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Orestea

 

 di Eschilo: la giustizia rappresenta un problema.

Quando, nel 458 a.C., Eschilo scrisse la trilogia dell'Orestea, l'unica ad essere stata tramandata per intero fino ai nostri giorni, Atene stava attraversando una fase cruciale della sua vita politica sia all'interno che all'esterno dei propri confini.Dopo la conclusione delle guerre persiane, nel 479 a.C. (data della vittoria di Platea e Micale), ottenuta grazie ai meriti di entrambi gli eserciti, quello di Sparta e quello di Atene, la situazione si era profilata nettamente in favore di quest'ultima, il cui assetto politico consentiva un maggiore dinamismo al di fuori dei confini della pòlis, contrariamente alle rigide istituzioni spartane, che seguivano l'orientamento conservatore degli efori, preoccupati di salvaguardare la propria posizione di predominio nel peloponneso. Rinunciando perciò ad ogni ambizione di imperialismo, lasciò campo libero agli Ateniesi che, con la costituzione della lega di Delo, nella quale svolgevano un ruolo di guida indiscussa, affermò la propria supremazia su tutte le città della Grecia. Tra le alleate spiccava Argo, città tradizionalmente ostile a Sparta. A circa un decennio dalla costituzione della Lega, dunque, la minaccia di un conflitto contro Sparta da un lato e contro la Persia, con cui non si era mai arrivati a concludere una pace effettiva e duratura, dall'altro, diveniva sempre più incombente, traducendosi, nelle opere di Eschilo e dei suoi contemporanei, nella rappresentazione di un'età di crisi in cui il potere di Atene vacillava insieme al suo assetto politico, sociale e giuridico-istituzionale. L'Aeropago era il collegio istituito da Solone per il controllo delle cariche pubbliche e delle leggi, ma la sua funzione, dopo il governo di Efialte ed ora con quello di Pericle, non appariva più ben definita come un tempo; i temi del dibattito culturale erano in continua espansione e abbracciavano problemi giuridici, religiosi, etici: tutto questo viene affrontato, con una profonda incisività dell'azione scenica, nella trilogia dell'Orestea, in cui Eschilo segue le vicende sanguinose di questa famiglia, in rapporto alla insanabile spaccatura che si era verificata tra la legge collettiva e implacabile dello Stato, legittimata dalla stessa Atena, e la legge tradizionale di una società matriarcale cui era legata anche una diversa religiosità. Infatti è inevitabile che la giustizia si identifichi con il divino, e determini per questo una lacerazione interiore nell'uomo che si trova di fronte a una scelta necessaria: è quanto accade ad Agamennone prima, ad Elettra ed Oreste poi.

A tale proposito vale la pena di citare questi versi, tratti dall'Agamennone allorché l'indovino Calcante annuncia al re acheo che dovrà sacrificare sua figlia Ifigenia per consentire alla sua flotta di ripartire.

"Le vie della saggezza Zeus aprì ai mortali, facendo valere la legge che sapere è soffrire. Geme anche nel sonno, dinanzi al memore cuore, rimorso di colpe, e così agli uomini anche loro malgrado giunge saggezza; e questo è il beneficio dei numi che saldamente seggono al timone del mondo." (op.cit., vv.176-183.)

Si noti qui come il rimorso di Agamennone è visto non come un sentimento che scaturisce da dentro di sé, ma come un dono divino grazie al quale gli è stata data la possibilità di redimersi dalla colpa, acquisendo quella saggezza che passa per il dolore. Ma la questione non è così semplice per Eschilo, che infatti non esita a mostrarci l'effettivo stato d'animo del suo personaggio, tutt'altro che fiducioso in questa specie di ordine provvidenziale:

"Mala sorte è la mia se obbedienza rifiuto, mala sorte se la figlia sacrifico, splendore della mia casa, e qui, presso l'altare, nei fiotti di sangue della vergine sgozzata, contamino le mani paterne. Quale delle due sorti è peggiore? Come posso disertare le navi dell'alleanza? E dunque plachi il sacrificio i venti e sgorghi il sangue dalla vergine! Questo, con ira e furore, mi è forza desiderare, e così sia." E immerse il collo nel collare della necessità."

(op. cit.,vv.206-217.)

Ma se nell'Agamennone questo contrasto tra la giustizia divina e la coscienza umana si sviluppa solo a livello individuale, nella tragedia che conclude la trilogia, le Eumenidi, il problema assume dei connotati più generali, riferiti alla vita sociale nell'Atene del tempo. L'uccisione di Clitennestra da parte di Oreste, obbedendo agli ordini di apollo nonché all'antica legge tribale della vendetta, è condannabile secondo le Erinni, ultime rappresentanti di una religiosità ancora di tipo matriarcale. Davanti al tribunale dell'Aeropago sta non solo Oreste, con le sue colpe da un lato e la sua sofferenza dall'altro, ma anche Agamennone, che nel figlio ha trasmesso la macchia incancellabile del sacrificio di Ifigenia. L'arduo compito di giudicare è affidato alla comunità degli uomini, una comunità che ha messo il potere al centro con il governo democratico, e la giustizia al centro con l'istituzione di un tribunale la cui responsabilità sarà quella di applicare una sentenza stabilita con chiarezza oggettiva, negli interessi della collettività che sarebbe altrimenti afflitta da una catena interminabile di delitti. Ciò non esclude l'intervento divino, che anzi resta determinante per la decisione finale: Atena, votando per ultima a parità di voti dei giurati, assolverà Oreste . La dea ammonisce severamente i cittadini ateniesi: se è vero che spetta a loro farsi giustizia, è altrettanto vero che questa deve avere per forza alla base un profondo rispetto per la volontà degli dèi:

Né anarchia né dispotismo: questa è la regola che ai cittadini amanti della patria consiglio di osservare; e di non scacciare del tutto dalla città il timore perché senza il timore nessuno dei mortali opera secondo giustizia. E se voi, come dovete, avete timore e reverenza della maestà di questo istituto, il vostro paese e la vostra città avranno un baluardo di sicurezza quale nessun'altra gente conosce (...).Incorruttibile al lucro io voglio questo consiglio, e rispettoso del giusto; e inflessibile e pronto, vigile scolta che se anche gli altri dormono è desta.

(Eumenidi, vv.696-706,trad. di M.Valgimigli).

Il problema della giustizia, in definitiva, si risolve ancora in una visione metafisica, ma grazie alla democrazia ateniese, prende finalmente un valore assoluto.