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 CANTO VI

Dopo la malinconica invocazione di Pia di Tolomei, Dante e Virgilio si trovano circondati da una schiera di anime, le quali pregano il poeta di sollecitare i loro parenti perché preghino per la loro salvezza

 

TRADUZIONE: (dal verso 1° al 24°)

 

Quando finisce il gioco dei dadi, il perdente resta triste, e malinconico, impara ripetendo le mosse per il gioco, dietro al vincitore stanno, al contrario tutti gli spettatori: chi gli cammina davanti, chi gli va dietro, e tutti per ricordargli i loro nomi, con lo scopo di ricevere la mancia. Egli non si ferma, ma da ascolto a questo e a quello, e colui al quale allunga la mancia, si allontana, e solo in questo modo riesce a difendersi da coloro che lo assalgono. Nella stessa condizione del giocatore di dadi mi trovai io in mezzo a quella schiera di anime, e volgendomi ora verso l’una, ora verso l’altra, riuscivo a liberarmi di loro con delle promesse.

In questa schiera di anime vi era Benincasa da Latrina (giudice del tredicesimo secolo, il quale venne assassinato dal Senese Ghino di Tacco per vendicare alcuni suoi parenti condannati dal giudice Aretino), il quale trovò la morte tra le braccia di Ghino di Tacco, e Guccio dei Tarlati, il quale annegò in Arno mentre inseguiva i Bostoli (qualcuno dice << non era inseguito dai Bostoli, non si capisce bene infatti, se quell’orrendo sia un gerundio attivo o passivo) in mezzo a questa schiera pregava con le mani porse in avanti Federico Novello dei Conti Guidi del Cosentino e Farinata degli Scornigiani , grazie al suo sacrificio mise in condizione suo padre Marzucco di rivelare tutta la sua bontà d’animo (il giorno dei funerali del figlio Farinata, Marzucco pregò quelli della sua fazione di non vendicare la morte del figlio) .

Vidi anche il Conte Orso degli Alberti di Mangona e l’anima di Pier de la Broccia, divisa dal suo corpo per odio e per invidia, non per aver commesso una colpa; e a questo punto si dia da fare, mentre è ancora in vita " Maria di Brabante affinché, dopo la morte non finisca tra i dannati dell’inferno (Pier de la Broccia era ciambellano alla corte di Filippo III l’Ardito, re di Francia fino al 1278. Pier de la Broccia aveva accusato la moglie di Filippo III L’Ardito, Maria di Brabante, di aver avvelenato il giovane figliastro Luigi, (figlio di prime nozze del Re), per favorire la successione al trono di Filippo IV il Bello, nato dalle seconde nozze. Maria di Brabante preoccupata per queste accuse pesanti, fece impiccare nel 1276 Pier de la Broccia) .

 

(dal verso 25° al 42°):

 

Appena riuscii a liberarmi da quella ressa, da tutte quelle anime che mi pregavano affinché sollecitassi i loro parenti a pregare per loro, in modo da accelerare la loro purificazione, io cominciai a parlare :<<e pare che tu , a una guida abbia negato , nel testo dell’Eneide, le preghiere che possano mutare quello che è stabilito da Dio; per questo le anime mi invocano a tal punto per questo motivo: sarebbe allora vana la loro speranza?, oppure non mi è ben chiaro ciò che hai scritto?>>.

E Virgilio, mi rispose << la mia scrittura è facile da comprendere, la speranza di quelle anime non sbaglia, se di esse con la mente sgombra dai pregiudizi, poiché la vetta del Giudizio di Dio non si abbassa solo perché l’andare di carità con cui i vivi pregano, porti a compimento in un momento quell’espiazione che è dovuta dalle anime a soddisfazione dei loro peccati, e in quel passo dell’Eneide dove io affrontai questo problema, non mi faceva ammendo del peccato con la preghiera, poiché la preghiera era disgiunta dal decreto di Dio, in quel caso la preghiera era rivolta da un pagano al Dio dei cristiani (il fatto dell’Eneide, al quale fa riferimento Dante è tratto dal sesto libro, e precisamente quando era, disceso dal mondo degli inferi l’anima di Palinuro.

Palinuro era il nocchiero della flotta di Enea, e una notte, mentre questa veleggiava di fronte al Capo Misano, colto dal sonno cadde in mare e morì. Invano giunte nell’ode, l’anima di Palinuro, busserà alla porta della Sibilla per farlo entrare nel suo regno.

 

 

 

(dal verso 43° al 78°)

(La Sibilla non prenderà in considerazione le richieste di Palinuro, perché il nocchiero non aveva ancora ricevuto la sepoltura; e poi perché la sua preghiera, proveniente da un pagano, non era in armonia con i decreti del cielo).

 

Dunque non ti soffermare su un dubbio così grave, se Beatrice non chiarirà a te la verità: non so se tu intendi; io sto parlando di Beatrice: tu la potrai vedere sulla vetta di questo monte, sorridente e felice>>.

Ed io: << Signore affrettiamo i nostri passi; poiché la stanchezza mi è passata e puoi ormai vedere che il colle proietta davanti a te la sua ombra>>.

<<Prima che tu sarai giunto in cima, vedrai di nuovo sorgere il sole, che già è al tramonto, così che tu non puoi interrompere i suoi raggi. Ma vedi là un’anima che solitaria sta guardando verso di noi: quella potrà indicarti la via più rapida per salire al monte>>.

Ci avvicinammo a lei: Oh anima lombarda, come te ne stavi fiera e schiva, dignitosa e lenta nel movimento degli occhi!. Quella non proferiva alcuna parola; ci lasciava andare guardandoci soltanto come un leone quando guardando si riposa.

Tuttavia Virgilio si accostò a lei, pregandola di indicarci la strada più agevole; e quella non rispose alla nostra domanda, ma ci chiese del nostro paese e della nostra condizione. E Virgilio incominciò a dire:<<Mantova...>> E quell’anima, prima tutta racchiusa in sé, si alzò dal luogo dove prima stava per venirci incontro dicendo:<< O mantovano, io sono Sordello, tuo concittadino!>>. E si abbracciarono vicendevolmente.

Ahi, schiava d’Italia, albergo di sofferenze, nave senza timoniere nella tempesta, non più signora dei popoli, ma sede di corruzione!

L’anima che Virgilio e Dante incontrano in questa parte dell’antipurgatorio, è Sordello di Goito, poeta provenzale, nato nel 1200e morto intorno al 1270 nell’Italia meridionale, dove si era sistemato al seguito di Carlo d’Angiò. Fu poeta assai raffinato, tra i più insigniti della scuola provenzale. Ebbe una vita avventurosa a causa della sua ispirazione poetica, la quale venne a scontrarsi con i Signori dell’epoca.

Nella sua opera maggiore "Compianto di Ser Blacataz", aveva fatto espressa menzione intorno alla decadenza dei nobili della sua generazione. E fu proprio quest'opera che si accusava i nobili di corruzione, per ciò gli costò l’esilio. La figura di Sordello è molto importante nella poesia del purgatorio. Essa grazie al suo impatto e alla sua pacatezza rappresenta un’ulteriore evoluzione della psicologia di Dante, rispetto all’inconscio, dove essa, molto bene raffigurata dalla imponenza statutaria del Farinata degli Uberti, appare molto scossa e piena di rabbia nei confronti di coloro che gli avevano procurato l’esilio. La poesia del poeta infatti nell’inferno era ancora molto turbata, al momento che solo da poco tempo si era allontanato da Firenze. Ora, nel purgatorio, sono passati alcuni giorni e l’animo del poeta si è subito rassicurato. Attraverso l’anima di Sordello, il suo comportamento, il suo slancio affettuoso nei confronti di Virgilio, appena sente rinominato il nome della città di Mantova. Dante trova l’estro di parlare di patriottismo, un’argomento non certamente di moda, nell’Italia del suo tempo. Il trovatore provenzale, si lancerà infatti, verso Virgilio appena udirà la parola "Mantova" : Mantua era la prima parola inserita nell’epitaffio di Virgilio a Napoli. Sopra la sua tomba vi è scritto un famoso distico, composto dallo stesso Virgilio :<< Mantua me genutit calabri me, rapiere, teniet nune partenope, cecini pasqua, ruza, duces".

"Mantova mi diede i natali, la Puglia (attuale Calabria) mi rapì, ora mi trattiene Napoli, cantai i pascoli, (bucoliche) i campi ( opera della coltivazione dei campi Georgites) condottieri (Eneide).

Sordello morì all’età di 51 anni.