La condizione femminile ad Atene
"L'uomo
ad Atene poteva avere tre donne più una supplementare:
1
- La moglie (damar o gynè) , per la creazione dei figli , era promessa sposa
quando era bambina, si sposava sui 14 anni , non aveva diritti e non partecipava
alla vita sociale maschile .
2
- La concubina (pallakè) era spesso straniera , serviva per avere rapporti
sessuali stabili, aveva i doveri della moglie ma non aveva protezione.
3
- La compagna per il piacere (etera) era colta, accompagnava l'uomo nella vita
sociale ed era a pagamento.
4
– La prostituta (pornè) che esercitava il suo mestiere nelle strade ed era più
povera. La dama poteva chiedere il divorzio, non ereditava il patrimonio
paterno. In pratica le donne servivano per soddisfare le diverse esigenze
maschili.".
Secondo
gli stranieri nella costituzione spartana c'era una totale mancanza di regole
sul comportamento femminile. In effetti, le donne spartane erano libere di
dedicarsi al canto, alla danza e agli esercizi ginnici, perché cosi pensavano
gli spartani che esse avrebbero potuto dare figli robusti alla patria. Inoltre
erano libere perché ai lavori domestici ci pensavano le schiave e ai bambini
provvedevano le nutrici".
"GRECIA
- la donna".
Per
analizzare attentamente la condizione della donna nell'antica Grecia, è
sufficiente prendere in considerazione i due modelli che ci offrono Sparta e
Atene, le due città che più di ogni altra polis hanno influenzato la storia
antica.
Sulla
legislazione spartana, riguardo alla mancanza di norme per le donne, Aristotele
annota: L'assenza di regole sul
comportamento femminile è dannosa allo spirito della costituzione e alla
felicità della città. Così come l' uomo e la donna sono parti essenziali della
casa, essi sono le due anime della polis. Di conseguenza, in tutte le
costituzioni dove la condizione delle donne non è ben definita, metà della
polis deve essere considerata senza legge. Questo è accaduto a Sparta, e così
le donne vivono nella sregolatezza totalee nella mollezza.
La
pesantezza di questo giudizio, è motivata dal fatto che Aristotele era
Ateniese, e come tale non poteva capire la cultura spartana. Infatti a Sparta
le donne godevano di una libertà immensa: esse venivano educate a vivere
liberamente e all' aria aperta , non dovevano provvedere né alla casa né alla
crescita dei figli , e perciò potevano dedicarsi alla danza, e al canto e agli
esercizi ginnici, cui erano addestrate sin dall' infanzia, perché così si
pensava che potessero dare figli più robusti alla patria.
La
non comprensione di questa cultura portò gli altri Greci a favoleggiare
sull'immenso potere delle donne di Spartasu gli uomini.
Ad
Atene era diverso: ogni uomo poteva avere tre donne: la moglie, la concubina e
la compagna per il piacere.La moglie apparteneva ad una famiglia amica, e
veniva promessa al marito o al padre di lui quando era ancora bambina (6 - 7
anni).
Il
matrimonio avveniva intorno ai 14 anni, e da lì in poi il suo ruolo era quello
di dare figli al marito, per perpetuare il gruppo familiare. Alla moglie non
spettava nessun altro compito, tutto infatti era delegato alle schiave. Ella
non partecipava in nessun modo alla vita sociale: non andava a teatro né ai
banchetti. La concubina era spesso straniera, con la quale l'uomo greco viveva
senza sposarla. Dal punto di vista dei doveri era parificata alla moglie , ma
non godeva di alcun diritto. Infine l'etera, una donna che , pur concedendosi a
pagamento, sarebbe impreciso definire prostituta Le etere erano infatti donne
colte, che conoscevano la musica, il canto e la danza; esse accompagnavano gli
uomini ai banchetti, dove né le mogli né le concubine erano ammesse. A questo
si aggiunga che per i rapporti davvero occasionali gli uomini avevano a
disposizione vere e proprie prostitute, che esercitavano in casa e per strada,
e che erano considerate a livello infimo della scala sociale.
Da
ciò si evince che la città di Atene era una polis di uomini fatta per gli
uomini ,e che in realtà le donne servivano per soddisfare le loro esigenze.
In
età ellenistica le cose cambiarono :in questo periodo le donne godettero di
maggiori diritti, questo a causa della disgregazione dei valori classici e del
contatto con le grandi monarchie: gli Egiziani ad esempio, avevano da tempo
riconosciuto alla donna capacità e diritti."
"LA
VITA QUOTIDIANA DELLA DONNA nella Grecia Antica".
Quasi
tutte le informazioni scritte che possediamo sulla sull'Antica Grecia sono
opera di uomini. Raramente abbiamo notizie dal punto di vista della donna.
Qualche cosa sappiamo sulla vita delle donne delle famiglie ricche; e di donne
molto differenti, come schiave ed ex schiave che si esibivano nelle feste degli
uomini. Ma le donne di questi due gruppi sono solo una piccola parte della
popolazione femminile. La storia delle donne greche comuni è per noi alquanto
misteriosa.
Vita
nell'ombra
Platone
affermava che molte donne avrebbero dovuto essere istruite come gli uomini e
considerate alla pari. Questa idea era ostica alla maggior parte dei Greci.
Persino le donne, temeva Platone, avrebbero rifiutato il pensiero di
condividere il mondo degli uomini. Le donne erano abituate a una "vita
nell'ombra", ma cosa significava?
Su
molti vasi greci gli uomini sono mostrati con pelle scura e le donne con la
pelle chiara. Malgrado ciò esageri le differenze fra i due sessi, le donne
nella vita reale erano molto più pallide degli uomini. Questo perché la pelle
delle donne prendeva molto meno sole di quella degli uomini. Le donne stavano
molto più in casa, e quando uscivano indossavano spesso lunghi mantelli e
cappelli, per nascondersi agli occhi degli uomini, e quindi, dal sole. Essere
pallida era di moda per una donna: ciò indicava che proveniva da una famiglia
agiata, al contrario, la pelle scura era segno che una donna lavorava al sole,
in un mercato o in un campo, cosa che facevano solo le donne povere. Molte
donne greche avevano un'altra importante ragione per stare in casa: era questo
il luogo in cui i loro mariti volevano che stessero, ma cosa faceva la donna in
casa? Se apparteneva ad una famiglia ricca, controllava gli schiavi mentre
svolgevano i lavori domestici e per il resto del tempo chiacchierava con le sue
parenti. Un anonimo autore si lamentava delle donne benestanti che stavano
mollemente sedute senza far niente. Le donne di condizioni più umili
preparavano i pasti e facevano le pulizie, ma non effettuavano le compere, un
compito affidato agli schiavi. Le donne crescevano i figli finché non erano
abbastanza grandi per andare a scuola. Le femmine generalmente non andavano a
scuola, ma imparavano a tenere una casa aiutando la madre. Ad alcune bambine
veniva insegnato a leggere e a scrivere, per lo più dalle loro madri, ma gli
uomini potevano aver da ridire su questo: una donna istruita avrebbe avuto
troppo potere! Un personaggio maschile in una commedia diceva: "Insegnare
ad una donna le lettere? E' un grave errore! Come dare altro veleno ad un
pericolosissimo serpente velenoso."
Alle
donne ricche, tuttavia, era permesso uscire qualche volta: le feste religiose erano
occasioni per incontrarsi, ma anche qualche particolare avvenimento della
famiglia, come ad esempio la nascita di un bambino. La maggioranza delle
cittadine era povera, per loro uscire a lavorare era una necessità. Le donne
potevano lavorare nei campi con gli uomini al tempo della mietitura, oppure
potevano vendere cibo e vestiti nei mercati.
Alcune
donne divennero celebri per la loro sapienza e per la loro saggezza: una certa
Thargelia di Mileto, per esempio, fu consigliere del re di Persia, Aspasia,
anche lei di Mileto, famosa per la sua intelligenza, fu la compagna del grande
politico ateniese Pericle. Più famosa ancora fu Saffo, poetessa dell'isola di
Lesbo, che scriveva con uno stile chiaro e semplice, spesso sulle persone che
amava: "L'amore ha scosso il mio cuore, come il vento che si abbatte sulle
querce di montagna."
Il
matrimonio
Nel
matrimonio, tra il VI e l'VIII secolo avanti Cristo, veniva considerata ancora
considerata la donna come un dono grazioso e veniva ancora praticata la tradizione
della dote. Lo statuto della sposa e delle ricchezze che l'accompagnavano era
molto diverso ad Atene, città dell'apertura e del cambiamento, e a Sparta,
città della chiusura e dell'immobilismo, anche perché le due città avevano una
diversa concezione di comunità cittadina e della sua composizione. A quel tempo
vi erano "Città calde" e "Città fredde", secondo la
classificazione di Levi- Strauss. Le "Città fredde" (Sparta) hanno
deciso di conservare l'organizzazione in case e di limitare l'appartenenza alla
comunità cittadina ai soli possessori di terreni. Le "Città calde"
(Atene) hanno posto fine alla struttura per case e hanno rifiutato di limitare
l'appartenenza alla comunità cittadina ai possessori di terra. Nelle
"Città fredde" la sposa era padrona della sua persona e del suo
corredo matrimoniale, mentre nelle "Città calde" la sposa, legata ad
una dote in denaro, era sottoposta all'autorità del marito; insomma, la donna
fu una vittima dell'invenzione della democrazia."
LA
COSMESI NEL MONDO GRECO.
"Orzo,
veccia, corna di cervo, bulbi di narciso, gomma, farina di frumento di Toscana
e miele: ecco gli ingredienti necessari per realizzare una delle maschere di
bellezza che il poeta latino Ovidio (43 a.C. - 17 d.C.) propone nella sua
operetta Medicamina faciei femineae (Rimedi per il viso della donna). Dosando e
mescolando con cura questi componenti, alcuni dei quali devono essere
precedentemente tritati e filtrati, si ottiene una crema che, a detta del
poeta, ha il potere di rendere qualsiasi pelle più liscia e splendente di uno
specchio.
Il
poemetto di Ovidio, insieme ad altre testimonianze letterarie di vari autori
latini, mostra quanto fosse frequente nella Roma imperiale, almeno per gli
appartenenti alle classi più agiate, ricorrere a preparati cosmetici per la
cura del proprio corpo e servirsi del trucco per nascondere eventuali difetti e
imperfezioni o anche soltanto per esaltare la bellezza naturale del viso.
Al
tempo di Ovidio la cosmesi era considerata una vera e propria arte e le matrone
utilizzavano prodotti estremamente sofisticati per apparire più seducenti;
tuttavia anche in epoche più remote quella del maquillage era un'abitudine
piuttosto diffusa nel mondo femminile.
Già
nell'antica Grecia accanto agli olii profumati, che a quanto si legge in Omero
non mancavano neppure nella toeletta delle dee, le donne utilizzavano cosmetici
e belletti ricavati da piante, sostanze animali o elementi di origine minerale.
La base del trucco era costituita da un preparato contenente biacca (carbonato
di piombo), che conferiva alla pelle il colore bianco richiesto dai canoni di
bellezza femminile allora vigenti; una sorta di rossetto a base di ocra serviva
poi a dare alle gote e alle labbra un po' di colorito, segno di buona salute.
Questo era il maquillage ideale per le signore "oneste", cui non si
addiceva un trucco troppo pesante e vistoso; le cortigiane, invece, che per
ragioni per così dire professionali avevano un atteggiamento più audace e
disinvolto nell'uso dei belletti, utilizzavano in aggiunta matite nere o brune
per sottolineare gli occhi e le sopracciglia.
Vi
era poi chi rifiutava completamente ogni forma di "contraffazione"
dell'aspetto naturale, come si legge, per esempio, nell'Economico dello storico
greco Senofonte (V-IV secolo a.C.): Isomaco, uno dei personaggi di quest'opera,
racconta infatti di aver un giorno rimproverato la moglie poiché "era
tutta imbellettata con molto cerone per sembrare ancora più bianca di quanto
non fosse e anche con molta cipria per apparire ancora più rosea di quanto in
realtà non fosse"; riferisce inoltre che, per spiegare meglio alla
compagna la ragione di tale rimprovero, le aveva fatto notare come lei stessa
preferisse un marito forte e sano, quindi con un bel colorito, piuttosto che uno
"unto con del minio o truccato sotto gli occhi con della cipria
rosa". Era dunque piuttosto frequente che anche gli uomini nella Grecia
antica ricorressero a prodotti cosmetici per esaltare la propria bellezza
fisica così come, del resto, era abituale anche nella toeletta maschile l'uso
di unguenti e olii profumati.
Di
fronte alla legge il trucco, al pari dei gioielli e degli ornamenti di ogni
tipo, era considerato incompatibile con il dolore della morte, pertanto nei
periodi di lutto non era lecito mostrarsi con il viso imbellettato, così come
non lo era indossare abiti che non fossero bianchi o scuri, portare
acconciature elaborate e adornarsi il corpo con monili e oggetti preziosi.
"
"L'OMOSESSUALITÀ
NELL' ETÀ CLASSICA
Una
volta uscita dal "medioevo ellenico", cioé dal periodo buio della sua
storia, l'antica Grecia iniziò a parlare di amore, del sentimento identificato
in un Eros che non teneva conto del sesso delle sue vittime. Prima infatti
dell'esclusione della donna dalla vita della "polis", venivano
cantati nei versetti di Saffo gli amori e le attenzioni di lei per le allieve
più belle che partecipavano ai suoi insegnamenti sull'isola di Lesbo.
L'omosessualità fra maschi era in quel periodo praticata in ambiente militare,
dove veniva privilegiata la virilità del giovane soldato e dove vi era una
naturale esclusione delle donne.
L'origine
del fenomeno dell'omosessualità nell'antica Grecia va cercata nelle prime
formazioni tribali elleniche, dove la struttura sociale era divisa per classi
d'età. Il passaggio dell'individuo da una classe all'altra veniva rappresentato
con uno specifico cerimoniale che prevedeva l'allontanamento per un certo
periodo del giovane dalla comunità, lontano dalle regole della vita civile ed a
contatto con la natura. Il giovane veniva affidato ad un uomo con lo scopo di
educarlo ad una vita sempre più responsabile, e durante questi riti di
emarginazione si verificava il rapporto affettivo omosessuale fra i due.
Il
poeta storico Strabone racconta di come a Creta gli uomini adulti rapivano i
giovani con lo scopo di condurli fuori città per un periodo di due mesi al fine
di trattenere con essi rapporti omosessuali, di educarli alla vita della polis.
Tale azione era regolata da leggi ed alla fine dell'iniziazione l'uomo donava
al giovane un'armatura militare. A sostenere inoltre questa tesi vi sono i
poemi dell'epoca, che in scritti più o meno espliciti riportano degli amori
omosessuali fra Zeus e Ganimede, Dioniso ed Adone, Poseidone e Penelope, Apollo
e Ciparisso, di Eracle e Giasone. Per gli ateniesi avere una relazione con un
giovane era una cosa non solo non condannabile, ma addirittura apprezzata;
erano tuttavia proibite le relazioni fra giovani liberi e schiavi. Ad un
giovane che si fosse prostituito, la legge della polis gli impediva di
ricoprire cariche pubbliche, quali la possibilità di divenire uno dei nove
Arconti (governatori dello Stato), di ricoprire cariche di magistrato o
avvocato, di essere consacrato sacerdote, di partecipare a pubblici sacrifici e
di essere inviato come araldo. I prostituti tuttavia erano tutelati dallo Stato
in quanto erano iscritti in un apposito registro ed erano tenuti a versare un
tributo sul guadagno. Non sono difficili da trovare tracce di amori omosessuali
nei poemi omerici, per esempio nell'Iliade viene narrato il rimprovero di Teti
(madre di Achille), per il fatto che Achille aveva prolungato troppo la fase
del suo amore per Patroclo. "Achille", continua Teti, "devi
continuare a vivere e dimenticare
Patroclo,
prendere moglie, com'é giusto che sia". Per Platone esistono vari tipi di
amore: 1)un amore volgare, di uomini ke amano indifferentemente ragazzi o
donne;2)un amore + puro, che invece è rivolto solo verso i ragazzi".