IL DOLCE STIL NOVO
La terza e più
importante scuola poetica del Duecento fu il “dolce stil novo”, nata a Bologna
fra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. L’iniziatore fu Guido
Guinizzelli, seguito da un gruppo fiorentino, come Guido Cavalcanti, Dante
Alighieri, Lapo Gianni, Gianni Alfani, Dino Frescobaldi, Cino da Pistoia, ma il
rappresentante più insigne fu Dante Alighieri.
Il nome della “scuola”
deriva da un passo del Purgatorio di Dante Alighieri. Nel XXIV canto del
Purgatorio Dante incontra Bonagiunta Orbicciani, il quale gli chiede la
differenza fra i siculo-toscani e gli stilnovisti. Dante risponde che loro
scrivono seguendo la diretta ispirazione d’Amore, e dopo di che Bonagiunta dice
di aver capito la differenza fra i toscani e “questo vostro dolce stil novo”:
di qui il nome alla “scuola”.
Con questa risposta
Dante non vuol dire che loro sono più sentimentali dei siculo-toscani, ma che
sono capaci di descrivere i cambiamenti psicologici che l’Amore produce nella
persona che ama e che esprimono tali sentimenti in forma dolce, atta cioè alla dolcezza
del sentimento amoroso.
Dalle scuole precedenti
gli stilnovisti prendono alcune tematiche già note:
1) l’esaltazione di
Amore come suprema forma di aristocrazia spirituale;
2) l’affermazione che la
vera nobiltà non deriva dal diritto di nascita, ma che essa risiede nell’animo;
3) la rappresentazione
della donna come figura angelica.
Originale è invece il
loro definirsi come un pubblico nuovo
di produttori ed utenti della poesia, come libero gruppo di “cori gentili”,
capaci di vivere e intendere la nobilitante esperienza d’amore. Essi fondano la
loro superiorità sulla cultura, che è conquista individuale, e formano un
gruppo di intellettuali che non coincide più con una corte, ma vive nella
civiltà cittadina. Di conseguenza la loro dottrina d’amore non è espressa
secondo i canoni del galateo cortese, ma s’ispira alla filosofia insegnata
nelle Università, specialmente in quella di Bologna.
Gli stilnovisti
intendono definire l’origine e la natura d’amore e riconducono alla vita della
coscienza tutte le esperienze amorose, come la gioia, il tormento, la
contemplazione, la passione.
In questa ricerca, che
coinvolge tutta la coscienza, si avverte l’influsso della filosofia del tempo,
specialmente quella di S. Bonaventura, che fu definita la “metafisica della
luce”. Secondo questa dottrina la luce, manifestazione dell’Essere Supremo,
viene riflessa dalle Intelligenze angeliche motrici dei cieli e dalle creature
umane più elevate, che diventano un incentivo per una conoscenza più piena di
Dio.
Allo stesso modo la
bellezza della donna è simbolo della bellezza di Dio, cui l’anima aspira, e
amore è questa ispirazione. Però la donna è pur sempre ispiratrice di passioni,
per cui la gioia della contemplazione è sempre insidiata dalla sorda resistenza
della passione, donde il rapporto fra amore terreno e amore celeste e la
giustificazione del primo sul piano morale e conoscitivo. Questa è la tematica
dello stilnovismo, anche se i vari autori esprimono questa ascesa in modo
diverso.
Si capisce quindi come
ognuno dei poeti segua una propria strada per arrivare a Dio tramite la contemplazione
della bellezza della donna, e ciò fa di questi poeti non una “scuola”, dove le
rappresentazioni sono corali, ma ognuno rivela una propria identità. La
dimensione unitaria della “scuola” si rivela invece nello stile, che si
manifesta nel gusto comune di drammatizzare la propria vicenda interiore, di
rappresentare la realtà esterna in modo attutito, di rappresentare la donna
come un balenare di luce, di ascoltare la propria coscienza, ecc.
A differenza di quanto
avveniva nei canzonieri siciliani, si trovano nei testi stilnovisti nomi di
donne amate, come ad attestare un impegno autobiografico; così abbiamo la
Beatrice di Dante, la Selvaggia di Cino, la Giovanna di Cavalcanti. Ognuno dei
poeti cerca di rappresentare la propria vicenda amorosa come un qualcosa di
esemplare, ma le varie vicende non sono raccontate seguendo una trama narrativa
e le donne cantate non acquistano consistenza figurativa o drammatica, perché
donne e vicende non sono che metafore della scoperta della propria anima.
Gli argomenti sono espressi in maniera filosofica e scientifica e ciò fa
del dolce stil novo un’esperienza fortemente selettiva nei confronti del
pubblico, per cui anche se questo movimento attesta che alla fine del Duecento
si era affermata in Italia un’alta cultura laica, non rappresenta la realtà
dell’epoca. Tuttavia notevole è il suo significato storico. La rifondazione del
mito dell’amore, ricondotto alle vicenda globale della coscienza, delinea la
scoperta di una dignità autonoma dei sentimenti umani. Questi motivi, depurati
da certe astrattezze, e l’esempio di un elevato magistero stilistico,
passeranno nella lirica del Petrarca e di lì in quella posteriore.