(Nome ufficiale République Française), repubblica dell'Europa occidentale, delimitata
a nord dal canale della Manica, dallo stretto di Dover e dal mare del Nord (che la separano dalla
Gran Bretagna); a nord-est dal Belgio, dal Lussemburgo e dalla Germania; a est dalla Germania,
dalla Svizzera e dall'Italia; a sud-est dal mar Mediterraneo; a sud dalla Spagna e a ovest dall'oceano
Atlantico. La
Repubblica Francese comprende i dipartimenti d'oltremare della Guayana
Francese,
in America meridionale, della Martinica e della Guadalupa, nelle Indie
Occidentali, e di Riunione, nell'oceano Indiano; le collettività territoriali di Saint-Pierre
e Miquelon
e Mayotte; e i territori d'oltremare di Nuova Caledonia, Polinesia francese, Territori australi e
antartici francesi e isole Wallis e Futuna. Il paese ha una superficie di
543.965 km2, comprendente anche l'isola
della Corsica nel Mediterraneo; la capitale è Parigi.
Territorio
Il territorio francese può
essere suddiviso in tre regioni fisiche, rappresentate rispettivamente dai
rilievi orientali e meridionali, da un altopiano centromeridionale e da una
vasta regione pianeggiante o lievemente ondulata. Una serie di massici
montuosi, tra cui una vasta sezione delle Alpi e del Giura, segnano i confini
franco-italiano e, in parte, franco-svizzero: tra questi il monte
Bianco
(4807 m), la seconda cima più elevata d'Europa. La catena del Giura, che sul
confine franco-svizzero presenta un'altitudine massima di circa 1710 m, si estende
dall'area orientale della valle del Rodano al Territorio di Belfort, l'ampia
depressione che collega i bacini dei fiumi Saona e Reno; quest'ultimo segna il
confine con la Germania fino all'estremità nordorientale del paese. A nord del
Territorio di Belfort il massiccio dei Vosgi domina la regione estesa tra la
Mosella e il Reno, con vette la cui altitudine non supera i 1423 m. Lungo l'intero
confine con la Spagna si innalzano invece i Pirenei la cui cima più elevata
è il Pic de Vignemale (3298 m). Mentre la scarsità di valichi che attraversano
i Pirenei ha sempre rappresentato un ostacolo ai collegamenti tra Spagna e
Francia, numerosi sono, invece, i valichi e i passi alpini, tra i quali il colle del
Fréjus.
L'altopiano centromeridionale,
noto come Massiccio Centrale, è separato dai rilievi orientali dalla valle del
Rodano; quest'area è caratterizzata da formazioni vulcaniche chiamate Puys,
da altipiani calcarei profondamente erosi e, a sud, dai modesti rilievi della Cevenne, che ospitano un parco
nazionale.
Nella sezione nordoccidentale
del paese le valli dei fiumi Senna, Loira e Garonna creano una regione
particolarmente fertile delimitata a nord-est dalle Ardenne. Con i loro numerosi
affluenti, questi fiumi costituiscono un importante ed esteso asse idrografico
basato soprattutto sui collegamenti tra la Loira e la Senna. Il Rodano, che sfocia nel mar
Mediterraneo, attraversa le regioni alpine e riceve numerosi affluenti tra i
quali la Saona,
collegato attraverso una rete di canali artificiali alla Mosa e al Reno,
l'Isère e la Durance. Tra i principali affluenti della Senna, la maggiore
arteria del sistema idrografico interno, si citano i fiumi Aube, Marna, Oise e Yonne. In Francia si
estende inoltre parte del lago di Ginevra, attraversato dal confine con
la Svizzera.
La linea costiera francese
presenta pochi porti naturali. La costa settentrionale, bagnata dalla Manica e
dal mare del Nord, si articola in promontori, estuari e insenature minori che
offrono scarse possibilità di ancoraggio, con la notevole eccezione del porto
di Le Havre. Come a Cherbourg, in questa regione molti porti sono stati creati
costruendo dighe e frangiflutti. La costa atlantica ha invece un profilo
irregolare nel tratto compreso tra la penisola della Bretagna e la Gironda mentre a sud è bassa e
sabbiosa. Sull'Atlantico si affacciano i porti di Brest, Lorient e Saint-Nazaire mentre
lungo la costa mediterranea si trovano i grandi centri portuali di Marsiglia, Tolone e Nizza; il Mediterraneo bagna
la regione paludosa della Camargue e il litorale roccioso e
frastagliato della Costa Azzurra.
Clima
Il clima della Francia,
generalmente temperato, presenta in alcune regioni notevoli difformità: il
clima particolarmente mite delle regioni costiere mediterranee contrasta
infatti con quello rigido e ventoso delle regioni orientali. Le temperature
lungo la costa atlantica sono determinate dall'azione delle correnti oceaniche
e dei venti provenienti da sud-ovest mentre all'interno, in particolare nella
regione nordorientale, inverni rigidi si alternano a estati torride. La
temperatura media a Parigi è di 3 °C a gennaio e di 18 °C a luglio; a Lione la
temperatura estiva è leggermente più elevata. La media annua delle
precipitazioni varia nelle diverse regioni ed è compresa tra i 2000 mm annui
delle aree montuose più elevate e i circa 500 mm delle regioni mediterranee e
del bacino di Parigi. Lungo la costa atlantica la media delle precipitazioni è
di circa 1000 mm. Nelle regioni meridionali soffia spesso il mistral, un forte
vento proveniente dalla regione dell'altopiano centrale.
Flora e fauna
In Francia la flora presenta le
tipiche varietà dell'Europa continentale. Nel paese crescono infatti licheni e
muschi propri del clima artico-alpino come specie semitropicali quali ulivi e
aranci. Le foreste, che ricoprono circa il 27% del territorio, sono composte da
latifoglie quali castagni, faggi, carpini e querce e, a quote elevate, da
conifere. La fauna, come generalmente in tutta l'Europa occidentale, comprende
pochi esemplari di grandi mammiferi tra i quali i più comuni sono il cervo e la
volpe. Nelle regioni alpine si trova il camoscio, mentre il lupo e il cinghiale
sopravvivono in alcune aree boschive. Tra gli animali di piccola taglia
figurano il porcospino e carnivori della famiglia della donnola mentre rettili
quali vipere, lucertole e tartarughe vivono soprattutto nelle regioni
meridionali. Molto numerosa è l'avifauna che presenta un'ampia varietà di
specie, sia stanziali sia di passo: la Camargue ospita colonie protette di
fenicotteri. Le specie ittiche più diffuse nelle acque marine sono il merluzzo,
l'aringa, lo sgombro, la passera di mare, la sarda e il tonno.
Popolazione
La Francia ha una popolazione di
57.800.000 abitanti (1994), con una densità di circa 106 unità per km2, una delle più basse d'Europa. Dopo la seconda guerra
mondiale si è assistito nel paese a un incremento demografico dovuto al ritorno
in patria di cittadini emigrati nelle colonie e all'affluenza di manodopera
straniera. Oggi la popolazione, stanziata soprattutto nei distretti urbani, è
composta anche da minoranze (8%) portoricane, algerine, marocchine, italiane e
spagnole.
Suddivisioni
amministrative e città principali
La Francia metropolitana,
inclusa la Corsica, comprende 22 regioni, a loro volta divise in 96
dipartimenti. Le regioni sono Île-de-France, Rhône-Alpes, Nord-Pas-de-Calais,
Alsazia (Alsace), Aquitania (Aquitaine), Alvernia (Auvergne), Bassa Normandia
(Basse-Normandie), Borgogna (Bourgogne), Bretagna (Bretagne), Centre, Champagne-Ardenne,
Corsica, Franche-Comté, Alta Normandia (Haute-Normandie),
Linguadoca-Rossiglione (Languedoc-Roussillon), Limosino (Limousin), Lorena
(Lorraine), Midi-Pyrénées, Paesi della Loira (Pays de la Loire), Piccardia
(Picardie), Poitou-Charentes e Provence-Alpes-Côte d'Azur.
Oltre a Parigi, la capitale, le
principali città della Francia sono Marsiglia (800.550 abitanti), importante
centro portuale; Lione (415.487) specializzata soprattutto nella produzione
tessile; Tolosa
(358.688), centro industriale e commerciale; Nizza (342.439), centro di
soggiorno turistico; Strasburgo (252.338), porto sul Reno e centro industriale e
commerciale; Nantes (244.995), sede di zuccherifici e cantieri navali; Bordeaux (210.336) centro portuale
e di produzione vinicola; Montpellier (207.996), centro commerciale e
manifatturiero.
Lingua e religione
Lingua ufficiale del paese è il francese parlato dalla
maggioranza della popolazione. Numerose sono le minoranze linguistiche quali i bretoni in Bretagna, i baschi e i catalani nella regione dei
Pirenei; nel sud del paese è inoltre diffuso il provenzale, nelle Fiandre il fiammingo e in Alsazia e Lorena
il tedesco.
Il cattolicesimo è professato da
circa il 75% dei praticanti francesi: le altre principali confessioni sono
l'Islam, il protestantesimo e la religione ebraica. Nel 1905, a causa
dell'opposizione popolare contro l'influenza esercitata dalla Chiesa cattolica
nella politica e nel sistema educativo pubblico del paese, fu abolito il
sostentamento pubblico del clero cattolico, protestante ed ebraico. La Francia
divenne uno stato laico e da allora non diede più riconoscimento ufficiale alle
confessioni religiose.
Istruzione e cultura
Nel corso della loro lunga
storia, l'istruzione e la cultura francesi hanno esercitato una grande
influenza a livello mondiale. I centri di istruzione francesi sono stati presi
ad esempio in tutto il mondo come modelli accademici, a partire dalle antiche
università medievali, in particolare l'Università di Parigi, fondata nel XII
secolo, fino alle moderne università e scuole tecniche. Tra i più influenti
educatori francesi si ricordano Pietro Abelardo nel XII secolo, Michel de
Montaigne
nel XVI secolo, François Fénelon e lo svizzero Jean-Jacques
Rousseau
nel XVIII secolo, Victor Cousin nel XIX.
L'opera di centralizzazione
dell'amministrazione scolastica, con l'attribuzione allo stato dei poteri
fondamentali in materia di istruzione, fu iniziata da Napoleone tra il 1806 e
il 1808. Il sistema educativo moderno si basa su alcune leggi promulgate tra il
1881 e il 1886 per volontà di Jules Ferry, ministro dell'Istruzione, che
assicurarono l'istruzione pubblica gratuita e obbligatoria, interamente sotto
il controllo dello stato. Tra le riforme in seguito apportate vi furono
l'istituzione dell'insegnamento gratuito nelle scuole secondarie e tecniche; la
separazione di chiesa e stato in materia di educazione nel 1905; la
legislazione che previde il sovvenzionamento alle scuole private, comprese
quelle di natura religiosa, nel 1951 e nel 1959; infine, nel 1959, l'estensione
dell'obbligo scolastico fino ai 16 anni d'età. In risposta alle forti
rivendicazioni degli studenti, nel 1968 il presidente Charles De Gaulle e il suo governo
approvarono alcune riforme. Nello specifico, il nuovo sistema eliminava il
controllo centralizzato, da parte del ministero dell'istruzione, dei bilanci,
dei curricula e delle assunzioni degli insegnanti, per creare unità didattiche
ai diversi livelli, trasferendo alle facoltà il controllo del corpo insegnante
e concedendo agli studenti un maggior potere di intervento in merito alle
decisioni riguardanti la vita universitaria.
Musei e biblioteche
La maggior concentrazione di
musei e biblioteche si trova, naturalmente, a Parigi. Tra questi si citano la Bibliothèque
nationale,
il museo del Louvre e il Centre Georges Pompidou. Molti grandi capolavori
dell'architettura francese, quali chiese, cattedrali e castelli, sono
considerati monumenti nazionali. Per ulteriori informazioni sulla cultura
francese, vedi: Letteratura francese; Arte e architettura
francese; Cinema
francese.
Economia
La Francia, un tempo paese
prevalentemente agricolo, ha conosciuto un notevole sviluppo industriale dopo
la seconda guerra mondiale, quando il governo istituì una serie di piani di
sviluppo ad ampio spettro destinati a incentivare la ripresa nazionale e ad
accrescere il potere statale di direzione dell'economia. Parte integrante dei
cosiddetti piani Monnet era il principio di nazionalizzazione di alcune
industrie, in particolare delle ferrovie, del trasporto aereo, delle principali
banche e delle riserve di carbone. Il governo divenne inoltre un importante
azionista di gruppi industriali automobilistici, dell'elettronica e
dell'aeronautica, nonché il principale investitore nello sviluppo delle riserve
petrolifere e di gas naturale. Anche grazie a questi piani e programmi, la
produzione nazionale francese crebbe circa del 50% tra il 1949 e il 1954, del
46% tra il 1956 e il 1964 e con un tasso medio annuo del 3,8% nel corso degli
anni Settanta. Nel 1981 il nuovo governo socialista varò un importante
programma di nazionalizzazioni; l'elezione di un governo conservatore nel 1986,
tuttavia, ha portato a una diminuzione del ruolo dello stato nell'economia. Nel
1992 il prodotto nazionale lordo della Francia ammontava a 12.700 miliardi di
dollari, pari a un reddito pro capite di circa 22.060 dollari.
Agricoltura
Il territorio coltivabile
rappresenta circa il 35% della superficie del paese e il settore agricolo,
insieme alla silvicoltura e alla pesca, impiega circa il 6% della popolazione
attiva. Le aziende agricole francesi, aventi una superficie media di circa 15
ettari, realizzano una produzione di cereali e di altre colture alimentari
largamente sufficiente a soddisfare la domanda interna. La viticoltura
costituisce una preziosa risorsa e con l'Italia la Francia detiene il primato
mondiale della produzione di vino: alla fine degli anni Ottanta la produzione
annua si aggirava intorno ai 7 miliardi di litri.
Le principali colture comprendono
barbabietole da zucchero, frumento, patate, mais e orzo oltre a segale, avena,
rape, carciofi, olive, lino, canapa e tabacco. In alcune zone del paese si
pratica la bachicoltura; la frutticoltura è una voce fondamentale dell'economia
agraria, con una vasta produzione di mele, da pasto e da sidro, pere, prugne,
pesche, albicocche, ciliege, agrumi e noci. Anche l'allevamento di bovini,
ovini, suini, capre, cavalli e volatili rappresenta un'importantissima risorsa
economica per le zone agricole francesi.
Silvicoltura e pesca
Le risorse forestali
garantiscono buoni quantitativi di legname impiegato nell'industria cartaria e
delle costruzioni; in Corsica è fiorente la produzione di sughero. La pesca è
praticata soprattutto nelle acque dell'Atlantico dalle quali si ricavano grandi
quantità di tonni e merluzzi lavorati nelle numerose industrie conserviere
situate nei maggiori centri portuali. Diffusi sono inoltre gli allevamenti di
ostriche e di crostacei, soprattutto lungo la costa bretone.
Industria
Il settore industriale francese
assorbe circa il 30% della popolazione attiva. Un ruolo di primo piano hanno
l'industria siderurgica e metallurgica basate sulla presenza di giacimenti di
ferro, zinco, piombo e rame e sulla produzione di ghisa, di acciaio e di alluminio.
Particolare rilievo hanno inoltre l'industria degli autoveicoli, navale,
dell'aeronautica, delle apparecchiature elettriche ed elettroniche e dei
prodotti chimici. Nel paese sono presenti impianti per la raffinazione del
petrolio e giacimenti di gas naturale. L'industria tessile – filati e tessuti
di lana, cotone, seta e fibre sintetiche – ha una posizione mondiale di primo
piano e a essa è legata una fiorente industria dell'abbigliamento. Il settore
alimentare è ampiamente differenziato nelle diverse zone di produzione
agricola: di rilievo per l'economia francese è la lavorazione della
barbabietola da zucchero, la distillazione, e la produzione di pregiate
specialità gastronomiche quali il rinomato fois gras. Altri prodotti di
rilievo sono profumi, tappezzerie, orologi, porcellane, vasellame e cristalli,
ceramiche, mobili e numerosi altri articoli di lusso.
Flussi monetari e
commercio
L'unità monetaria della Francia
è il franco francese, emesso dalla Banque de France, fondata nel 1800 e
nazionalizzata nel 1946. Tra i principali istituti bancari tre furono
nazionalizzati nel 1945: la Banque Nationale de Paris, il Crédit Lyonnais e la
Société Générale. Il mondo degli affari e della finanza assorbe circa il 10%
della popolazione attiva francese.
Commercio e servizi assorbono
circa il 55% della forza lavoro: la Francia è tra i primi paesi al mondo per
volume di scambi commerciali, basati su un'ampia varietà di merci. Negli anni
Ottanta la bilancia commerciale annua è stata sfavorevole poiché il paese ha dovuto
importare ingenti quantità di petrolio grezzo. I principali prodotti di
esportazione sono veicoli, ferro e acciaio, capi di bestiame e carne macellata,
petrolio raffinato, capi di abbigliamento, tessuti e vino. Oltre la metà del
commercio estero si svolge all'interno dell'Unione Europea, specialmente con
Germania, Belgio, Lussemburgo e Italia; vi sono importanti scambi commerciali
anche con gli Stati Uniti, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna, le ex repubbliche
sovietiche e il Giappone. Importanti per il paese sono le relazioni commerciali
con alcuni ex possedimenti coloniali d'oltremare quali Algeria, Marocco,
Tunisia e Costa d'Avorio.
Trasporti
Il sistema di trasporti francese
è tra i più avanzati in Europa. La rete stradale si sviluppa per oltre 28.500
km, quella ferroviaria per circa 34.650 km, di cui un terzo costituito di reti
elettrificate. Le ferrovie francesi furono in parte nazionalizzate nel 1938 e
oggi si distinguono per il treno ad alta velocità (train à grande vitesse,
TGV), che garantisce rapidi collegamenti. Vi sono circa 8600 km di acque
navigabili interne mentre i trasporti via mare dispongono di una flotta
mercantile tra le più efficienti del mondo. Due sono le compagnie aeree di
bandiera: l'Air France, che assicura una vasta rete di collegamenti
internazionali, e Air Inter, che effettua i servizi interni. Gli aeroporti
principali, Charles de Gaulle e Orly, si trovano nei pressi di Parigi.
Ordinamento dello stato
La Francia, repubblica
presidenziale, deriva il suo ordinamento dalla costituzione promulgata
nell'ottobre 1958 in base alla quale la sovranità della repubblica risiede nel
popolo francese, che esercita il potere politico attraverso un parlamento
rappresentativo nonché attraverso consultazioni referendarie. Il Parlamento
francese si compone dell'Assemblea nazionale (577 deputati) e del Senato (321
membri). La prima è eletta a suffragio universale diretto e ciascun partito vi
è rappresentato in proporzione alla quota di voti ottenuti nel suffragio
popolare: i deputati ricoprono la loro carica per un mandato di cinque anni. I
senatori sono eletti per nove anni a suffragio popolare indiretto, ovvero da
membri di altri organi rappresentativi. La costituzione del 1958 istituì un
nuovo organo, il Consiglio costituzionale, al quale è conferito il potere
generale di garantire la regolarità delle elezioni e dei referendum e di
decidere in merito alla costituzionalità delle leggi; il consiglio è composto
di nove membri designati e di tutti gli ex presidenti della repubblica. In
Francia il diritto di voto è conferito al conseguimento del diciottesimo anno
d'età.
Potere esecutivo
Il presidente è eletto per un
mandato di sette anni a suffragio universale diretto. Il presidente è capo
delle forze armate e presiede il Consiglio superiore della magistratura, il
Consiglio di difesa nazionale e il Consiglio dei ministri (gabinetto di
governo); designa inoltre il primo ministro e nomina i ministri di governo.
Il primo ministro e il Consiglio
dei Ministri sono responsabili unicamente di fronte all'Assemblea nazionale,
nonostante il capo del governo abbia il diritto di chiedere al Senato
l'approvazione di una dichiarazione programmatica. L'adozione di una mozione di
censura da parte dell'Assemblea nazionale, o la mancata approvazione di una
dichiarazione programmatica avanzata dal Consiglio dei Ministri, obbligano il
primo ministro alle dimissioni.
Potere legislativo
Il Parlamento francese è
composto da due camere, ma il potere legislativo supremo è conferito
all'Assemblea nazionale. Il Senato è un organo consultivo che ha diritto di
esaminare e di esprimere pareri in merito alla legislazione e alle direttive
politiche emanate dall'Assemblea nazionale e di ritardare, ma non di impedire,
l'approvazione delle leggi. In caso di disaccordo tra le due camere in merito a
un progetto di legge, la decisione finale è demandata all'Assemblea nazionale,
la quale può accettare il parere espresso dal Senato o anche, dopo un
determinato periodo di tempo, riadottare la propria originaria decisione. Il
Consiglio economico e sociale, composto di rappresentanti dei diversi gruppi di
lavoratori e di datori di lavoro e di organizzazioni professionali e culturali,
esercita una funzione consultiva in materia economica nei confronti
dell'Assemblea nazionale e del Consiglio dei ministri. La Costituzione del 1958
limita l'attività dell'Assemblea nazionale a due sessioni annuali, stabilisce
che per l'adozione di un voto di censura contro il governo sia necessaria una
maggioranza assoluta e proibisce ai promotori di una mozione di censura che non
venga adottata di presentare una mozione analoga nel corso della stessa
sessione. L'adozione di un emendamento costituzionale richiede l'approvazione
di entrambe le camere del Parlamento e di un successivo referendum popolare, o
la semplice approvazione da parte dei tre quinti del Parlamento.
Partiti politici
La scena politica francese si è
spesso caratterizzata per la presenza di numerosi gruppi politici, molti dei
quali divisi da questioni politiche o teoriche solo secondarie. Le leggi
elettorali introdotte sotto la Quinta Repubblica, tuttavia, hanno spinto verso
la fusione o la coalizione tra partiti politici indipendenti. Quattro gruppi
principali – due organizzazioni di centro-destra e due partiti di sinistra –
hanno dominato la politica francese negli anni Ottanta e nei primi anni
Novanta. Il Rassemblement pour la République (Raggruppamento per la
Repubblica), o RPR, fondato nel 1976 dall'ex primo ministro Jacques Chirac, si
richiamava alle idee dell'ex presidente Charles de Gaulle. L'Unione per la
democrazia francese (UDF), una coalizione formatasi intorno al Partito
repubblicano, era fortemente legata all'ex presidente Valéry Giscard
d'Estaing. A
sinistra si trovavano il Partito socialista, guidato dal presidente francese François
Mitterrand,
e il Partito comunista francese, guidato da Georges Marchais. Nelle elezioni
parlamentari del 1993 i socialisti sono stati battuti da una coalizione tra RPR
e UDF, che ha ottenuto più dell'80% dei seggi all'Assemblea nazionale. Considerata
la determinazione di Mitterrand a rimanere in carica fino alle elezioni
presidenziali del 1995, iniziò per la Francia un periodo di
"coabitazione" conclusosi con l'elezione di Jacques Chirac.
Sistema giudiziario
In Francia l'amministrazione
della giustizia compete per le cause civili e penali di minor gravità a
tribunali locali chiamati Tribunali di istanza e Tribunali di grande istanza. Per
i crimini punibili con la carcerazione fino a cinque anni e per le cause civili
più importanti sono competenti i tribunali correzionali. La Corte d'appello
riceve i ricorsi da questi tribunali di grado inferiore. I processi per le
cause penali di maggiore importanza sono celebrati di fronte alle Corti
d'assise. Il ricorso contro le sentenze emesse dalle Corti d'assise e dalle
Corti d'appello è possibile di fronte alla Corte di cassazione che ha il potere
di annullare le sentenze e di istituire nuovi processi.
Storia
Culture preistoriche
Le più antiche culture di cui si
abbiano tracce risalgono al Paleolitico (50.000-8000 a.C.): ne danno
testimonianza i numerosi e importanti ritrovamenti di pitture murali rupestri
(le più famose si trovano a Lascaux nella valle della Dordogna). Pochi
risultano i resti del Mesolitico (8000-4000 a.C.), mentre il Neolitico
(4000-2000 a.C.) ha lasciato numerose pietre monumentali come i menhir in
Bretagna e i dolmen nella valle della Loira e nello Champagne.
Culture più evolute emersero
durante l'età del Bronzo (2000-800 a.C.) e l'età del Ferro: prima dell'800 a.C. le
tecniche di impiego del ferro furono introdotte dalla civiltà di Hallstatt, originaria della
regione alpina e diffusasi su gran parte del territorio francese; a quest'epoca
i celti,
o galli, divennero il gruppo dominante.
Il contatto con le culture del
Mediterraneo avvenne all'inizio del VII secolo a.C. con la fondazione di una
colonia greca a Marsiglia. Nel V secolo a.C. la civiltà di La Tène si irradiò dalla Gallia orientale nel resto del
mondo celtico.
La Gallia romana
Nel 121 a.C. i romani
stabilirono un protettorato sull'antica colonia greca di Massalia (Marsiglia) e
fondarono la nuova colonia di Narbo Martius (odierna Narbonne), centro
della fiorente provincia della Gallia Narbonensis.
Giulio Cesare conquistò il resto
della Gallia tra il 58 e il 51 a.C. Le terre di nuova conquista vennero
chiamate Gallia Belgica, Gallia Lugdunensis e Aquitania. Il
centro più importante era Lugdunum (l'odierna Lione).
Per i romani, il principale
problema nella regione era rappresentato dalla minaccia di incursioni di tribù
germaniche lungo il confine nordorientale; i primi due secoli della dominazione
romana furono tuttavia generalmente pacifici e prosperi. Nel III secolo d.C.,
con l'inizio del declino dell'impero romano, la Gallia cominciò a subire una
serie di contraccolpi, dovuti soprattutto alle condizioni di instabilità
politica ed economica e alla crescente pressione delle tribù germaniche lungo
il confine; la crisi fu contemporaneamente mitigata dalla riorganizzazione
militare e fiscale operata dall'imperatore Diocleziano.
Il cristianesimo, introdotto nella
regione nel II secolo nella fase delle persecuzioni religiose, trovò terreno
fertile in una condizione di insicurezza personale e disordine politico, ed
entro il V secolo anche l'aristocrazia gallo-romana si convertì.
Nel frattempo, nel corso del IV
secolo piccoli gruppi di germani si erano stanziati nella Gallia con il consenso
delle autorità romane. Nel 406 il movimento migratorio divenne una vera e
propria invasione: vandali, svevi e alani attraversarono rapidamente la Gallia, giungendo in
Spagna. Nel 412 i visigoti dall'Italia penetrarono liberamente nella Gallia meridionale
e intorno al 440 i burgundi si insediarono nella Gallia orientale. A nord-ovest
gruppi celtici originari della Britannia, che avevano subito l'invasione di
tribù germaniche, si rifugiarono nella regione della Bretagna, che da loro
prese il nome. Nel 451 germani, romani e galli si unirono per sconfiggere gli unni guidati da Attila.
La nascita della Francia
Negli ultimi due decenni del V
secolo, la Gallia fu conquistata da un'altra tribù germanica, i franchi salii:
il loro re Clodoveo, sposato a una principessa burgunda, si convertì al
cristianesimo nel 496, consolidando così il suo potere sul territorio.
Merovingi e Carolingi
La dinastia fondata da Clodoveo,
i Merovingi, regnò fino al 751. Secondo il costume dei franchi tutti i possedimenti
regi, compreso il titolo reale, venivano divisi tra i figli del sovrano. In
conseguenza di ciò, la Francia merovingia del VI e VII secolo fu afflitta da
sovrani deboli e incompetenti, da una costante mancanza di unità e dalla guerra
civile: solo sotto Clotario II e Dagoberto I il regno fu di nuovo unificato
nel 613. Nel frattempo il potere si concentrò nelle mani dei maestri di
palazzo, funzionari regi che si occupavano delle proprietà reali. In
particolare Pipino di Heristal, un maggiordomo di Austrasia (nella Francia
orientale e nella Germania occidentale), si impose sui suoi rivali, estendendo
la propria autorità sui regni franchi della Neustria e della Borgogna,
nell'ovest e nel sud. Dopo che suo figlio, Carlo Martello, ebbe riunito un
esercito e respinto un'invasione musulmana dalla Spagna nel 732, nel 751 il
figlio e successore di questi, Pipino il Breve, depose l'ultimo sovrano
merovingio e fu incoronato re dei franchi.
La nuova dinastia dei Carolingi (dal nome del suo
membro più famoso, Carlo Magno), venne rafforzata dall'alleanza stretta da Pipino con
il papato: papa Stefano II acconsentì alla conquista carolingia del trono nel 754;
a sua volta, nei due anni seguenti, Pipino condusse varie campagne in Italia
per difendere gli interessi del papa contro i longobardi. Alla sua morte nel
768, il figlio Carlo (il futuro Carlo Magno) divise il potere col fratello Carlomanno, che morì tre anni
dopo. Carlo Magno restò unico sovrano dei franchi per oltre quattro decenni,
fino alla sua morte nell'814.
Carlo Magno e i suoi
successori
Nei primi anni del suo regno,
Carlo Magno fu impegnato in campagne militari su vari fronti: in Italia, dove
conquistò il regno dei longobardi; in Spagna contro musulmani e
baschi; contro i bavari e gli avari a est e per trent'anni contro i sassoni in
Germania.
Nell'anno 800, egli fu
incoronato a Roma da papa Leone III imperatore dei romani; istituì
un vasto sistema amministrativo per il governo dell'impero, diviso in quasi 250
contee, e diede inizio a un programma di riforme in campo culturale e
religioso.
Alla morte di Carlomagno aspre
lotte si scatenarono tra i suoi figli Ludovico I il Pio, cui era stata destinata
l'Aquitania, Pipino, cui spettava l'Italia, e Carlo erede della Germania. Morto
Carlo prematuramente, Ludovico il Pio suddivise i suoi territori fra i tre
figli: Lotario I, Pipino e Ludovico II il Germanico. Un quarto figlio, Carlo (Carlo II), avuto dalla seconda
moglie, rivendicava a sua volta parte dell'eredità paterna.
Il trattato di Verdun (843) stabilì una
temporanea suddivisione dell'impero che sancì alla fine la separazione del
regno dei franchi occidentali o Francia (della quale Carlo il Calvo fu il primo
re), dal regno dei franchi orientali o Germania (che restò a Ludovico il
Germanico).
Delle divisioni interne della
Francia approfittarono i vichinghi per compiere incursioni e
razzie; nel 911 un grande esercito di normanni (o vichinghi), guidato da
Rollone, ottenne da re Carlo III il Semplice quel territorio nella bassa
valle della Senna che divenne noto come ducato di Normandia. Nel frattempo il
potere effettivo era passato dai re carolingi ai loro signori feudali.
La dinastia capetingia
Alla morte di Luigi V (967-987),
la nobiltà si rivolse a Ugo Capeto, duca di Francia, che si
assicurò consenso distribuendo terre ai suoi elettori. Nonostante i nobili
francesi non avessero intenzione di avallare la fondazione di una dinastia dei Capetingi, Ugo si affrettò a
incoronare suo figlio Roberto II: i Capetingi si assicurarono la successione alla corona
per discendenza maschile per oltre tre secoli (987-1328).
I primi sovrani capetingi
rimasero sottomessi ai principi feudali: su di loro riuscì a imporsi, alla fine
dell'XI secolo, Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia e vassallo
del re Filippo I. Toccò al successore di Filippo Luigi VI consolidare definitivamente il
potere nell'Île-de-France, la regione al cui centro si trova Parigi, reprimendo
sistematicamente l'opposizione feudale. Nel 1137 egli combinò il matrimonio tra
il figlio, il futuro Luigi VII, ed Eleonora, erede al ducato di Aquitania,
assumendo così il controllo di vasti territori tra la Loira e i Pirenei. L'unione
si rivelò però priva di eredi maschi: alcuni anni dopo il papa concesse
l'annullamento del matrimonio e successivamente Eleonora sposò Enrico
Plantageneto, conte d'Angiò e duca di Normandia, che nel 1154 divenne re
d'Inghilterra col nome di Enrico II. In tal modo l'Aquitania passò dalla corona
francese a quella inglese e i domini di Enrico in terra francese (il regno
angioino) superarono notevolmente per estensione quelli del suo signore
feudale, Luigi VII.
La dinastia dei Capetingi
conobbe miglior fortuna sotto il successore di Luigi VII, Filippo II Augusto. Grazie al suo primo
matrimonio, egli ottenne i territori settentrionali dell'Artois, del Valois,
del Vermandois e del Vexin, una piccola ma importante area attraversata dalla
Senna, al confine tra la Normandia e l'Île-de-France.
La possibilità di muoversi
contro il regno angioino gli si presentò quando Giovanni Senzaterra, re d'Inghilterra,
sposò una principessa già promessa a un altro vassallo di Filippo. Filippo
convocò Giovanni alla sua corte tre volte e, poiché questi non si presentò,
dichiarò alienati i suoi feudi. Nel 1204 egli intraprese la conquista militare
della Normandia e dell'Angiò, conclusa dieci anni dopo con la sconfitta degli
eserciti alleati di Inghilterra e Sacro romano impero nella battaglia
di Bouvines (1214).
L'occasione di intervenire al
sud fu fornita invece dagli albigesi, una setta religiosa eretica
particolarmente attiva in Provenza e in Linguadoca. Contro questi papa Innocenzo
III
promosse una crociata nel 1208, promettendo ai crociati le terre che avrebbero
sottratto agli eretici. La campagna militare fu condotta con successo dal
figlio di Filippo Augusto, Luigi VIII: i possedimenti reali si
estesero così fino a comprendere i territori costieri del mar Mediterraneo.
Morto Luigi VIII nella crociata,
salì al trono il dodicenne Luigi IX che subito si trovò a
fronteggiare la ribellione della nobiltà locale. Il sovrano si garantì tuttavia
la fedeltà delle province conquistate inviando inquisitori di corte a
raccogliere le lamentele dei sudditi nei confronti dei funzionari regi. Durante
il suo regno l'amministrazione reale si ingrandì, diventando più professionale
e specializzata.
Luigi IX morì di peste in una
crociata e nel 1297 fu dichiarato santo; anche il suo successore, Filippo III, trovò la morte in una
crociata contro i mori.
Filippo IV il Bello, ultimo grande re
capetingio, rafforzò notevolmente i poteri della monarchia. Vescovi, baroni e
città furono costretti alla collaborazione con il sovrano, in materia sia di
giustizia sia di finanze. Filippo si assicurò l'annessione della Franca Contea,
di Lione e di parti della Lorena, ma non riuscì a imporre il suo controllo
sulle Fiandre: quest'ultimo intervento fu inoltre tanto oneroso da indurlo a
tentare di imporre tributi al clero, entrando così in contrasto con papa Bonifacio
VIII: la
disputa, che verteva sostanzialmente sul principio di sovranità, si aggravò
fino a sfociare nell'oltraggio di Anagni, dove il papa venne imprigionato dai
francesi. Nel 1305, alla morte di Bonifacio, grazie all'influenza di Filippo fu
eletto un papa francese, Clemente V, che trasferì la sede papale da
Roma ad Avignone nel 1309 (vedi Cattività avignonese).
L'insaziabile brama di denaro di
Filippo lo spinse all'espulsione degli ebrei dal regno e alla confisca dei loro
beni; per la stessa ragione egli perseguitò e sciolse l'ordine dei templari. Tra il 1314 e il 1328,
si succedettero al trono tre figli di Filippo IV (Luigi X, Filippo V e Carlo IV), nessuno dei quali
lasciò un erede maschio.
Il regno dei Valois
Alla morte di Carlo IV, la
corona passò (in virtù della legge salica) al nipote di Filippo IV,
Filippo di Valois, che regnò col titolo di Filippo VI dal 1328 al 1350. Il
sovrano inglese Edoardo II aveva sposato una figlia di Filippo IV: il figlio ed
erede Edoardo III nel 1337 avanzò quindi pretese sul trono francese in qualità di nipote di
Filippo il Bello, dando inizio alla guerra dei Cent'anni (1337-1453).
Contemporaneamente allo
svolgersi della prima fase della guerra, favorevole agli inglesi (battaglia
di Crécy,
1346, e presa di Calais), un'epidemia di peste bubbonica investì la Francia nel
1348, uccidendo nel giro di due anni un terzo della popolazione e ricomparendo
periodicamente sino al 1398 con ulteriori decimazioni. Queste calamità
generarono una crisi che si manifestò in una diffusa ossessione di morte e nel
proliferare di movimenti religiosi fanatici ed eretici. Lo smembramento della
società comportò sanguinose ribellioni di contadini, ridotti alla fame
dall'aumento dei prezzi e dalla volontà dei proprietari terrieri di aumentare
la produzione pur contenendo i salari: tra le sollevazioni la più famosa e
vasta fu la jacquerie del 1358.
Oltre alla disastrosa situazione
interna, i costi della guerra continuavano a lievitare: in tale situazione
sempre più potere acquisirono gli Stati Generali, un'assemblea composta da
rappresentanti del clero, della nobiltà e del popolo. La Francia non conobbe
miglior fortuna durante il regno, durato 42 anni, del folle re Carlo VI. Il tracollo si ebbe
quando nel 1415 il re inglese Enrico V invase la Francia e annientò l'esercito
francese ad Azincourt, assicurandosi il controllo della maggior parte del
territorio francese a nord della Loira.
Alla riscossa francese sotto Carlo VII diede inizio la
carismatica Giovanna d'Arco che guidò la liberazione di Orléans dall'assedio
inglese: attraverso varie sconfitte, nei vent'anni successivi gli inglesi
dovettero cedere tutti i loro territori sul continente, fatta eccezione per
Calais.
Durante la seconda metà del XV
secolo prosperità economica e popolazione tornarono ai livelli che avevano
conosciuto prima della peste. Luigi XI rafforzò l'autorità regia a un
livello senza precedenti, istituendo un esercito stipendiato permanente e
assicurandosi il potere di imporre una tassa (la taille) senza il
consenso dei destinatari. Gli succedette il figlio Carlo VIII: il suo matrimonio con
la duchessa di Bretagna fece sì che quest'ultimo fondo rimasto indipendente
fosse unito ai domini francesi.
Il Rinascimento e la
Riforma
Prima della fine del XV secolo
la Francia emerse dalle divisioni del passato feudale come una monarchia
nazionale, il cui dominio si estendeva sui territori compresi tra i Pirenei e
il canale della Manica. L'aristocrazia terriera rimaneva al vertice della
struttura sociale e la terra continuava a costituire la principale fonte di
ricchezza. Nei cinquant'anni seguenti, tuttavia, la pace interna, l'incremento
demografico, le conseguenze dell'importazione spagnola in Europa di oro e
argento americani, i lavori pubblici e gli apparati militari agli ordini dello
stato stimolarono lo sviluppo economico, in conseguenza del quale mercanti,
banchieri esattori fiscali assunsero importanza dal punto di vista sociale. D'altro
canto la nobiltà, che dipendeva da rendite monetarie fisse, vide minacciati
dall'inflazione tanto il proprio potere economico quanto il proprio rango.
Carlo VIII e i successori Luigi XII e Francesco I approfittarono della
crescente forza economica della nazione e della situazione di stabilità interna
per condurre spedizioni militari in Italia con l'obbiettivo di far valere le
proprie pretese sul regno di Napoli e sul ducato di Milano. Le guerre italiane (che si
inserirono nel quadro del più ampio conflitto tra la Francia e la dinastia
degli Asburgo di Spagna e Austria) si conclusero con il trattato di
Cateau-Cambresis del 1559 negoziato da Enrico II, successore di Francesco I: la
Francia rinunciò a ogni pretesa sull'Italia ma ottenne i vescovadi di Metz,
Toul e Verdun, situati in posizioni strategiche.
Sotto Francesco I il potere e il
prestigio della corona crebbero notevolmente. Egli si impose come unico
depositario della legge della monarchia mettendo in sottordine l'autorità degli
Stati Generali; con il concordato di Bologna (1516), negoziato con papa Leone X, garantì al sovrano
francese il potere di nominare persone di sua scelta alle cariche vescovili e
agli altri benefici ecclesiastici. Fu anche un intelligente e generoso mecenate
delle arti e della cultura ed è al suo sostegno che in gran parte si dovette il
fiorire del Rinascimento francese.
L'ultima parte del secolo fu un
periodo particolarmente difficile per la Francia. L'incremento della
popolazione, cui non corrispose un pari aumento della produttività, e
l'inflazione monetaria generarono condizioni di estrema miseria sociale. La Riforma protestante aveva avuto in un primo
tempo scarso seguito nel paese; solo con l'elaborazione teologico-dottrinale
del luteranesimo operata dal riformatore francese Giovanni Calvino il protestantesimo fece
proseliti tra la nobiltà e nelle classi inferiori. Enrico II, ritenendo il calvinismo una minaccia per
l'autorità regia, tentò di reprimerlo, avviando una lunga e sanguinosa serie di
guerre di religione in cui si inserivano parimenti questioni di conflitti
dinastici e politici.
Alla morte di Enrico II nel 1559
salì al trono per soli due anni il figlio malato Francesco II, quindi il fratello
tredicenne, Carlo IX. La regina madre Caterina de' Medici fu la reggente del
potere effettivo in nome dei figli, rimanendo una figura influente anche sotto
il regno del terzo figlio Enrico III. Caterina mantenne una
posizione ambigua nei confronti degli ugonotti francesi, incoraggiando più
volte le opposte fazioni al compromesso ma al contempo dando il suo assenso al
tristemente famoso massacro della notte di San Bartolomeo a Parigi nell'agosto del 1572.
L'ultimo fratello di Enrico III
morì nel 1584 ed Enrico di Borbone, re di Navarra, discendente di Luigi IX e
capo della fazione degli ugonotti, divenne il legittimo erede al trono. Nel
1589 il re, l'ultimo della dinastia dei Valois, cadde vittima della spada di un
monaco fanatico.
Enrico di Navarra assunse il
titolo di Enrico IV di Francia ma la sua legittimità fu riconosciuta dalla
Lega cattolica e dall'alleato spagnolo di questa, pretendente al trono
francese, solo nel 1593, quando egli si convertì pubblicamente al
cattolicesimo. L'anno seguente venne incoronato nella cattedrale di Chartres:
la dinastia dei Borboni saliva così al trono di Francia.
La Francia sotto i primi
Borboni
Nel 1598, liberato il territorio
francese dagli ultimi eserciti spagnoli, Enrico tentò di restaurare la pace
interna emanando l'editto di Nantes, che garantiva a tutti i sudditi libertà di
coscienza religiosa. Seguì per la Francia un periodo di ripresa dalla
devastazione causata dalle guerre di religione: l'economia tornò a prosperare e
l'autorità regia venne saldamente riaffermata.
Nel 1610 re Enrico venne
assassinato a sua volta da un fanatico religioso e gli succedette il figlio di
nove anni Luigi XIII. Per i primi quindici anni del suo regno il paese fu
abbandonato alla debole reggenza della regina madre, Maria de' Medici, o all'incerta guida
del giovane sovrano.
Nel 1624 Luigi nominò primo
ministro Armand du Plessis, cardinale Richelieu, che fu il vero detentore del
potere in Francia nei diciotto anni che seguirono. Suoi obiettivi primari
furono il consolidamento della monarchia mediante la distruzione del potere
della nobiltà rivale e l'indebolimento degli Asburgo. Egli divise il paese
in 30 nuovi distretti amministrativi a capo dei quali nominò degli intendenti,
scelti tra funzionari fedeli appartenenti al ceto medio, ai quali vennero
attribuiti enormi poteri giudiziari, finanziari e di polizia. Fondò la marina
francese (forte di una flotta mediterranea e di una atlantica) e promosse lo
sviluppo di una flotta mercantile; concesse inoltre uno statuto ufficiale a
compagnie di commercio estero e sostenne l'espansione coloniale in Canada,
Africa e nelle Indie Occidentali.
Nel contempo l'inflazione, le
crescenti imposte e, dopo il 1635, la devastazione seguita all'invasione di
eserciti stranieri, ridussero nuovamente in miseria gran parte della
popolazione agricola. Una serie di rivolte contadine scoppiate tra il 1625 e il
1639 venne spietatamente repressa.
Quando nel 1635 si profilò il
rischio che il cattolico imperatore asburgico del Sacro romano impero riunisse
l'intera Germania sotto il suo dominio, Richelieu fece intervenire la Francia
nella guerra dei Trent'anni, alleandosi con la Svezia e i Paesi Bassi, entrambi
paesi protestanti. La pace di Vestfalia del 1648 assicurò la futura divisione e debolezza
della Germania e scongiurò le ambizioni degli Asburgo, così che la Francia
emerse come grande vincitrice della guerra.
Il regno di Luigi XIV
Richelieu morì nel 1642 e Luigi
XIII l'anno seguente, lasciando il trono al figlio di cinque anni, Luigi XIV. Il protetto e
successore di Richelieu, il cardinale Giulio Mazzarino, continuò la politica del suo
predecessore concludendo vittoriosamente la guerra con gli Asburgo e
sconfiggendo all'interno il primo sforzo coordinato di nobili e borghesi di
rovesciare la concentrazione di potere nelle mani del re operata da Richelieu.
Dal 1648 al 1653 il paese fu
sconvolto da due moti rivoluzionari, la Fronda parlamentare e quella dei
principi; in seguito scoppiò una rivolta di nobili ribelli nel sud e prima che
la ribellione venisse sedata altre zone della Francia furono nuovamente
sconvolte dalla guerra civile.
Dopo la morte del cardinale
Mazzarino (1661), per i 54 anni che seguirono Luigi XIV governò la Francia
senza intermediari, divenendo il modello del monarca assoluto per diritto
divino. Egli istituì vari consigli che lo assistevano e ne attuavano le
disposizioni, composti da uomini capaci e dipendenti dal sovrano; mise a tacere
le pretese di un diritto di veto sui decreti regi avanzate dai parlamenti; la
nobiltà, che rappresentava un potenziale pericolo, fu legata alla corte
attraverso il conferimento di incarichi prestigiosi ma di pura cerimonia, che
la distoglievano dall'attività politica. La ricca borghesia trovò soddisfazione
dal punto di vista politico nel mantenimento dell'ordine interno assicurato
dallo stato, nel sostegno attivo al commercio e all'industria in patria e nelle
colonie (grazie soprattutto al ministro delle Finanze Jean-Baptiste Colbert, massimo
esponente del mercantilismo dell'epoca), e nelle opportunità di arricchirsi
sfruttando le spese dello stato.
Il potere di nominare i vescovi
assicurò a Luigi XIV un saldo controllo sulla gerarchia ecclesiastica. Il
sovrano regnava in qualità di rappresentante di Dio in terra, ottenendo da un
clero compiacente la giustificazione teologica del suo diritto divino: l'unica
voce dissidente fu quella dei giansenisti che, rivendicando la supremazia
della coscienza individuale, fu combattuta dal re.
Nel 1685, con la revoca
dell'editto di Nantes, il sovrano causò un serio danno all'economia nazionale:
migliaia di ugonotti lasciarono la Francia, artigiani capaci, intellettuali e
ufficiali dell'esercito, che rappresentarono una grave perdita per il paese. Sul
versante della politica estera, Luigi impegnò il paese in quattro costose
guerre, tutte intese a contenere e ridurre la potenza degli Asburgo, a
rafforzare la difesa della Francia estendendone i confini e a procurare
vantaggi economici. Nel 1667 in virtù del suo matrimonio con Maria Teresa,
figlia di Filippo IV di Spagna rivendicò il dominio sui Paesi Bassi spagnoli,
che riuscì a ottenere solo parzialmente (vedi Guerra di
devoluzione).
Nel 1672, spinto da
considerazioni di ordine strategico ed economico, attaccò l'Olanda, che
tuttavia resistette per sei anni, concedendo alla fine solo la Franca
Contea al
confine orientale e una dozzina di città fortificate nel sud dei Paesi Bassi (vedi
Pace di Nimega, 1678).
La politica espansionistica del
sovrano fu in seguito avallata dalla formula delle cosiddette dipendenze: egli
annetté Strasburgo e altre città e feudi dell'Alsazia e del Lussemburgo. Una
coalizione di potenze europee, la lega di Augusta (vedi Grande
Alleanza),
mosse guerra alla Francia, con il sostegno di Inghilterra, principati tedeschi
e ducato di Savoia. Luigi XIV, sconfitto, dovette accettare la pace di
Rijswijk.
Tre anni dopo la conclusione
della guerra altri conflitti dinastici si profilarono all'orizzonte: Carlo II, re di Spagna, già
malato e senza eredi diretti, un mese prima di morire designò suo successore il
nipote di Luigi XIV, Filippo d'Angiò, il futuro Filippo V. Gli altri stati
europei, temendo le conseguenze di un'ulteriore espansione del potere dei
Borboni, si allearono per scongiurare tale possibilità. La guerra di
successione spagnola che seguì durò tredici anni e si concluse con la conferma del dominio di
Filippo V sulla Spagna e sulle sue colonie. Il 1° settembre 1715 moriva a
Versailles il Re Sole, dopo 73 anni di regno, lasciando come unico erede il
nipote di cinque anni.
La Francia nel XVIII
secolo
Luigi XV e il nipote, Luigi XVI, mancavano della
capacità necessaria ad adattare le istituzioni del paese alle mutate condizioni
del XVIII secolo. La Francia fu in quest'epoca la più ricca e potente nazione
del continente e il suo gusto e stile nell'architettura e nelle arti vennero
imitati in tutto l'Occidente. Le idee politiche e sociali dei pensatori
francesi ebbero grande influenza sugli altri paesi d'Europa e in America, e il
francese si diffuse ovunque come lingua delle classi colte (vedi Illuminismo).
Il secolo rappresentò un'epoca
di straordinaria crescita economica: la popolazione salì da 21 milioni di
abitanti nel 1700 a 28 milioni nel 1790, il reddito prodotto dall'agricoltura
aumentò del 60%. La Francia era la principale potenza manifatturiera del mondo,
possedeva il miglior sistema stradale d'Europa e una fiorente marina
mercantile. Il reddito dei ceti più bassi, tuttavia, riusciva a malapena a
tenere il passo con l'inflazione; la maggior parte dei contadini continuava a
condurre un'esistenza miserabile, su cui gravava il fardello delle tasse. Da
queste erano invece esentate le terre della nobiltà e del clero (circa il 35%
dei terreni coltivati), così che lo stato stesso era di fatto escluso dalla
nuova prosperità. Vari ministri che si succedettero a partire dagli anni
Cinquanta del secolo tentarono di istituire un sistema fiscale equilibrato ma
la nobiltà di toga, che aveva ottenuto i propri titoli acquistandoli dalla
corona, guidò nei parlamenti l'opposizione alle iniziative del re, rivendicando
il diritto di approvare i decreti regi al fine di difendere le libertà
pubbliche contro il dispotismo del sovrano; in realtà essi difendevano i propri
privilegi e auspicavano il ritorno a un governo dell'aristocrazia.
Tra gli intellettuali,
l'opposizione alla monarchia fu invece guidata dai philosophes,
sostenitori dell'esistenza di diritti naturali (vita, libertà, proprietà e
autogoverno) e dell'idea che gli stati esistessero per garantire tali diritti:
tali tesi erano assecondate soprattutto dalla borghesia che stava crescendo in
numero, ricchezza e ambizione e che aspirava a partecipare al governo della
cosa pubblica.
I problemi finanziari dello
stato si aggravarono dopo il 1740 con la ripresa di pesanti conflitti (la guerra di
Successione austriaca, e la guerra dei Sette anni), al termine dei quali la
Francia perse la quasi totalità del suo vasto impero coloniale in America, in
Africa e in India. Nel 1778 la Francia intervenne contro la Gran Bretagna nella
guerra d'Indipendenza americana, sperando di riconquistare le colonie perdute. Questa
speranza fu tuttavia delusa e la partecipazione alla guerra accrebbe il già oneroso
debito nazionale.
Il giovane e indeciso Luigi XVI
si trovò ad affrontare una crisi finanziaria sempre più grave. Dopo che tutti i
programmi di riforma adottati dai suoi ministri vennero bloccati dai parlamenti
e da un'improvvisata assemblea di notabili, nel maggio del 1788 il re esautorò
gli organi di opposizione. Ebbe inizio un lungo braccio di ferro che si
concluse con l'assenso del sovrano a convocare gli Stati generali, l'antico
organo rappresentativo che non si riuniva dal 1615. La seduta di apertura fu
fissata per il mese di maggio 1789: la Rivoluzione francese era alle porte.
La rivoluzione del 1789
Il 5 maggio 1789 i deputati
eletti agli Stati generali si riunirono a Versailles; il 17 giugno i membri del
Terzo stato si autoproclamarono Assemblea nazionale costituente e invitarono
gli altri stati a non separarsi prima di aver dato alla Francia una
costituzione.
Quando, nel mese di luglio, il
governo tentò di sciogliere l'assemblea con la forza, il popolo di Parigi
insorse e occupò la Bastiglia: il re fu costretto ad accettare l'Assemblea nazionale
che, allarmata dal diffondersi nelle campagne di una rivolta di contadini,
abolì tutti i diritti e i privilegi feudali, la nobiltà ereditaria e i titoli.
L'Assemblea nazionale, i cui
lavori durarono dal 1789 al 1791, provvide a riorganizzare la centralizzata
struttura istituzionale della Francia con una nuova amministrazione provinciale
e un nuovo sistema giudiziario, che rimisero il potere nelle mani di funzionari
e giudici eletti localmente. La costituzione adottata nel 1791 istituì un
governo parlamentare con un sovrano ereditario e un'assemblea eletta per via
indiretta da quei cittadini che potevano pagare le tasse, ma la monarchia
costituzionale durò solo un anno, osteggiata dai repubblicani determinati a
istituire una repubblica. Sullo sfondo delle sconfitte riportate nella guerra
contro l'Austria e la Prussia iniziata nell'aprile del 1792, il 10 agosto 1792
un'insurrezione popolare portò all'elezione di una nuova assemblea costituente,
la Convenzione nazionale, che nel settembre del 1792 proclamò la Prima repubblica
francese.
In una situazione di estrema
instabilità, aggravata da una insurrezione realista in Vandea che portò a una vera e
propria guerra civile, e dal conflitto con la vasta coalizione di stati europei
promossa dall'Inghilterra contro la Francia rivoluzionaria, la Convenzione
lasciò che il potere esecutivo si concentrasse nelle mani del Comitato di
salute pubblica di sua emanazione, il quale, dominato dai radicali giacobini guidati da Robespierre,
inaugurò un regime di terrore verso i nemici veri o presunti. Il re venne
processato e giustiziato nel gennaio del 1793 e migliaia di nobili,
ecclesiastici e cittadini comuni ne condivisero la sorte. Il Comitato stabilì
il controllo dei prezzi, ordinò requisizioni e razionamenti e decretò la
coscrizione obbligatoria; vennero inoltre organizzati e armati i nuovi eserciti
di cittadini che in breve tempo rovesciarono le sorti della guerra. Nel 1795 il
vittorioso esercito francese penetrò in territorio nemico; riportata sotto
controllo la ribellione interna, la Convenzione adottò una nuova costituzione
che affidava il potere esecutivo a un Direttorio di cinque persone cui toccò il
compito di governare la Francia per quattro difficili anni, minacciato a destra
dai realisti desiderosi di restaurare la monarchia e a sinistra dai continui
scontri che miravano a imporre la democrazia. A sbloccare la situazione
intervenne il colpo di stato del giovane generale Napoleone Bonaparte: nel novembre del 1799
questi rovesciò il Direttorio e il mese seguente istituì il Consolato.
Il Consolato e l'impero
Napoleone divenne ben presto
capo assoluto dello stato e del paese. La nuova costituzione, da lui delineata,
assegnava tutti i poteri essenziali alla carica che egli rivestiva, quella di
Primo console. Forte delle vittorie militari in Italia e in Germania
meridionale che costrinsero alla resa prima l'Austria (pace di Lunéville, 1801) e poi la Gran
Bretagna (pace di Amiens, 1802), Bonaparte cercò di pacificare la Francia,
di sanare le ferite della Rivoluzione, di riconciliare i vecchi nemici, di
creare e consolidare le istituzioni di un governo stabile, e di chiudere il
lungo conflitto con la Chiesa negoziando con papa Pio VIII il Concordato
del 1801. Il
codice napoleonico, che stabiliva la struttura giuridico-amministrativa dello stato, esercitò
una influenza decisiva sull'evoluzione di tutta l'Europa continentale,
divenendo un modello da imitare.
Nel 1804 Napoleone proclamò
l'impero francese e si autoincoronò imperatore. Nel 1805 riprese la guerra, e
nel giro di due anni sconfisse l'Austria, la Prussia e la Russia e impose il
suo dominio in quasi tutta l'Europa; solo la Gran Bretagna, dopo avere
sconfitto la flotta francese a Trafalgar, continuò a combatterlo e
Napoleone tentò di farla capitolare chiudendole il commercio con l'Europa. Gli
sforzi per far rispettare il blocco continentale lo condussero a intraprendere
azioni che si sarebbero rivelate fatali all'impero: la guerra in Spagna e l'invasione
della Russia.
Dopo la disfatta dell'esercito
francese in Russia nel 1812, gli stati europei opposero una nuova coalizione
(la sesta): nel giro di due anni e dopo ripetute sconfitte, Napoleone fu
costretto ad abdicare (aprile 1814). A maggio il conte di Provenza, fratello di
re Luigi XVI, tornò a Parigi col titolo di Luigi XVIII ma ben presto il suo
regime sollevò grande risentimento popolare in Francia, mentre le potenze
vincitrici si trovarono in contrasto nel tentativo di ridisegnare la carta dell'Europa.
Sfruttando questi sviluppi, nel marzo del 1815 Napoleone rientrò in Francia dal
suo esilio nell'isola d'Elba e col sostegno dell'esercito si reinsediò al
comando dell'impero. I regnanti europei riunirono i loro eserciti e il 18
giugno 1815, a Waterloo, sconfissero definitivamente l'esercito imperiale. Napoleone
si arrese agli inglesi e fu deportato nell'isola di Sant'Elena, nell'Atlantico
meridionale, dove morì nel 1821. Il re ritornò a Parigi e la monarchia
borbonica venne nuovamente restaurata. Vedi anche Guerre napoleoniche.
La monarchia
costituzionale
Luigi XVIII concesse una carta
costituzionale (1814) che istituiva una monarchia parlamentare e riaffermava le
riforme sociali contenute nei codici napoleonici. Il regime era rappresentativo
ma non democratico, essendo il diritto di voto limitato a meno di 100.000
grandi possidenti.
Il paese aveva accettato il
ritorno di Napoleone senza entusiasmo, e dopo la sua sconfitta a Waterloo
accettò Luigi XVIII senza proteste. Con la seconda Restaurazione si scatenò
un'ondata di vendette sanguinarie contro bonapartisti e repubblicani. Le prime
elezioni parlamentari del 1815 sancirono la vittoria di una maggioranza
reazionaria ultrarealista alla Camera che il re sciolse nel giro di un anno
dietro pressione delle potenze alleate timorose di nuove insurrezioni. In una nuova
consultazione gli elettori si espressero in favore dei realisti moderati. L'occupazione
straniera terminò nel 1818 e la Francia fu riammessa nel concerto delle grandi
potenze. Agli anni di governo dei moderati fece seguito, dopo l'assassinio
dell'erede al trono nel 1820, un regime ultrarealista, rafforzato dall'ascesa
al trono del fratello di Luigi XVIII, Carlo X, nel 1824.
La monarchia di Luglio
Problemi economici, le elezioni
generali che nel 1827 sancirono la vittoria di una maggioranza liberale e le
tendenze autoritarie di Carlo X sfociarono in una crisi politica che avrebbe
posto le premesse per la rivoluzione di luglio del 1830. Nell'agosto del 1829
Carlo nominò un gabinetto ultrarealista inviso ai deputati liberali e alla
stampa. Quando la maggioranza della Camera dei deputati nel marzo del 1830
chiese la sostituzione del gabinetto, il re sciolse la Camera e indisse nuove
elezioni: di fronte al loro risultato, che confermava la maggioranza, il 26
luglio 1830 il re emanò una serie di ordinanze con cui venivano indette nuove
elezioni, si riduceva il numero degli elettori e la libertà di stampa subiva
forti restrizioni. Giornalisti e deputati liberali denunciarono una violazione
della costituzione e i lavoratori parigini si schierarono al loro fianco: dopo
tre giorni di scontri e disordini, il re fu costretto ad abdicare. I deputati
proclamarono re Luigi Filippo, duca di Orléans, capostipite del ramo più giovane
della famiglia dei Borboni. La costituzione subì una revisione in senso più
liberale, eliminando il potere regio di emanare ordinanze ed estendendo
leggermente il diritto di voto.
La monarchia di Luglio, il
regime di Luigi Filippo, fu dominata dai proprietari terrieri e da pochi ricchi
banchieri e uomini d'affari. I primi cinque anni furono scossi da rivolte e
insurrezioni di repubblicani delusi e lavoratori urbani impoveriti, ma entro il
1835 il regime si consolidò. La crescita della produzione industriale accelerò
dopo il 1840, favorita anche dalla costruzione di una rete ferroviaria
nazionale: in pochi decenni la Francia, da paese agrario, si trasformò in una
nazione industriale. Nei cinque anni che seguirono il 1846 la popolazione
rurale diminuì per la prima volta nel secolo, mentre crebbero le migrazioni
verso le città.
La rivoluzione del 1848
Luigi Filippo e i suoi ministri
si opposero alle richieste di una riforma radicale delle istituzioni politiche
nazionali per adattarle all'evoluzione dell'economia e della società; in
particolare ciò che si invocava era soprattutto un forte allargamento del
diritto di voto. L'inflessibilità del governo e una grave crisi economica nel
1846 e nel 1847 minarono il consenso al regime. Nel febbraio del 1848 il
tentativo del governo di impedire una dimostrazione dei repubblicani diede
origine a una serie di scontri che sfociarono in una rivoluzione. Luigi Filippo
abdicò il 24 febbraio, e un gruppo di capi repubblicani formò un governo
provvisorio proclamando la Seconda repubblica francese.
La Seconda repubblica e
il Secondo impero
Nei primi quattro mesi della
Seconda repubblica i repubblicani moderati, che miravano unicamente a un
cambiamento politico, e i repubblicani radicali, che volevano anche le riforme
sociali, si contesero il controllo del paese. In aprile le elezioni favorirono
una maggioranza di moderati e conservatori all'Assemblea costituente, le cui
misure contro i radicali scatenarono una nuova insurrezione in giugno con altri
tre giorni di scontri sanguinosi a Parigi: ciò creò nella borghesia un timore
del radicalismo operaio che avrebbe condizionato la politica francese per il
quarto di secolo seguente.
La costituzione adottata nel
novembre del 1848 istituì una repubblica presidenziale con un'unica assemblea
legislativa, con elezione a suffragio universale maschile sia del presidente
sia dell'assemblea. Luigi Napoleone Bonaparte, nipote dell'ex imperatore,
divenne presidente con un grande consenso elettorale. La forza crescente dei
repubblicani radicali, che avevano ottenuto un terzo dei seggi, allarmò la
piccola e grande borghesia. Luigi Napoleone, ponendosi come il difensore della
nazione dal pericolo della rivoluzione radicale, concentrò il potere nelle sue
mani con un colpo di stato il 2 dicembre 1851 e diede alla Francia una nuova
costituzione. Un anno dopo restaurò l'impero e assunse il titolo di Napoleone
III (il
figlio di Napoleone I, Napoleone II, non aveva mai regnato).
Fino al 1860 Napoleone III
governò la Francia come un sovrano assoluto, ma in seguito cominciò a
trasferire il potere agli organi rappresentativi così che, nel 1870, il paese
tornò a essere una monarchia parlamentare con un gabinetto responsabile.
Sotto il Secondo impero riprese
lo sviluppo economico del paese, favorito dall'istituzione di nuove banche e di
un sistema di credito nazionale, da accordi commerciali con la Gran Bretagna e
con altri paesi che rivitalizzarono l'industria, e da un vasto programma di
opere pubbliche. Il volto di Parigi fu trasformato con la realizzazione di ampi
boulevards attraverso i quartieri centrali, la creazione di grandi
parchi e la costruzione di edifici pubblici.
Diversamente in politica estera
gli unici successi del sovrano furono la vittoria contro la Russia nella guerra di
Crimea e la
convocazione della conferenza di pace di Parigi. Nel 1859 l'appoggio al
Piemonte nella seconda guerra d'Indipendenza italiana contro l'Austria rese
possibile l'unificazione dell'Italia e valse alla Francia Nizza e la Savoia, ma
al prezzo di un nuovo e più potente vicino lungo il confine sudorientale. Tra
il 1862 e il 1866, il tentativo di fondare un impero in Messico sotto
protettorato francese, sostenuto da una forza di spedizione di 30.000 uomini,
si concluse in un disastro (vedi Massimiliano d'Asburgo). La vittoria decisiva della
Prussia sull'Austria nel 1866 (vedi Guerra
austro-prussiana) rovesciò l'equilibrio dei poteri europei a tutto svantaggio della Francia
che non ottenne alcun compenso a fronte dell'espansione territoriale e della
crescita del potere prussiano.
La guerra
franco-prussiana, 1870-1871
Nel luglio del 1870 il primo
ministro prussiano Otto von Bismarck (appoggiando un Hohenzollern al trono di Spagna)
fece in modo di provocare una dichiarazione di guerra da parte della Francia,
sconfiggendo in breve tempo l'esercito di Napoleone a Sedan (vedi Guerra
franco-prussiana). Quando la notizia giunse a Parigi il 4 settembre, gruppi di cittadini
proclamarono la repubblica sotto un governo di difesa nazionale per continuare
la guerra. Nel gennaio del 1871, quando Parigi ebbe quasi esaurito le scorte
alimentari e la sconfitta militare sembrava ormai irreparabile, il governo
francese capitolò. Bismarck concesse un armistizio di tre settimane per
l'elezione di un'assemblea nazionale con il potere di concludere la pace. Questa
approvò un accordo con cui la Francia era tenuta a cedere alla Germania l'Alsazia
e un terzo della Lorena, a pagare un'indennità di 5 miliardi di franchi e a
sottomettersi all'occupazione militare fino al completo pagamento di questa.
La Terza repubblica
L'esito disastroso della guerra
e il timore di una restaurazione monarchica scatenarono una reazione popolare
contro il governo. Nel marzo del 1871 scoppiò una rivolta di repubblicani
radicali che istituirono un governo municipale indipendente socialista e
rivoluzionario, la Comune di Parigi. Due mesi dopo truppe inviate dal governo
riconquistarono la città in una settimana di scontri sanguinosi, la cui eredità
avrebbe avvelenato la politica francese per un'intera generazione.
La maggioranza realista
all'Assemblea mirava a restaurare la monarchia ma non riuscì a risolvere i dissidi
sorti al suo interno tra i pretendenti al trono dei Borboni e degli Orléans;
nel 1875 i repubblicani ottennero i voti sufficienti per far approvare una
costituzione repubblicana. Nei trent'anni seguenti la Francia dovette
affrontare minacce ricorrenti contro la repubblica quali il tentativo di colpo
di stato di monarchici, bonapartisti e nazionalisti che si erano raccolti
intorno al generale Georges Boulanger.
Ma ancor più grave fu la crisi
che si profilò nei tardi anni Novanta, quando il paese si divise in seguito
alla condanna di un ufficiale ebreo, Alfred Dreyfus, dichiarato colpevole di
spionaggio per la Germania. I sostenitori di Dreyfus, in maggior parte
repubblicani, affermavano che era stata commessa un'ingiustizia, mentre secondo
i suoi oppositori la difesa dell'ufficiale screditava l'esercito e metteva in
pericolo la sicurezza nazionale. Intorno a questi ultimi si raccolsero le forze
anti-repubblicane: monarchici, nazionalisti, antisemiti e cattolici
oltranzisti. I deputati repubblicani si unirono nel 1899 per formare il governo
di difesa repubblicana che assolse Dreyfus, destituendo o destinando ad altre
cariche gli ufficiali dell'esercito coinvolti, e che nel 1901 riprese l'attacco
contro l'ingerenza clericale che doveva sfociare nella legge sulla separazione
tra Chiesa e Stato del 1905 (vedi Affare Dreyfus).
I quattro decenni che seguirono
il 1871 furono anni di crescita economica e di prosperità per la borghesia e i
contadini, mentre la classe operaia, pur contribuendo alla crescita del prodotto
nazionale, versava in condizioni di grande ristrettezza. Le associazioni di
lavoratori furono legalizzate nel 1884, ed emerse un movimento operaio, il
sindacalismo rivoluzionario, sviluppatosi dalle teorie di Georges Sorel, che rifiutava l'azione
politica in favore dell'azione diretta, attraverso scioperi e sabotaggi, per
rovesciare la repubblica e il capitalismo.
Nei decenni che seguirono la
guerra franco-prussiana la sicurezza nazionale rappresentò una preoccupazione
costante. La Germania unita superava per industria pesante e popolazione la
Francia, ormai isolata sul piano diplomatico. Seguendo l'esempio di Bismarck,
il governo francese intraprese l'espansione coloniale, fondando un nuovo impero
in Africa e in Asia, secondo solo all'impero britannico. Un raffreddamento
nelle relazioni russo-tedesche portò nel 1893 alla conclusione di un'alleanza
difensiva tra Francia e Russia (Duplice Intesa), in funzione anti-tedesca e
anti-austriaca. Dieci anni dopo il timore della Germania spinse la Francia e la
Gran Bretagna a dirimere le reciproche controversie coloniali e ad avviare
consultazioni per operazioni militari e navali congiunte in Europa (Entente
cordiale,
1904). Nel 1907 Francia, Russia e Gran Bretagna si unirono nella Triplice
Intesa per
contrastare la Triplice Alleanza di Germania, Austria-Ungheria e Italia.
Lo scoppio della guerra nel 1914
fu anticipato da crisi ricorrenti nel 1905, 1908, 1911 e 1913. L'assassinio
dell'erede al trono austroungarico Francesco Ferdinando per mano di
nazionalisti serbi nel luglio del 1914 fu il pretesto che fece precipitare gli
eventi. Nonostante non avesse interessi diretti nei Balcani, la Francia
appoggiò l'alleato russo spinta da considerazioni di sicurezza nazionale. La
Germania, in appoggio all'Austria-Ungheria sua alleata, dichiarò guerra alla
Russia il 1° agosto e, di fronte al rifiuto francese di rimanere neutrale, due
giorni dopo dichiarò guerra anche alla Francia.
La prima guerra mondiale
Quando la Francia entrò in
guerra nell'agosto del 1914 il popolo francese si unì nella difesa del paese,
mettendo da parte gli aspri conflitti sociali e politici dei decenni
precedenti. Le armate tedesche avanzarono fino a pochi chilometri da Parigi
prima di essere respinte nella battaglia della Marna all'inizio di settembre.
Nei quattro anni che seguirono,
le operazioni militari sul fronte occidentale, essenzialmente tentativi di
sfondare le linee di trincea nemiche e riprendere una guerra di movimento,
ebbero un impressionante costo in vite umane. Alla fine del 1914 la Francia
contava 300.000 morti e altri 600.000 feriti, prigionieri o dispersi. Dopo
l'esito disastroso dell'offensiva della primavera del 1917, tra le divisioni
francesi si diffuse la diserzione, mentre nel paese crescevano i disagi
prodotti dalla guerra, gli scioperi e le richieste di una negoziazione della
pace. Il generale Henri-Philippe Pétain e un nuovo gabinetto guidato da
Georges Clemenceau riuscirono a mettere a tacere il disfattismo e a continuare la guerra.
Nel luglio del 1918 gli Alleati sferrarono un'offensiva
che costrinse il governo tedesco a chiedere la pace. L'11 novembre 1918 la
Repubblica tedesca, appena proclamata, negoziò l'armistizio e il 28 giugno 1919
firmò il trattato di Versailles con il quale la Francia riottenne l'Alsazia e la Lorena.
L'esercito tedesco fu ridotto a 100.000 uomini, una striscia di territorio
ampia 50 km sulla riva orientale del Reno fu smilitarizzata, e la Germania
acconsentì a pagare onerose riparazioni di guerra alla Francia. Questa uscì
dalla guerra come la grande vincitrice continentale, ma a un prezzo
impressionante: circa 1.394.000 uomini, un quarto di tutti i francesi tra i 18
e i 30 anni, vi persero la vita, e le regioni nordorientali ne uscirono
devastate (vedi Prima guerra mondiale).
Il periodo tra le due
guerre
Il più urgente problema interno
dopo la guerra fu la stabilizzazione del franco, che nel 1926 venne fissato a
un quinto del suo valore prebellico. La svalutazione colpì particolarmente la
borghesia, che era stata il grande sostegno della repubblica e che dipendeva
dai propri risparmi. A una breve parentesi di prosperità e tranquillità
garantita da un governo di Unione nazionale con a capo Raymond Poincaré, mise
poi fine la Grande Depressione che, iniziata in Francia nel 1932, rappresentò
una nuova calamità per la nazione insieme alla ripresa dell'aggressività
tedesca dopo il 1933. Nel 1934 la minaccia interna ed esterna del fascismo spinse i partiti
radical-socialista, socialista, e comunista a unirsi nel Fronte popolare per difendere la
repubblica e spingere per l'introduzione di una fin troppo attesa legislazione
sociale. Ottenuta la maggioranza alla Camera dei deputati nel 1936, il governo
del Fronte popolare guidato da Léon Blum sciolse le organizzazioni
fasciste e riuscì a far approvare leggi che istituivano le ferie pagate, la
settimana lavorativa di 40 ore e la contrattazione collettiva obbligatoria, ma
non riuscì nemmeno a terminare la realizzazione del proprio programma prima di
sciogliersi nel 1938 tra dispute di partito e la crescente minaccia della
guerra.
Negli anni Venti e Trenta quella
della sicurezza nazionale rimase una preoccupazione costante e primaria per il
paese. Poiché Gran Bretagna e Stati Uniti non garantivano effettivo supporto
militare, la Francia in un primo tempo si alleò con il Belgio e con gli stati
europei orientali in funzione antitedesca. Quando Adolf Hitler, salito al potere nel
1933, iniziò il riarmo della Germania e il sistema di alleanze orientali si
disintegrò, l'Inghilterra tornò a essere per la Francia il solo alleato
affidabile, concertando in accordo con essa una serie di passi diplomatici e
politici. Quando nel settembre del 1939 la Germania attaccò la Polonia, Francia
e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania, ma essendo prive di un
esercito e di un'aviazione adeguati non riuscirono a evitare la rapida
sconfitta polacca.
La seconda guerra
mondiale e la Quarta repubblica
Il 10 maggio 1940 le forze
tedesche invasero l'Olanda, il Belgio e la Francia, dirigendosi verso la costa
della Manica. Il 9 giugno sferrarono un'offensiva attraverso il fiume Somme
spingendosi a sud e il 14 giugno entravano a Parigi; il 17 giugno il nuovo
governo formato dall'anziano maresciallo Pétain trattò l'armistizio con la
Germania, in base al quale circa i due terzi del territorio francese subivano
l'occupazione militare tedesca. Alla Francia veniva concesso di istituire un
governo nella zona non occupata. Il 10 luglio 1940 il Senato e la Camera dei
deputati si riunirono a Vichy e approvarono la concessione di pieni poteri a
Pétain per governare il paese e redigere una nuova costituzione. Il governo di
Vichy
rappresentava quelle forze conservatrici che nei decenni precedenti si erano
opposte alla repubblica e che ora sostenevano una politica di collaborazionismo
con la Germania.
Le forze che resistevano
all'invasione tedesca si riunirono invece intorno al generale Charles de
Gaulle che,
riparato a Londra dove fondò il Comitato francese di liberazione nazionale, fece appello a tutte
le truppe francesi affinché proseguissero la guerra a fianco della Gran
Bretagna e riuscì a costituire una propria forza armata e un governo ombra in
Inghilterra. I movimenti della Resistenza in Francia, con i quali prese
contatto, lo accettarono come leader di un movimento unitario di opposizione a
Vichy e ai nazisti. Nel 1943 egli trasferì il suo quartier generale ad Algeri e
costituì un comitato di liberazione nazionale.
Quando gli Alleati sbarcarono in
Normandia nel giugno del 1944, i contatti furono gestiti da ufficiali dell'organizzazione
di de Gaulle ad Algeri e da capi locali della Resistenza. Il 25 agosto gli
americani liberavano Parigi e de Gaulle entrava nella città dove costituì un
governo provvisorio sotto il suo stretto controllo. Egli presiedette il governo
per i mesi seguenti, ma si dimise nel gennaio del 1946, in seguito ai contrasti
con l'Assemblea costituente appena eletta dovuti alla sua concezione di un
esecutivo forte.
Le principali realizzazioni
della Quarta repubblica, la cui costituzione entrò in vigore alla fine del
1946, furono indirizzate a riforme di tipo sociale e di sviluppo economico. Nel
1946 fu istituito un sistema di sicurezza sociale generale che assicurava cure
mediche, pensioni di invalidità e di vecchiaia e indennità di disoccupazione a
tutti i cittadini. L'agricoltura venne rivoluzionata dalla fusione delle
proprietà terriere e dall'adozione di macchinari e metodi moderni. Un piano
nazionale per la modernizzazione dell'industria, sostenuto dal Piano
Marshall
del governo statunitense, produsse una seconda rivoluzione industriale:
l'indice della produzione industriale raddoppiò nel decennio tra il 1948 e il
1958. Nel 1957 la Francia formò con altri cinque paesi dell'Europa occidentale
la Comunità economica europea.
Furono spinose e problematiche
questioni coloniali, dovute al nascere di movimenti nazionalisti nei
possedimenti francesi, i motivi che portarono al crollo della Quarta
repubblica. Dopo una costosa guerra durata nove anni la Francia fu costretta ad
abbandonare l'Indocina nel 1954. In Algeria i nazionalisti nel 1954 diedero
inizio a una guerra per l'indipendenza nazionale che si sarebbe rivelata
cruenta e impopolare in Francia (vedi Guerra d'Algeria). Nel maggio del 1958
ufficiali dell'esercito e civili europei, temendo che il governo di Parigi si
stesse preparando a negoziare con i ribelli, insorsero e presero il controllo
di Algeri, appoggiati dal comando dell'esercito: sull'esempio algerino, il
colpo di stato militare sembrava imminente anche in Francia. In questa
situazione critica il generale de Gaulle rientrò sulla scena politica come un
salvatore. A giugno l'Assemblea nazionale gli concedette pieni poteri per
governare il paese per sei mesi e preparare una nuova costituzione.
La Quinta repubblica
Nel settembre del 1958 l'esito
del referendum popolare con cui fu approvata la nuova costituzione della Quinta
repubblica si tradusse in un generale e unanime voto di fiducia a favore di de
Gaulle. La costituzione conferiva il potere esecutivo a un presidente eletto
con suffragio indiretto, che nominava i ministri e aveva il potere di
sciogliere il parlamento e di governare per decreto in caso di emergenza. Il
potere dell'Assemblea nazionale di rovesciare il governo veniva fortemente
ristretto. Nel 1962 un emendamento proposto da de Gaulle istituì l'elezione
popolare diretta del presidente, il cui potere crebbe ulteriormente.
Il problema più urgente che de
Gaulle si trovò ad affrontare fu la questione algerina, impossibile da
risolvere militarmente. Nel 1960 egli aprì i negoziati di pace con i ribelli
algerini, che perseguì – nonostante nuove rivolte di ufficiali dell'esercito,
il suo tentato assassinio e la violenza terroristica – fino a giungere agli accordi di
Evian. Nel
luglio 1962 fu ufficialmente proclamata l'indipendenza dell'Algeria.
La ferma volontà di de Gaulle di
accrescere il prestigio internazionale della Francia e di riaffermarne
l'indipendenza in politica estera lo condusse nel 1959 a ordinare la chiusura
delle basi missilistiche statunitensi in Francia e a ritirare la flotta del Mediterraneo
(e in seguito tutte le forze francesi) dal comando dell'Organizzazione del
trattato dell'Atlantico del Nord (NATO). Per ridurre la dipendenza dalla protezione
nucleare americana sviluppò una forza nucleare francese e, in cooperazione con
il cancelliere della Repubblica federale, pose fine al secolare contrasto tra
Francia e Germania. Si riavvicinò poi all'URSS, riprese le relazioni
diplomatiche con i paesi arabi e fu uno dei primi a riconoscere la Cina
popolare (1964).
Dal punto di vista economico gli
anni della sua presidenza furono un'epoca d'oro per la Francia. Tra il 1959 e
il 1970 l'indice della produzione industriale quasi raddoppiò e il prodotto
nazionale lordo crebbe a una media del 5,8% annuo tra il 1960 e il 1975, un
tasso superato solo da quello del Giappone. Il potere d'acquisto continuò a
salire e il popolo francese raggiunse un benessere senza precedenti.
Ciononostante, intorno alla metà
degli anni Sessanta si manifestarono segni di malessere. La spinta
inflazionistica si aggravò; tornò la disoccupazione. Tra i laureati in
eccedenza, prodotto della democratizzazione dell'istruzione superiore degli
anni Cinquanta, crebbero la rabbia e la disillusione nei confronti della
società consumistica. Nel maggio del 1968 scoppiò la rivolta di tutte le forze
portatrici dello scontento. Lo sciopero iniziato dagli studenti di Parigi (vedi
Movimento studentesco), che per protesta contro la brutalità della polizia
avevano occupato gli edifici dell'università, fu imitato da studenti e
lavoratori in tutto il paese, ed entro la terza settimana di maggio il paese fu
paralizzato da uno sciopero generale. In questo frangente de Gaulle sciolse
l'Assemblea nazionale e indisse nuove elezioni, che diedero al suo partito una
maggioranza assoluta. Nella primavera del 1969, in seguito all'esito negativo
di un referendum in merito a due riforme costituzionali, de Gaulle diede le
dimissioni e si ritirò definitivamente dalla vita politica prima di morire nel
1970.
L'amministrazione
Pompidou
Successore di de Gaulle fu eletto
Georges Pompidou, primo ministro dal 1962 al 1968. In politica estera egli proseguì la
politica gollista di indipendenza dalle due superpotenze, pur essendo più
conciliante del suo predecessore. Abbandonò infatti l'opposizione all'ingresso
della Gran Bretagna nella Comunità Europea (oggi Unione Europea), e coinvolse
maggiormente l'Assemblea nazionale nella formulazione delle politiche.
Nel 1973 l'economia francese fu
duramente colpita dalla crisi petrolifera mondiale: i risultati furono un
improvviso rallentamento nella produzione industriale, la crescita della
disoccupazione e dell'inflazione. La morte di Pompidou nell'aprile del 1974
impedì che il suo governo potesse affrontare la nuova situazione.
La presidenza di Giscard
d'Estaing
Alle elezioni per il nuovo
presidente parteciparono una dozzina di candidati. Al primo turno il candidato
socialista François Mitterrand, sostenuto anche dal Partito comunista, ottenne la
maggioranza relativa dei suffragi che non raggiunse tuttavia il quorum
previsto. I partiti di centro e di destra si raccolsero intorno al candidato
repubblicano indipendente, Valéry Giscard d'Estaing, che al secondo turno
fu eletto presidente con una maggioranza molto ristretta.
Il suo intento di formare un
governo di ampia coalizione di centro non riuscì e l'acuirsi della recessione
impedì l'adozione di nuovi programmi di politica sociale. Nel 1975 l'indice
della produzione industriale diminuì per la prima volta dal 1945 e il numero
dei disoccupati aumentò notevolmente rispetto al 1974.
Nell'agosto del 1976 Giscard
nominò un nuovo primo ministro, Raymond Barre, un economista non legato ad
alcun partito, per affrontare la crisi economica. Questi intraprese una brusca
liberalizzazione dell'economia, rovesciando tre secoli di dirigismo statale. Il
controllo dei prezzi venne gradualmente eliminato. Nell'assegnazione del
sostegno finanziario alle imprese fu introdotto un criterio di efficienza e di
competitività, per incentivare la modernizzazione. Per far fronte al problema
energetico fu avviata la costruzione di centrali nucleari ma il continuo
rincaro del prezzo del petrolio finì per sconvolgere le previsioni di Barre. Gli
investimenti privati non crebbero, il commercio estero non subì incrementi e i
livelli di inflazione e di disoccupazione rimasero elevati.
La presidenza Mitterrand
Nel 1981, dopo la vittoria dei
socialisti alle elezioni, François Mitterrand succedette a Giscard alla
presidenza e Pierre Mauroy divenne primo ministro. Con una netta virata
rispetto alla linea politica dei suoi predecessori, il governo Mitterrand
procedette alla nazionalizzazione di importanti banche e delle industrie
principali, aumentò le tasse, estese la previdenza sociale, incrementò il
numero degli impieghi pubblici, abolì la pena capitale e mise fine all'amministrazione
centralizzata basata sulle prefetture istituita da Napoleone. Nel 1982 e 1983
il rallentamento economico e la scarsa efficienza delle imprese statali
condussero il governo a prendere misure di svalutazione valutaria e di
austerità. Nel luglio del 1984 Mitterrand operò un rimpasto del suo gabinetto
al quale i comunisti, che avevano fino ad allora presieduto quattro dicasteri,
rifiutarono di partecipare. Nel 1986, in seguito alla vittoria di stretta
misura riportata dai partiti di destra alle elezioni per l'Assemblea nazionale,
Mitterrand nominò un nuovo primo ministro, il gollista Jacques Chirac, tra i fondatori del
moderato Raggruppamento per la Repubblica (RPR) e sindaco di Parigi. Per la
prima volta dal 1958 erano insieme al governo due forze di fronti opposti. Chirac
fu sconfitto da Mitterrand alle elezioni presidenziali del 1988, e questi
nominò primo ministro un socialista, Michel Rocard.
Le forze militari francesi
parteciparono alla coalizione che intervenne nella guerra del Golfo contro l'Iraq. Nel
maggio del 1991, dopo le dimissioni di Rocard, Mitterrand nominò primo ministro
la socialista Edith Cresson, prima donna a ricoprire tale carica in Francia, la
quale fu tuttavia sostituita da Pierre Bérégovoy nell'aprile del 1992. Alle
elezioni parlamentari dell'anno seguente, il Partito socialista perse la
maggioranza in seno alla nuova Assemblea. L'Unione per la Francia, una
coalizione dell'RPR di Chirac, dell'Unione per la democrazia francese (UDF,
guidata dall'ex presidente Valéry Giscard d'Estaing), e di altri partiti
conservatori minori, ottenne un totale di 484 seggi contro i 54 dei socialisti;
le consultazioni videro anche l'affermarsi del Fronte nazionale di Jean-Marie
Le Pen, un movimento di estrema destra. Il presidente Mitterrand nominò primo
ministro Edouard Balladur, membro dell'RPR.
A maggio, una verifica
commissionata dal governo rivelò che la situazione economica del paese era ben
più seria di quanto si fosse creduto in precedenza, e si cominciò a temere che
l'elevato deficit di bilancio avrebbe minacciato la partecipazione francese
nella Comunità Europea, proprio quando era stato a fatica approvato il trattato di
Maastricht
che rafforzava l'integrazione politica e monetaria europea. Balladur cercò di
fronteggiare la grave situazione introducendo un programma di privatizzazioni e
di riforme strutturali, ma con scarso esito anche per l'ostruzionismo delle
forze di opposizione. Balladur e la sua coalizione riuscirono a vincere ancora
una volta le elezioni legislative del marzo 1994; in maggio veniva
ufficialmente inaugurato il tunnel sotto la Manica.
La presidenza Chirac
Dopo i due tentativi falliti nel
1981 e nel 1988, Jacques Chirac vinse le elezioni del maggio 1995 prevalendo su
Balladur, proveniente dal suo stesso partito e sostenuto dalla coalizione al
governo, e sconfiggendo il socialista Lionel Jospin, candidato della sinistra
dopo la rinuncia di Jacques Delors. Primo ministro fu nominato Alain Juppé. La
ripresa in giugno, a meno di due mesi dal cinquantesimo anniversario di Hiroshima,
degli esperimenti nucleari a Mururoa, nella Polinesia francese, attirò sul
nuovo governo la protesta del movimento antinuclearista e di vari strati
sociali: sul piano internazionale la riprovazione dell'opinione pubblica
mondiale portò a episodi di boicottaggio delle merci francesi ed eclatanti
dimostrazioni di Greenpeace contro la Francia. Il paese nel frattempo veniva
investito da un'ondata di scioperi contro le misure di tagli al sistema sociale
decise dal governo Juppé e da una recrudescenza del terrorismo, contraccolpo
forse dei sanguinosi avvenimenti della crisi algerina. Nel dicembre 1995 la
Francia annunciò il suo rientro nella NATO da cui era uscita nel 1966. Nel
gennaio 1996 l'ex presidente Mitterrand moriva dopo una lunga malattia.