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 UGO FOSCOLO : IL POETA

 

Tra le illusioni che il poeta ritiene necessarie per opporsi al cieco meccanicismo della materia, la più importante è la poesia, la sola che riesce a sottrarre l’uomo a quel destino di morte a cui sono destinate tutte le cose.

 

JACOPO ORTIS: le ultimissime lettere di Jacopo Ortis sono un’opera di ispirazione preromantica, in quanto forti sono i contrasti fra ragione e sentimento, fra reale e ideale. Non hanno invece veste neoclassica. Il Foscolo non è riuscito a conciliare quei contrasti ancora insanabili, fra la concezione materialistica della realtà, che gli faceva vedere l’universo come un ciclo perenne di vita e di morte, in cui tutte le cose compreso l’uomo, fluiscono nel nulla eterno, e il sentimento che gli promette una vita densa di valori. Vi è dunque nel Ortis una eccessiva descrizione delle passioni che non consente un equilibrio all’interno dell’uomo.

ODI : la Bellezza per il Foscolo è un mito che solamente la poesia è in grado di contemplare e di conservare.

I SONETTI : i Sonetti ricordano l’Ortis a causa del persistente contrasto fra ragione e sentimento, la ragione che ricorda al Foscolo che tutto è vano e il sentimento che gli suggerisce, che la vita merita di essere vissuta.

ESTETICA POETICA DEL FOSCOLO: (ottimismo della volontà in contrasto con il pessimismo dell’intelligenza. Parte da premesse sensistiche e materialistiche, dove solo il sentimento può superare nell’uomo l’aridità).

Anche nella poesia i giudizi intorno al Monti furono negativi a causa della sua estetica, del suo modo di verseggiare sempre esteriore e barocco. Leopardi lo definì "Poeta della fantasia e dell’immaginazione, ma mai del cuore". Morì nel 1828, l’anno dopo la morte di Ugo Foscolo.

Che cosa oppone il Foscolo alle drammatiche conclusioni a cui lo condurranno le tesi del materialismo meccanicistico? Egli contrappone il sentimento, vero creatore di valori umani, come la Bellezza, la Patria, la Libertà, il Sepolcro, la Poesia, tutti valori per i quali valeva la pena vivere la vita.

UGO FOSCOLO : LA VITA

 

Nicolò Foscolo, che in seguito mutò il nome in Ugo, nacque a Zante o Zacinto, un’isoletta greca nel Mar Ionio, facente parti dei domini Adriatico-Ionici della Serenissima nel 1778, da madre greca Diamantina Spathis, e da Andrea, medico veneziano e morì a Turnham Green, un sobborgo di Londra nel 1827.

In lui trovano composizione tre culture: quelle illuministiche, quella preromantica, quella neoclassica. Fu illuminista per le concezioni filosofiche che egli manifestò intorno alla realtà e alla vita; fu preromantico per i conflitti che lui visse fra sentimento e ragione; fu neoclassico per le concezioni che egli ebbe intorno alla poesia e all’arte. Abbandonate la fede cristiana, il Foscolo aderì alla tesi del materialismo meccanicistico, che gli facevano vedere l’universo come un ciclo perenne di vita e di morte in cui tutte le cose, compreso l’uomo, sono destinate a fluire nel nulla eterno. Tale sconfortante concezione non paralizzò mai la mente del Foscolo, fu anzi un elemento operoso, attivo, e di ricerca verso un’affermazione positiva della vita. Pertanto, alla ragione che vanificava ogni cosa egli oppose il sentimento, vero creatore, sulla Terra di ideali e di valori. Sono quei valori e quegli ideali che la ragione con le sue inoppugnabili argomentazioni, e verità, chiama illusioni, illusioni che però aiutano l’uomo a vivere. Eppure, nonostante il poeta sia riuscito a contrapporre queste illusioni alla ragione, presto si accorge che esse non sono eterne, sono invece caduche, effimere, soggette al fluire continuo di tempo che, passando, trasforma ogni cosa. Quale strumento hanno allora gli uomini per evitare che anche la loro vita e anche le loro illusioni finiscano come tutte le altre cose nel nulla eterno? A partire dal verso 250 dei Sepolcri Foscolo introduce il mito di "Elettra" o meglio il mito della tomba di Elettra. Questa mitologica progenitrice della stirpe Troiana, poco prima di morire, venne a sapere dall’oracolo che la sua tomba sarebbe durata 900 anni, e dopo tale tempo si sarebbe ridotta in polvere. Preoccupata, invia una preghiera a Giove, affinché la sua tomba possa rimanere eterna, ma Giove, che pure il sommo tra tutti gli altri Dei, non può fare nulla, non può neanche egli opporsi al destino. Può solamente lenire la pena di Elettra, che un tempo fu sua sposa, mandando sulla sua tomba il poeta Omero. Questi sarà in grado con il suo canto di eternare la tomba di Elettra, sottraendola così al trascorrere del tempo. La poesia, risponde Foscolo è lo strumento col quale l’uomo può opporsi al tragico destino del nulla eterno, verso cui si incamminano tutte le cose che esistono.

PRELUDIO ( pagina 22) :

Attraverso queste prime lettere, Jacopo Ortis ( ritratto giovanile del Foscolo), alludendo al trattato di Campoformio del 1797, con il quale Napoleone cedeva la sua Venezia all’Austria, informa l’amico giovanile Alderani il ritorno alla sua profonda delusione. Questa sciagurata delusione del Buonaparte, a Jacopo Ortis, apprendiamo dalle lettere, non rimane che la via dell’esilio, dal momento che dovrebbe condurre i suoi giorni sotto il dominio austriaco. Egli accetta dunque l’esilio, la cui condizione comporta una profonda nostalgia nei confronti della sua Patria perduta, del passato e del futuro, poiché teme di non avere domani una tomba, sulla quale potrà pregare sua madre per ricordarla dopo la sua morte. Una lettera questa che anticipa i temi della futura produzione poetica foscoliana: l’esilio, la Patria, il Sepolcro.

TERESA (pagina 22):

E’ la dama amata da Jacopo Ortis. Ella però non può corrispondere perché il padre la promessa sposa al ricco Edoardo. Attraverso questa lettera, il Foscolo trova l’estro per introdurre il discorso sul tema della Bellezza, visto che, accanto alla Patria, all’amore, all’esilio, costituisce un balsamo ristoratore davanti a tutti i guai della vita. Da notare poi che la Bellezza, ristoro unico ai mali della vita, è il mito per eccellenza del Neoclassicismo.

L’AMORE (pagina 26) :

Jacopo Ortis descrive all’amico Alderani la gioia che gli procura il sentimento dell’amore. Egli vede nell’amore, oltre che il principio generatore della natura alla maniera del poeta C. Lucrezio, anche quel sentimento che ha fatto passare anticamente l’uomo dallo stato felino allo stato civile. Si deve ricordare che in questo caso Foscolo si rende conto della lezione di Gian Battista Vico. Dopo aver dunque parlato dell’amore all’amico, Jacopo Ortis ricorda che questo sentimento è ritenuto illusione da parte della ragione. Ciò nonostante, egli riconosce che senza questa illusione, l’uomo non potrebbe continuare a vivere sulla Terra.

 

 

 

 

 

 

 

A ZACINTO : Presentazione (pag.39)

 

Il poeta amò spesso ricordare l’isola natale, "La sua chiara e selvosa" Zacinto, ancora richieggiante dei versi con cui Omero e Teocrito la celebrarono. Tale ricordo riveste un importanza esemplare in questo sonetto, contemporaneo all’ode "ALL’AMICA RISONANTE" e di poco posteriore a quello " in morte del fratello Giovanni" e come esso impregnato di una certezza di un destino di perpetuo esilio. E dal rimpianto e dal ricordo per l’isola natale abbandonata e per giunta per sempre, s’innalza altissima la Poesia, l’idealizzazione della mitica sede dell’armonia e della Bellezza, un unico ristoro ai mali e ai guai della vita.

 

TRADUZIONE LETTERALE E COMMENTO :

 

( Già all’inizio di questo sonetto, il poeta è certo che la sua vita sarà destinata a un perpetuo esilio. Inizia il primo verso attraverso una congiunzione negativa "Ne" a testimonianza che questa composizione non è nata dal getto, ma al contrario è il risultato di una meditazione precedente).

 

Io non approderò mai più presso le sacre rive, dove il mio corpo, un tempo fanciullo, dimorò, o Zacinto mia, che ti rifletti nelle onde del Mar Ionio, dalle cui schiume nacque Venere, e rese fertile quell’isola col suo primo sorriso, per cui la famosa poesia di Omero che celebrò quelle acque fatali ed il continuo peregrinare, grazie al quale Ulisse, ormai carico di gloria e di sventure poté baciare la sua rocciosa Itaca, e non smise di cantare la limpidezza del tuo clima e la bellezza della tua vegetazione. Tu, o mia terra materna, non riceverai altro da tuo figlio, se non il canto, a me, il destino ha prescritto una sepoltura senza il conforto delle lacrime.

 

NOTE.

 

  1. "Sacre sponde": il poeta scrive delle sacre sponde perché gli abitanti della sua isola natale erano dediti al culto della dea Diana;
  2. "Nacque/Venere" : dietro l’ispirazione del poeta latino Lucrezio, Foscolo definisce Venere generatrice della natura e degli animali;
  3. "Onde non tacque…Ulisse" : nella parte centrale del sonetto, Foscolo, richiamandosi a Omero che, nella sua poesia, non si era sottratto al fascino del paesaggio di Zacinto, fa una similitudine fra la sua condizione di esule con quella di Ulisse. Egli dimostra, in questi versi una malcelata anche se contenuta invidia nei confronti dell’eroe greco: mentre a quest’ultimo è toccato in sorte di riabbracciare la sua Patria, dopo tante peregrinazioni, a lui il destino ha riservato una ben più cruda realtà, non permettendogli mai di ritornare nella sua città natale;
  4. "Tu non altro…sepoltura" : nell’ultima terzina del sonetto, il poeta può finalmente ricomporre l’equilibrio, l’armonia fra se stesso e il mondo, che il destino gli ha negato innalzando il canto poetico a Zacinto. Solo la poesia, è per il poeta, in grado di idealizzare ed esaltare la realtà fonte di sofferenza. E allora, mentre Ulisse ha potuto riabbracciare i suoi cari a Itaca, il poeta può soddisfare questa esigenza di affetto solo attraverso la poesia: "Tu non altro che il canto avrai …" .

A Zacinto

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

ALLA SERA

 

PRESENTAZIONE:

 

Composto nel 1802, questo sonetto fu collocato dal Foscolo stesso al primo posto di una raccolta delle Odi e dei sonetti stampate a Milano nel 1803, in quanto ritenuto il più significativo fra tutti e in certo senso riassuntivo del travaglio spirituale della prima parte della produzione Foscoliana. Dopo tanta dolorosa certezza della fatalità della sua condizione di esule, dell’irrimediabilità dei mali d’Italia, della vanità di ogni suo travaglio, ecco l’invocazione alla morte, qui trasferita però su di un piano di languida malinconia, quasi un placarsi del dolore dell’individuo nell’assopimento del mondo intero, nel nulla eterno.

 

TRADUZIONE LETTERALE E COMMENTO :

 

Forse, perché sei l’immagine della morte, a me sei molto gradita, o Sera!. Sia quando d’estate ti accompagnano liete le nuvole e i venticelli che portano il sereno, sia quando d’inverno dall’aria tempestosa trascini all’orizzonte notti agitate e lunghe, sempre scendi desiderata, e trattieni, con dolcezza le intime preoccupazioni del mio cuore. Tu mi fai vagare in compagnia dei miei pensieri che conducono al nulla eterno, e intanto si allontana questo tempo colpevole, e se ne vanno assieme a lui le schiere delle preoccupazioni per cui egli stesso si distrugge assieme a me e mentre io o Sera contemplo la tua pace, si placa quello spirito battagliero che ruppe dentro di me.

 

NOTE :

Il sonetto, che presenta il seguente schema metrico ABAB, ABAB, CDC, DCD, si apre con un apostrofe alla Sera, qui personificata, data l’importanza che il poeta le attribuisce. A Foscolo, la Sera dal momento che gli evoca l’immagine della morte, è gradita sia d’inverno sia d’estate; essa scende sempre desiderata, dal momento che placa tutte le ansie accumulate durante la giornata e poi perché induce l’anima alla riflessione, alla meditazione intorno alla vita, al tempo che trascorre e che conduce tutte le cose al nulla eterno, alla morte. Negli ultimi due versi, infine, il poeta, attribuendo alla Sera le qualità serenatrici che gli assegnò già alla Poesia, afferma che nella Sera si placa definitivamente quel suo conflitto che costantemente gli ruppe nell’anima. Oltre a tutti i mali descritti nella presentazione di questo sonetto, il contrasto che più angoscia il poeta è rappresentato da quel dissidio interiore fra la ragione e il sentimento. La ragione che dice che tutto è vano e il sentimento che aiuta il Foscolo a ribadire che val la pena vivere.

Da notare che l’ultimo verso del sonetto: < Quello spirto guerrier che entro mi rupe…>, è uno dei versi più aggressivi e più rumorosi che il Foscolo abbia composto, a causa delle numerose "ERRE" che lo fanno sentire come un ruggito. In quanto tale si contrappone nettamente alla dolcezza del primo verso: < Forse perché dalla fatal quiete…>. C’è infine da sottolineare che la Sera ì, più che la morte, rappresenta la poesia, l’idealizzazione dell’eterna mitica sede dell’armonia e della bellezza.

Alla sera

Forse perché della fatal quiete
tu sei l'immago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.




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