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Giacomo Leopardi.

 

Nato a Recanati, borgo isolato nello stato pontificio, nel 1798, figlio del conte Montaldo, uomo di idee reazionarie e di cultura accademica.

Sin da giovane fece dei libri i suoi interlocutori preferiti e, a dieci anni, compì sette anni di studio matto e disperatissimo che contribuirono a creare una formidabile cultura, ma che gli compromisero la salute.

Nel 1819 maturò quello che più tardi sarebbe stato il passaggio dall'erudizione al bello e viene considerando i classici come autentici modelli di poesia (MATURAZIONE DELLA CONCEZIONE DEL PESSIMISMO STORICO).

L'impossibilità di confrontarsi con realtà diverse da quella del piccolo borgo, un desiderio di gloria e socializzazione gli resero più aspro l'isolamento a Recanati. Tra il 1818 e il 1822 il Leopardi compose una serie di poesie di stampo classicista, di impegno civile e riflessione esistenziale che confluirono nei Canti (Ultimo canto di Saffo) e nella serie degli Idilli (Infinito, Alla luna).

Il bisogno sempre più vivo di evadere da quel mondo chiuso, portarono Leopardi a idealizzare il mondo che non aveva ancora conosciuto tanto che tentò nel 1819 una fuga che venne sventata ("non vedo più divario tra morte e questa mia vita").Il fallimento di questo tentativo produce in lui una profonda disperazione che assume la forma della consapevolezza della vanità delle cose. Questa nuova disposizione d'animo si concretò nelle riflessioni dello Zibaldone, sorta di diario intellettuale i psicologico in cui il poeta registra i suoi pensieri, le sue osservazioni, e in quella teoria del piacere che avrebbe poi rielaborato ed approfondito. Se all'inizio aderì e sostenne le posizioni dei classicisti, la crisi del 1819 lo portò alla convinzione che ai moderni non fosse più concessa una poesia d'immaginazione come quella degli antichi, bensì solamente una poesia sentimentale (Canzone ad Angelo Mai), in tal modo Leopardi si avvicinava ai romantici, con i quali non condivise mai alcuni aspetti (popolarità della poesia) e l'anelito religioso e lo spiritualismo.

Dopo un soggiorno a Roma nel 1822, di ritorno a Recanati nel 1823, sentì inaridirsi la vena poetica e compose il nucleo più consistente delle Operette morali che segnano anche il momento in cui la natura appare la principale causa dell'infelicità umana.

Negli anni seguenti intensificò gli sforzi per abbandonare Recanati trasferendosi a Milano, Bologna e Firenze. In questo periodo si apre una nuova stagione di poesia con il secondo ciclo dei Canti. In seguito ad una malattia fu costretto a tornare a Recanati, una grande sconfitta per lui. Qui scrive Il canto notturno, Il sabato del villaggio ...

Sempre più proiettato verso una morte liberatrice, si allontana per l'ultima volta da Recanati. In seguito alla delusione d'amore per Fanny Tozzetti scrive il Ciclo di Aspasia, che segna anche un mutamento di poetica. Nel 1833 si trasferisce a Napoli, dove, nel 1837, muore.

 

Rispetto al passato, con Leopardi, l'io che si manifesta nel testo rimanda più direttamente all'io del poeta alle sue problematiche esistenziali, all'essenza dell'uomo Leopardi. Ad ogni modo, seppur radicata nella concreta esperienza biografica, la poesia conquista una sua autonomia espressiva, ossia si crea una minore distanza con la persona concreta del poeta.

Specialmente in seguito alla crisi del '19, Leopardi giunse ad una particolare concezione del mondo definita PESSIMISMO STORICO. Il punto di partenza è la constatazione della propria angoscia individuale, la convinzione di essere destinato per sempre all'infelicità, condizione propria dell'uomo moderno come prodotto del divenire storico e del progresso. E' l'uomo che, allontanandosi dalla NATURA, vista in questa fase come MADRE benevola che condurrebbe l'uomo alla felicità, ha causato, o quantomeno accentuato, la sua infelicità (à ANTINOMIA NATURA/RAGIONE).Ci troviamo quindi di fronte allo sdegno e all'insofferenza per la mediocrità del suo tempo. Pur giudicando negativo l'intero processo storico, gli appaiono meno infelici le epoche in cui si ha una mezza filosofia (Roma antica) che non fa scomparire del tutto i valori e le credenze sentimentali.

Talvolta, però, confrontandosi con l'angoscia degli antichi, quando la ragione è insufficiente a spiegare l'umana infelicità, il poeta chiama in causa forze più oscure come il fato, gli dei...(T130).[àconfronto con gli antichiàepoche meno infeliciàsi poteva immaginare liberamente ed erano, inoltre più vicini alla natura. D'altra parte non diede, neanche in questa sua prima mvisone, agli antichi una vera felicità, ritenendo che essi potessero per ingenuità ed ignoranza credere alle illusioni con cui la natura maschera la realtà].

Nel 1820 Leopardi elabora nello Zibaldone la sua TEORIA DEL PIACERE che, tra l'altro fornisce elementi per spiegare l'infelicità umana. L'uomo sperimenta in sé un desiderio infinito di piacere, irrealizzabile per definizione; quando prova piacere, si tratta di qualcosa di temporaneo, prodotto della momentanea cessazione del dolore. La natura interviene per celare, in modo benevolo, la contraddittorietà dell'uomo.

A queste riflessioni si accompagna la POETICA DELL'INDEFINITO E DEL VAGO il cui cardine fondamentale e la ricerca di riprodurre con il linguaggio la sensazione di indefinito e di vaga immaginazione propria della fanciullezza. La funzione che ha la MEMORIA in questa poetica è fondamentale dal momento che consente di rendere più vaga anche l'esperienza del dolore (T132); ciò che è vago ed intravisto confonde i contorni delle cose esercitando sull'uomo l'immaginazione.

La produzione poetica di questo periodo si orienta in due direzioni: una poesia d'ispirazione classicista (Canzone ad Angelo Mai) ed una di riflessione esistenziale (Ultimo canto di Saffo). Il capolavoro di questa stagione poetica è L'infinito, esperienza puramente sentimentale ed immaginativa delle profondità dell'animo umano.

Il Leopardi a partire dal soggiorno romano 1822-1823 abbandona la forma poetica e dichiara di sentirsi mancare l'ispirazione, ma intensifica la propria riflessione filosofica, sulla natura e sul destino dell'uomo, la sua riflessione del mondo giunge mediante questa riflessione ad una svolta importante; la riflessione leopardiana, non risolvendosi in un sistema organicamente esposto ed essendo oggettivamente complesso, è difficile da ridurre ad una teoria unitaria e lineare.

Se in seguito alla crisi del 1819 il L. aveva messo a punto una concezione antinomica di natura e ragione, nel corso degli anni successivi progressivamente egli la mette in discussione per approdare a quello che è stato definito con una fortunata formula il suo PESSIMISMO COSMICO e che costituisce l'assetto all'incirca definitivo del suo pensiero: se ne hanno tracce in numerosi pensieri dello Zibaldone, una più organica definizione in alcune Operette morali e soprattutto nel Dialogo della Natura e di un Islandese; in sostanza da una concezione positiva della natura egli passa a una concezione radicalmente negativa di essa, non esiste uno stato felice di natura da cui l'uomo si sarebbe allontanato

 

Operette Morali

Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo T122

Questo dialogo affronta il tema del "mondo senza gente": un incidente ha fatto si che l'uomo si fosse auto distrutto e cancellato dalla Terra (àcritica all'antropocentrismo).

In questo brano Leopardi individua nell'uso contro natura della ragione la rovina degli uomini (à p. storico): seguire le leggi della natura avrebbe se non altro portato ad una sopravvivenza più lunga.

Nella battuta conclusiva del Folletto si può trovare un'anticipazione del tema dell'INDIFFERENZA DELLA NATURA (vd. T124).

 

Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare T123

L'operetta consente di mettere meglio a fuoco la teoria leopardiana del piacere . Il dato di partenza è che l'immaginazione migliora la realtà, ma questo è solo l'antefatto del dialogo che si articola su tre domande dl genio: "Cos'è il vero?", "Cos'è il piacere?" e "Cos'è la noia?". 1. il sogno può essere equiparato alla realtà, anzi, è meglio perché può arrecare piacere. Il Tasso, e Leopardi con lui, accettato il principio che il piacere è il fine della vita umana, non si rassegna ad una vita che è solo sogno, che potrà essere anche un abbellimento del reale, ma non può essere posto come fine dell'esistenza umana.

2. concentrandosi ora sulla teoria del piacere, l'autore asserisce che esso è il fine della vita umana ma che è negato all'uomo. E' una tensione inappagabile, un obbiettivo posto sempre al futuro, qualcosa che necessariamente gli è negato per natura. Ne deriva quindi un'irrimediabile imperfezione della vita umana.

3. non il dolore né il piacere sono la condizione abituale dell'uomo, bensì la noia, "il desiderio puro della felicità". La maggior parte della vita è trascorsa tra noia e dolore; l'unico modo per assuefarsi alla noia e all'infelicità è la solitudine e l'isolamento. Solo la prospettiva della morte è la reale soluzione dell'infelicità costitutiva della natura umana.

 

L'ultimo canto di Saffo T130

La canzone, composta nel 1822 (p. storico), e quindi successiva all'Infinito e Alla luna, è dedicata alla poetessa greca morta suicida e rappresenta "l'infelicità di un animo delicato posto in un corpo brutto e giovane".

La struttura del componimento delinea un itinerario che va dall'attrazione nei confronti della natura alla scoperta della propria esclusione da essa, alla volontà dell'auto annientamento. Stanza I: un tempo Saffo era attratta dalla contemplazione della natura in quiete, ora solo i paesaggi sconvolti le procurano gioia. Tra i due tempi si collocano gli erinni (la passione amorosa) e il fato.

Stanza II: Saffo è esclusa dalla comunione con la natura che le ha negato la bellezza; invano la poetessa guarda alla natura che le si mostra bella ma superba.

Stanza III: Saffo s'interroga sui motivi della sua esclusione ipotizzando una propria colpa prenatale o infantile che le avrebbe attirato l'ira degli dei; può solo concludere che tutto è arcano all'infuori del nostro dolore.

Stanza IV: solo la morte, il suicidio le daranno modo di correggere l'errore del destino. Viva felice Faone, giovano vanamente amato, se un essere mortale può vivere felice. La canzone si chiude con la visione di un tenebroso paesaggio d'oltretomba.

Il suicidio esprime l'ultima protesta ribelle di un animo grande, che non si rassegna a vivere vilmente in un mondo che ha rinnegato glia antichi valori ( à tema ROMANTICO).

La canzone ha una struttura metrica libera e sono presenti gli enjambements.

 

L'infinito T132

Fa parte dei piccoli Idilli (p. storico) componimenti di carattere più intimo in cui è sempre posta in primo piano la figura del poeta, testimone e confidente delle sue meditazioni; essi si oppongono alle canzoni, di carattere più eloquente. Con l'idillio Leopardi inaugura la sua poesia più originale e moderna: la sua attenzione si sposta dal mondo della storia al mondo interiore, approdando alla "poesia sentimentale"; essi rappresentano, quindi il momento più alto della poesia romantica del poeta.

L'ostacolo occasionale di una siepe chiude lo sguardo al mondo e porta il pensiero ad immergersi nell'infinità e nella quiete dello spazio; lo stormire delle fronde conduce il pensiero a comparare l'infinito silenzio allo scorrere del tempo e in questa infinità il pensiero si annienta dolcemente.

E' un chiaro esempio della poetica dell'indefinito e del vago che si ricollega al tema della rimembranza (le sensazioni sono più indefinite quando sono più vaghe). Il desiderio dell'infinito (N.B. infinito dell'immaginazione, non metafisico - religioso) espresso nell'idillio è negato all'individuo ed è causa della sua sofferenza; l'anima immagina quello che non vede, erra in uno spazio immaginario figurandosi cose che non potrebbe.

 

Primo coro dell'Adelchi T152

Il coro viene introdotto per la prima volta da Manzoni e costituisce una pausa riflessiva sul momento appena trascorso. È una sorta di narratore onnisciente del romanzo ottocentesco; un punto di vista esterno. Nell'Adelchi se ne trovano due: il primo, storico, dopo l'atto terzo; il secondo, etico, dopo la prima scena dell'atto quarto (la morte di Ermengarda).

Dopo la vittoria dei franchi, il poeta dedica dei versi a tre popoli: i franchi vincitori, i longobardi vinti e i popoli italiani liberati. Lo spazio maggiore è dedicato ai franchi: secondo Croce perché voleva lodare i vincitori, ma secondo Russo per mettere in luce il prezzo pagato per la vittoria.

Non vengono descritte scene di guerra, bensì la nostalgia di un popolo che si assenta da casa per andare a combattere. Si conclude con una riflessione riferita ai popoli liberati: lo straniero non sarà mai un liberatore, ma un altro padrone.

 

La morte di Ermengarda. Secondo coro T153

Coro di carattere etico che descrive l'oblio e la morte di Ermengarda. Anch'essa come suo fratello Adelchi è tra i personaggi della tragedia che ricercano la mortalità e che dopo una vita di dolore ritrovano la felicità nella morte.

Nel coro si alternano momenti riflessivi e momenti descrittivi uniti tra loro da una fase esortativa.

Ermengarda, dopo aver saputo dalla sorella Ansberga del nuovo matrimonio di Carlo, cade in delirio e trova nella morte la liberazione di tutti i suoi mali e la conquista della pace tanto agognata. Il coro, che come il primo ha la funzione di dare voce all'autore, incita la ragazza a trovare la pace tra le braccia della provvidenza. Nell'ultima strofa l'autore, come simbolo della pace e della salvezza eterna raggiunta ora da Ermengarda, presenta l'inizio di un nuovo e più sereno giorno.