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 IL NEOCLASSICISMO: topos delle rovine in arte e poesia

Già nell’ambito dell’illuminismo era manifesta l’adesione alla classicità , intesa dagli illuministi come chiara , disciplinata e razionale espressione del pensiero. Ad un certo momento, nel solco della tradizione classicistica s’innesta un movimento di riflessione estetica che, specie nell’età Napoleonica, costituirà l’indirizzo dominante della cultura e del gusto, e che s’intreccia ad altri e preesistenti orientamenti classicheggianti: il ”neoclassicismo” , che occupa il periodo compreso tra la seconda  metà del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento e che ha il suo centro d’irradiazione a Roma, attorno agli anni sessanta.

Il neoclassicismo è soprattutto incentrato sulla teorizzazione della  Bellezza Ideale formulata dal Winkelmann ; una bellezza ravvisabile nelle opere dell’arte greca classica, dotata  di “nobile semplicità e quieta grandezza” ; bellezza intesa come sublimazione dell’umano , perfezione scaturente dal dominio delle passioni. Ma come raggiungere la perfezione degli antichi? A questo punto, la teorizzazione del Winkelmann , che si allaccia in vari momenti al neoplatonismo, si salda con il razionalismo settecentesco: indica infatti un ideale di bellezza sostanziale e formale che si ha ”secondo ragione” , perché è la ragione che suggerisce i criteri di unità, perfezionamento ed armonia indispensabile alla creazione del bello in ogni campo e alla individuazione dei modelli cui ispirarsi. Attraverso questa complessa operazione , in cui si individuano ispirazione e razionalità, passione e compostezza, l’artista deve riproporsi di suscitare l’armonia ( “il piacevole intellettuale”) e il sublime, il pathos capace di stimolare la mente, il cuore, di garantire l’unicità dell’opera d’arte di aprire l’animo all’infinito.

Ben presto queste dottrine influenzarono tutte le forme dell’arte , che si impegnano nella ricerca delle proporzioni perfette, del massimo nitore e purezza di linee, privilegiando ad esempio il disegno e la forma sul colore, sia nella pittura che nella scultura e nell’architettura.

Fondamentale per gli sviluppi della cultura romana, e in particolare per quelli della pittura di vedute, fu l’arrivo a Roma nel 1740 del veneziano Giovanni Battista Piranesi (1720-78), architetto ed incisore, personalità tra le più alte del settecento italiano e massimamente espressiva dei rovelli e delle contraddizioni del secolo nel momento  del passaggio dal Tardobarocco  al Neoclassicismo: momento del quale l’opera del Piranesi illustra le complesse motivazioni, le drammatiche incertezze cui soltanto la teoria neoclassica assolutista e autoritaria porrà fine, cancellandole piuttosto che risolvendole.

Le pittoresche rappresentazioni delle rovine di Roma nelle stampe di Gian Battista Piranesi esprimono concetti eclettici (Barocco, Rococò, Neoclassicismo) applicati nell’ambito architettonico.

A dimostrazione di ciò importante è l’analisi di una sua incisione “ Fondamenta del Mausoleo di Adriano”. Questa rappresenta uno scorcio delle rovine di quello che è adesso Castel Sant’Angelo a Roma. Il primo particolare che risalta subito agli occhi è la titanica dimensione dei blocchi di pietra rispetto agli uomini, rappresentati piccolissimi (quelli in alto a destra su di un blocco roccioso in bilico e quelli al centro in basso). 

In Piranesi la rovina rappresentava l’eredità di un qualcosa che non potrà più  tornare, e in questo caso egli si riferiva all’architettura romana, considerata da lui il fondamento di tutte le architetture successive. Ispirandosi poi alle raffigurazioni magniloquenti del Boullè , egli decise di rappresentare le opere dell’architettura romana dilatando ingegnosamente la prospettiva.

Il topos delle rovine è un elemento che si ritrova non solo nell’ambito architettonico, ma anche e soprattutto,  in quello poetico della cultura neoclassica.

Le rovine , nella poetica neoclassica e sepolcrale , rappresentano immagini di distruzione, di ruderi di città antiche o di antichi imperi  che subiscono il continuo ciclo di nascita e morte, riproducendo una visione meccanicistica della vita (“l’alterna onnipotenza delle umane sorti” Foscolo).  Importante è a questo proposito annoverare gli autori in cui possiamo riscontrare questa immagine letteraria : Young e Gray e successivamente il  Foscolo in quasi tutte le sue opere. In questi autori, in seguito alla ripresa di tali immagini, evidente è un pessimismo di fondo che caratterizza tutte le loro produzioni. Tale pessimismo è dettato da una profonda nostalgia nei confronti di un passato che si ritiene ormai lontano e per questo motivo irraggiungibile. Tuttavia in molti casi, vedi Foscolo, questa concezione viene contemperata e quindi resa più accettabile grazie ad alcuni valori detti valori illusione, di cui la natura, la bellezza, l’amore ne fanno parte. Il più importante è però senza dubbio la poesia eternatrice ritenuta dallo stesso Foscolo capace di andare oltre la visione meccanicistica che scaturisce dal topos delle rovine.     

Anche nel Piranesi troviamo la ripresa del topos della nostalgia , che a differenza del Winkelmann non è da ricercarsi nella tradizione greca, ma in quella romana.

Da notare è comunque che quasi tutti gli esponenti più importanti di questo periodo, siano essi poeti o artisti, ripensano con una profonda nostalgia al passato, un passato visto in una chiave armonica a  cui contrapporre la disarmonia del presente.