seminterrato erano i saloni per la scuola e l’officina.

E’ il primo edificio classico dopo la fine dell’era antica. La facciata è scandita da un porticato di archi a tutto sesto retti da colonne corinzie, la cui distanza costituisce il modulo metrico che regola l’intero edificio.

Facendo ricorso alla bicromia, Brunelleschi separa chiaramente le strutture portanti (capitelli, ghiere degli archi) in pietra serena grigia dai supporti murari più chiari. L’armonioso porticato acquista poi valore urbanistico, fungendo da cerniera fra l’orfanotrofio e la piazza.

 

1420-36

Cupola di Santa Maria del Fiore

La grande innovazione introdotta da Brunelleschi nella costruzione della cupola mattonata, percorsa e sorretta da otto grandi costoloni bianchi, fu l’uso di una struttura portante in ogni fase del lavoro. A tale distanza dal suolo non era infatti concepibile usare le armature in legno (centine), come voleva la tecnica tradizionale. Adottando una doppia calotta, interna ed esterna, Brunelleschi semplifico ed irrobustì la costruzione, facendo poggiare quella esterna, parallela alla prima, su ventiquattro supporti innalzati sopra gli spicchi della cupola interna. Toccò a Brunelleschi pensare ai congegni meccanici necessari a risolvere i complessi problemi della messa in opera: progetto ogni aspetto della cupola ricoprendo, per la prima volta nella storia dell’architettura moderna, l’incarico di responsabile unico di questo progetto.

La cupola venne consacrata sedici anni dopo. Da un punto di vista simbolico-religioso essa rappresentava la corona trionfale della Vergine, cui era dedicato il Duomo fiorentino. Ben più importante era, però, il significato terreno, sociale e politico dell’opera. Emblema di una città che dilatava territorialmente i suoi confini la cupola si innalzava con la sua espansa volumetria, sopra i tetti della città medievale, staccandosi dal sottostante corpo della basilica a dimostrazione di un modo nuovo di considerare la storia e lo spazio. La bianca cupola per l’essenzialità delle sue linee, per l’effetto plastico indotto dal contrasto tra l’ammattonato rosso delle calotte ei bianchi costoloni curvilinei, diviene il centro pulante di un ampio sistema urbano e domina idealmente l’intera regione.

 

1419, 1422-70

San Lorenzo (interno)

Per la chiesa di San Lorenzo l’architetto si rifece esplicitamente al modello locale di Santa Croce e di Santa Maria Novella: chiesa a tre navate, con transetto, e cinque cappelle aperte sul lato di fondo, la centrale larga quanto la navata maggiore, le laterali quanto le navate minori. Il proposito è quello di collegare razionalmente strutture aventi diverse misure e di dare luogo ad un complesso armonioso e austero che riprende il tema della basilica classica.

 

1422-28

Sagrestia vecchia di San Lorenzo

 

Nella sagrestia vecchia di San Lorenzo, Brunelleschi dovette risolvere il problema del rapporto tra spazi strutturalmente analoghi.

Egli accosta due vani a base quadrata ma di diversa altezza: la sagrestia vera e propria e al piccola scarsella dell’altare. Sopra il varco cubico della sagrestia innesta una cupola ad ombrello suddivisa in dodici spicchi, sorretta da pennacchi a triangolo sferico, che traggono forse la loro ispirazione da alcune chiese medioevali toscane e da certi monumenti romanico-bizantini dell’Italia settentrionale, particolarmente del Battistero padovano.

La sagrestia assume così le sembianze di un sacello antico ed è, soprattutto, la dimostrazione di un teorema ritmico dove forme geometriche diverse, elementi sferici e cubici, e spinte verticali e orizzontali si accordano entro un’insieme di valenza simbolica.

Le tre finestre inquadrate dagli arconi sono infatti allusioni alla Trinità, mentre il quadrato di base allude al numero degli evangelisti e l’ombrello a dodici spicchi della volta richiama il numero degli apostoli.

 

1429-61

Cappella Pazzi

 

Nel 1429 Brunelleschi ricevette dal nobile fiorentino Andrea Pazzi l’incarico della costruzione della cappella nel Chiostro della chiesa di Santa Croce a Firenze. I lavori cominciarono verso il 1433, ma alla morte dell’architetto l’opera era ancora incompiuta, come dimostrano la data apposta sull’intonaco esterno del tamburo della cupola (1459) e quella sull’estradosso della cupoletta del portico (1461).

Lo schema planimetrico della Cappella Pazzi una versione più complessa della Sagrestia Vecchia di S. Lorenzo (1421-28). Mentre quest’ ultima ha un impianto quadrato centrale coperto da una cupola emisferica su pennacchi e con un lato aperto per dar luogo al coro, anch’esso quadrato ma di dimensioni minori, nella Cappella Pazzi l’aula è rettangolare e il quadrato del coro è compensato da un atrio quadrato affiancato da portici. In questo modo, ciascuno dei quattro lati

del quadrato principale viene modificato pervenendo a una sintesi di spazio centrale e spazio longitudinale attraverso un serie di accorgimenti proporzionali e strutturali.

 

1440-65 (progetto del 1428):

Santo Spirito

 

Il fulcro della composizione è l’incrocio dei bracci del transetto sotto la cupola in funzione della quale si organizzano le due direzioni del percorso: la pianta a croce latina raggiunge la sua più efficace espressione.

La pianta della chiesa appare rigorosamente definita da un costante modulo metrico che stabilisce l’ampiezza della navata maggiore e di quelle laterali, che si prolungano intorno al transetto e al coro, come a formare un deambulatorio continuo, il cui perimetro esterno è mosso da quaranta cappellette di larghezza pari alle campate delle navate e tutto il progetto acquista così uno straordinario rigore metrico.

 

1446-1451

Palazzo Rucellai

 

I Rucellai, committenti dell’opera, nonostante possedessero ingenti ricchezze accumulate grazie all’esercizio della mercatura dei panni di lana, non rivestirono mai posizioni di primato nella vita politica di Firenze, e la loro fama deriva soprattutto dall’opera di mecenatismo dall’amore per la cultura di alcuni componenti della famiglia. Fra questi Giovanni di Paolo Rucellai (1403-81) che commissionò ad Alberti, oltre al Palazzo, la Loggia Rucellai, il completamento della facciata di Santa Maria Novella, il Tempietto del Santo Sepolcro nella Cappella Rucellai in San Pancrazio.

Palazzo Rucellai, iniziato nel 1446 e terminato nel 1451, venne realizzato in anni durante i quali molte famiglie fiorentine commissionarono a diversi architetti la costruzione di eleganti palazzi di abitazione civile.

Lo schema base scelto dall’Alberti per la realizzazione di Palazzo Rucellai si discosta da quello della maggior parte dei palazzi fiorentini (quadrato con un vasto cortile centrale). Lo schema costruttivo del palazzo è il corpo unico, suddiviso in tre piani conclusi da un’altana, una costruzione a loggia posta sul tetto e non visibile dalla strada in quanto arretrata rispetto alla facciata.In esso si assiste, inoltre, al primo coerente tentativo di applicare gli ordini classici alla facciata di un palazzo, dimostrando come questi si addicano all’abitazione civile non meno che al tempio cristiano.

La facciata è rigorosamente suddivisa in moduli verticali dalle lesene di ordine diverso (di tipo tuscanico al piano terreno, di tipo corinzio -anziché ionico– di forma alquanto ricca al primo piano e di tipo corinzio più semplice al secondo piano). In pratica Alberti applica il modello fissato dal Colosseo, in cui i due ultimi piani hanno colonne corinzie seguite da lesene anch’esse corinzie.

La suddivisione orizzontale è ottenuta mediante le fasce marcapiano decorate e l’imponente cornice, il cui fortissimo aggetto poggia su di una serie di mensole classiche inserite nel fragio. In tal modo lo spettatore che guardi il palazzo dalla strada può considerare il cornicione come parte organica a un tempo dell’ultimo piano e dell’edificio nel suo complesso. L’ampia grondaia modanata sporgente in alto chiude il volume dell’edificio e ne restituisce un’immagine geometricamente perfetta, definita solo da linee rette.

Le lesene inquadrano porzioni di muro bugnato a conci levigati che, con i decori dei fregi e con il motivo del basamento scolpito a rombi a imitazione dell’opus reticulatum, sono anch’essi reminiscenze della Roma classica.

Al piano terreno le lesene scandiscono le campate caratterizzate dalle aperture trabeate e dalle finestre quadrate con profili sottolineati da cornici. Nei piani superiori le lesene, invece, incorniciano le bifore, motivo ripreso in chiave classica dall’architettura romanica.

In quest’opera Alberti rivela chiaramente il suo atteggiamento verso l’antichità e la sua propensione a considerare l’architettura romana come norma per l’architettura moderna: le citazioni di elementi classici si combinano infatti con la rigorosa razionalità geometrica rinascimentale e con l’armonico inserimento dell’edificio fra le altre architetture che costituiscono la quinta urbana. L’equilibrio e l’armonia delle proporzioni che si percepiscono osservando la facciata del palazzo non vengono suggeriti solo dal ritmo regolare e cadenzato degli elementi, ma anche dal trattamento del muro come massa articolata, nella quale i delicati chiaroscuri creati dalla decorazione delle superfici a bugnato e dall’impiego di conci levigati si combinano con la zona d’ombra prodotta dalla cornice superiore.

 

1456 ca.

Santa Maria Novella (facciata)

 

La predilezione albertiana per la modularità emerga anche nella facciata della chiesa di Santa Maria Novella, progettata nel 1456 su commissione del mercante Bernardo Rucellai. Rispetto alla facciata del Tempio Malatestiano a Rimini (1450), creata ex novo, l’intervento a Santa Maria Novella era più complesso, poiché andavano mantenuti elementi preesistenti: in basso le tombe inquadrate da archi a sesto acuto e i portali laterali e, superiormente, era già stabilita la quota di apertura del rosone.

In basso, Alberti inserì al centro un portale classico, e pose una serie di archetti a tutto sesto a conclusione delle lunghe paraste addossate alla facciata; proseguì superiormente con un secondo ordine di paraste a sostegno di un frontone triangolare. Per legare le due parti (inferiore e superiore) Alberti adottò come cerniera un altissimo attico, che al contempo univa e separava le due parti e mascherava le eventuali contraddizioni e completò la composizione con incrostazioni a tarsia ispirate al protoromanico fiorentino. Due volute colmano gli angoli di incontro dell’attico e dell’ordine superiore, mascherando gli spioventi del tetto. Ne risultò un’opera piena di armonia. Un gioco nascosto di proporzioni razionalizza infatti l’insieme, anche se la decorazione a tarsie contraddice tale intelaiatura armonica , essa non compromette il risultato finale, anzi evita che un’eccessiva regolarità possa dare luogo ad un risultato monotono.

Rimini:

 

Dal 1450

Tempio Malatestiano

Il Tempio Malatestiano, esaltando il valore della grandezza terrena, il tratto distintivo del Rinascimento, il culto dell’ individualismo. La morte di Sigismondo Malatesta, committente dell’opera, impedì il compimento del progetto albertiano e il tempio restò privo della parte superiore della facciata, della fiancata sinistra e della tribuna. Il tempio, nelle intenzioni di Malatesta, finiva per essere una commistione di ideali classici e cristiani. Alberti diede corpo a tali idee inglobando il vecchio edificio della chiesa di San Francesco entro un guscio murario ispirato a modelli romani, ma in parte anche gotico-veneti. Per la prima volta nella storia dell’architettura rinascimentale la forma di un arco trionfale fu adattata alla facciata di una chiesa per inquadrarne il portale centrale, mentre, ai lati, due archi minori avrebbero dovuto inquadrare i sepolcri di Sigismondo e della moglie Isotta. Nella parte superiore della facciata, Alberti intendeva rialzare soltanto la parte centrale, conclusa in forma semicircolare. Sulle fiancate era prevista una teoria di arcate, desunta dagli acquedotti romani, come inquadramento per le arche funerarie degli uomini illustri riminesi. L’edificio come un tempio antico si innalzava su di un alto stilobate e le sue proporzioni manifestavano un’intricata rete di rapporti modulari tra le diverse parti.

 

Mantova:

 

Dal 1460

San Sebastiano (facciata)

La chiesa di San Sebastiano è solo ipoteticamente ricostruibile secondo il progetto albertiano originario, essendo stata parzialmente manomessa. In pianta presenta una forma centralizzata, ad aula quadrata, preceduta da un atrio. Altre misure sono stabilite dall’inscrizione del quadrato di base entro un secondo quadrato, di area doppia, che definisce la profondità delle tre absidi aperte nei tre lati lasciati liberi dall’ingresso. La facciata era stata concepita come quella di un tempio antico, spartita da sei grandi lesene che dovevano sorreggere il timpano triangolare e fronteggiata da una grande scalinata. L’architrave e la base del timpano erano, però, interrotti, nell’intercolumnio centrale, da uno stretto arco di tipo siriaco, secondo il modello antico della fiancata dell’arco di Orange.

 

Dal 1470

Sant’Andrea (facciata)

La chiesa di Sant’Andrea venne anch’essa completata, nella tribuna e nella cupola, secondo un disegno estraneo ad Alberti. Per questa chiesa esisteva un preesistente progetto dell’architetto Antonio Manetti, a cui Alberti contrappose un modello alternativo che definì "più capace, più eterno, più degno, più lieto" e disse ispirato ad un modello etrusco: una basilica con un’unica grande navata su cui si aprono cappelle laterali.

Contraddistingue la chiesa il tema figurativo dell’arco trionfale classico ad un solo fornice che compare in facciata e, nell’interno, sulle pareti della navata, a inquadrare gli ingressi alle cappelle. La grande volta della navata e quelle, a diversi livelli, degli atri d’ingresso si ispirano all’architettura romana di età tardoantica. Quanto la disegno geometrico, il progetto era di estremo rigore, paragonabile a quello di Brunelleschi per Santo Spirito, on solo per l’armonia della facciata, perfettamente inscrivibile in un quadrato, ma perché tutte le misure della navata, in pianta e in alzato, si conformano ad un preciso modulo metrico. La facciata, però, che ripeteva all’esterno il disegno parietale della navata, non poteva coprire tutta l’altezza della chiesa. Alberti decise di lasciare scoperta l’altezza della volta sopra la facciata, anticipando così certe sperimentazioni architettoniche successive, volte a saggiare le potenzialità del linguaggio classico, ma anche i suoi limiti.