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MANZONI

 

La produzione poetica del Manzoni iniziò nel 1805 in occasione della morte di Carlo Imbonati, ma la sua grandezza poetica la si vide solo dopo la conversione del 1810: abbandonata la tematica tradizionale della poesia italiana, i temi scelti dal Manzoni diedero luogo ad una poesia priva di ogni soggettivismo. Per l'autore si pose il problema di conciliare il suo passato illuminista con la nuova e profonda religiosità. Guardando alla storia l'esigenza di piena realizzazione morale si scontrò con la constatazione che la storia è rapporto di forza, di torto. Nasce da ciò il pessimismo manzoniano che si fonda nella sfiducia sulle possibilità offerte all'uomo di realizzarsi moralmente, sulla realizzazione della giustizia. Furono proprio le prospettive religiose che generarono tale sfiducia che ne fornirono la soluzione rimandando alla Provvidenza il superamento della negatività terrena.

Alla luce di ciò è possibile capire il legame che c'è tra vocazione storica e religione nella realizzazione poetica dei primi anni venti (Marzo 1821, Cinque Maggio). Ma è specialmente nelle tragedie che la vocazione storica emerge maggiormente, in particolar modo nell'Adelchi in cui il protagonista vive fortissimo il conflitto tra "alte e nobili cose" cui aspira e le "inique" alle quali la situazione storica lo condanna.

I promessi sposi

Il romanzo costituì per il Manzoni un progresso ed un approdo. Decise di usare, per la prima volta, come protagonisti due popolani che appartengono a quel volgo che faceva da comparsa nelle precedenti tragedie. Dai personaggi illustri il fuoco della narrazione si sposta a due persone qualsiasi e la vicenda viene raccontata dal loro punto di vista.

Il romanzo ebbe diverse redazioni: la prima risale al 1821-23 (Fermo e Lucia) che viene profondamente cambiata nell'edizione del '27 (Promessi sposi),sino all'edizione definitiva del 1840 in seguito alla celebre "risciacquatura in Arno", anno in cui ha già maturato, tra l'altro, il distacco da ogni genere in cui si mischino storia ed invenzione. Tra il Fermo e Lucia e I promessi sposi le diversità sono notevoli: solo la storia nelle sue linee generali è la stessa ma diversi sono l'intreccio, la caratterizzazione dei personaggi, le implicazioni di carattere estetico e culturale...

Fondamentalmente il fermo e Lucia è un romanzo più vivacemente relistico e drammatico, più aperto alla realtà del presente, mentre i Promessi sposi un romanzo più ascetico e rivolto all'assoluto.

Le due redazioni de I promessi sposi differiscono quasi esclusivamente sul piano stilistico e linguistico. In seguito alla "risciacquatura in Arno" ci troviamo di fronte ad un linguaggio vivo e antiletterario, potenzialmente nazionale poiché comprensibile alla maggior parte degli italiani alfabeti.

Il romanzo si basa su una narrazione stratificata: Renzo racconta, l'anonimo rielabora e commenta i fatti sulla base del resoconto di Renzo, Manzoni trova il manoscritto del '600 e sostituisce ai commenti dell'anonimo i propri. Quella del narratore è una presenza costante (ànarratore onnisciente), portatrice di un fermo punto di vista; egli interviene, commenta, giudica, formula giudizi indicando i falsi della coscienza a volte anche in modo ironico (vd. Don Abbondio).

Nello scrivere un romanzo, l'autore non ha modelli nella letteratura italiana del '700, né primo ottocentesca; è per questo che si riferì alla tradizione europea ed in particolare a Scott e i suoi romanzi storici - medioevali. In tal senso possiamo dire che Manzoni non solo inventò una lingua italiana moderna, ma inventò il romanzo italiano ottocentesco.

Nell'opera possiamo trovare diversi MODELLI NARRATIVI: l'exemplum(ricordato nelle parole dell'anonimo nell'introduzione come conflitto tra bene e male), la fiaba (il matrimonio contrastato, il rapimento, l'allontanamento dal paese natale...), il romanzo di formazione (la vicenda di Renzo)il romanzo storico e avventuroso. A questo proposito l'autore ha un atteggiamento più rigoroso dell'analisi storica di quanto non abbia avuto Scott; per Manzoni, infatti, la parte inventiva costituisce lo strumento per spingere l'indagine storica là dove i documenti non consentono di arrivare, senza però arrivare al romanzesco. Ogni evento trova senso solo proiettandosi nel contesto storico in cui è ambientato: il sopruso del signorotto, la carestia, i tumulti di Milano...

Nell'opera Manzoni compie una critica molto forte nei confronti dei potenti, la cui incapacità di un comportamento coerente è perennemente sottolineata.

Odi

Marzo 1821 T147

L'ode fu composta nel 1821, quando sembrava imminente un'iniziativa piemontese contro l'Austria; il poeta si fa portavoce dell'entusiasmo dei piemontesi che, speranzosi di un aiuto (negato) di Carlo Alberto, vuole liberare la propria patria dagli Austriaci.

In questa poesia M. riesce ad unire perfettamente l'ideale patriottico - risorgimentale a quello religioso costruendo intorno alla storia un Dio "padre di tutte le genti" che, come non ha negato la libertà al popolo invasore, non la negherà al popolo invaso.

L'entusiasmo patriottico del poeta nell'ode dà forma al concetto moderno di nazione (vv. 31-32 "una d'arme , di lingua, d'altare, di memorie, di sangue e di cor") e svolge il tema del riscatto nazionale sia sul piano politico che su quello religioso:

· il nazionalismo assume un significato universale, ispirato alla fratellanza tra i popoli;

· la liberazione della patria assume un significato religioso, poiché Dio è giusto e condanna "l'iniqua ragione" della spada e dell'oppressione.

 

Il cinque Maggio T148

L'ode, composta nel 1821, è caratterizzata dalla presenza di componenti diverse: la rievocazione storica; la meditazione; la celebrazione della fede.

La notizia della morte di Napoleone ha riempito il mondo di sgomento; il poeta, non avendo lodato né criticato l'imperatore quando era ancora in vita, ora può cantarne le gesta, senza timore di servilismi. Il Manzoni, parlando delle imprese napoleoniche, si chiede se la sua "fu vera gloria", ma un giudizio equilibrato lo potranno dare solo le generazioni future. Ad ogni modo l'autore darà una risposta a tale interrogativo nella stessa ode ai vv. 95-96 "Dov'è silenzio e tenebre/La gloria che passò". Ciò che, quindi, al poeta interessa è il rapporto tra la gloria umana e quella di Dio, dove la prima è poca cosa rispetto alla seconda e può essere determinata da cause che non seguono il progetto di Dio (concezione totalmente diversa da quella del Foscolo nei Sepolcri, ove la gloria è un valore cui l'uomo tende e solo chi si distingue per l'impegno civile e politicone è degno).

Quel che è certo è che Napoleone, nel disegno provvidenziale ha giocato un ruolo fuori dall'ordinario. Egli è passato sotto ogni possibile esperienza, nel bene e nel male; comunque lo si giudichi rappresenta lo spartiacque tra due secoli, tra il vecchio e il nuovo.

L'ode si articola in tre momenti:

1. la celebrazione del personaggio;

2. il ricordo delle sue vittorie e delle sue sconfitte;

3. la rievocazione degli ultimi momenti del dramma interiore di Napoleone sul quale scende il benefico intervento divino che realizza il trionfo della fede e l'ultima consolazione.

 

Il contrasto tra passato e presente, tra la vita piena di un tempo e la forzata inerzia nell'esilio, conflitto aggravato dall'assillante presenza dei ricordi, conduce Napoleone sulla soglia della disperazione, ma in suo soccorso viene la fede, l'unica che gli potrà offrire una consolazione. Esempio della fede che trionfa sulla grandezza umana, abbandonato da tutti, Napoleone muore al cospetto di Dio.

La vicenda di Napoleone diventa motivo per una riflessione che, alla luce della visione etico - religiosa del Manzoni, si muove su due piani:

· il piano della storia che, nella vicenda di Napoleone vede l'imperscrutabilità del volere divino;

· il piano della vicenda umana di Napoleone, visto nel momento della sua rovina, è accostato agli oppressi nella "Provvida sventura" e viene reso degno dell'unica consolazione offerta dalla fede.

 

Adelchi

Soffri e sii grande T151

Adelchi atto terzo_ Il poeta presenta un Adelchi combattuto tra una profonda coscienza cristiana e la necessità storica in cui vive. Il dialogo è una scusa per sfogarsi dell'angoscia che il protagonista sente dentro. La conflittualità del personaggio è data dalle sue aspirazioni e la necessità di agire in opposizione ad esse. In conclusione di ciò il lamento sull'impossibilità di fare del bene durante la vita terrena, quindi l'accettazione passiva di ciò che il destino ha imposto (questo tema verrà superato da Fra Cristoforo che, nonostante le difficoltà sceglierà lo scontro e la lotta pur di mantenere i propri ideali morali). La critica del russo tende a dare ad Adelchi non solo la voce di un uomo, ma di un'età.

Dopo gli sconvolgimenti politici e sociali dell'epoca, Manzoni è confuso e disorientato e cerca nella fede un appoggio per la costruzione di un nuovo mondo.

Anche per questo Adelchi è considerato l'eroe romantico per eccellenza.

 

Primo coro dell'Adelchi T152 Il coro viene introdotto per la prima volta da Manzoni e costituisce una pausa riflessiva sul momento appena trascorso. È una sorta di narratore onnisciente del romanzo ottocentesco; un punto di vista esterno. Nell'Adelchi se ne trovano due: il primo, storico, dopo l'atto terzo; il secondo, etico, dopo la prima scena dell'atto quarto (la morte di Ermengarda). Dopo la vittoria dei franchi, il poeta dedica dei versi a tre popoli: i franchi vincitori, i longobardi vinti e i popoli italiani liberati. Lo spazio maggiore è dedicato ai franchi: secondo Croce perché voleva lodare i vincitori, ma secondo Russo per mettere in luce il prezzo pagato per la vittoria. Non vengono descritte scene di guerra, bensì la nostalgia di un popolo che si assenta da casa per andare a combattere. Si conclude con una riflessione riferita ai popoli liberati: lo straniero non sarà mai un liberatore, ma un altro padrone. La morte di Ermengarda. Secondo coro T153 Coro di carattere etico che descrive l'oblio e la morte di Ermengarda. Anch'essa come suo fratello Adelchi è tra i personaggi della tragedia che ricercano la mortalità e che dopo una vita di dolore ritrovano la felicità nella morte. Nel coro si alternano momenti riflessivi e momenti descrittivi uniti tra loro da una fase esortativa. Ermengarda, dopo aver saputo dalla sorella Ansberga del nuovo matrimonio di Carlo, cade in delirio e trova nella morte la liberazione di tutti i suoi mali e la conquista della pace tanto agognata. Il coro, che come il primo ha la funzione di dare voce all'autore, incita la ragazza a trovare la pace tra le braccia della provvidenza. Nell'ultima strofa l'autore, come simbolo della pace e della salvezza eterna raggiunta ora da Ermengarda, presenta l'inizio di un nuovo e più sereno giorno.