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 Il Romanticismo

Introduzione generale(l’Ideologia)

 

 

Il Romanticismo sorse all’insegna della polemica con l’Illuminismo, del quale conservò e maturò in termini più realistici gli ideali di Libertà e Giustizia, ma rinnegò tutto il resto e non riuscì a condividere l’ottimismo.<O:P> </O:P>

In effetti, dopo le delusioni politiche e sociali (pertanto, esistenziali, perché la condizione derivante riguardava gli aspetti quotidiani della vita di ogni singolo uomo) provocate dall’imperialismo napoleonico e dal Congresso di Vienna, che aveva stroncato violentemente ogni speranza di libertà e di giustizia, l’ottimismo degli Illuministi non poteva non apparire velleitario e in contrasto con le ferree leggi della storia: i diritti naturali avevano, sì, una loro validità ideale e costituivano senz’altro un’insopprimibile necessità dello spirito umano, ma certamente non potevano essere considerati al di fuori della realtà concreta in cui l’umanità si trovava e che era il frutto del secolare cammino della storia.

Appariva perciò cosa assurda la pretesa di misconoscere il valore della storia e di fare «tabula rasa» del passato per creare, praticamente dal nulla, la «società perfetta». E' fuor di dubbio che un mistero avvolga l’esistenza dell’uomo e la sua storia, come è fuor di dubbio che la Ragione nulla possa fare per spiegare il mistero, al quale solo la Fede può dare una risposta. Le religioni rivelate e, per quanto riguarda la storia europea, il Cristianesimo in particolare avevano da secoli assecondato e soddisfatto quest’ansia dell'umanità e non potevano di colpo essere relegate nella pattumiera della Ragione.<O:P> </O:P>

Gli Illuministi avevano considerato la vita un continuo divenire della «materia» che, trasformandosi incessantemente, provvede da sé alla sua eternità, creando e distruggendo gli «individui» sia in quanto cose ed animali, sia in quanto uomini; per i Romantici la vita è un continuo divenire dello «spirito», e la storia è il segno tangibile di questa evoluzione, il «prodotto" più autentico dello spirito umano, l’unica «realtà» alla quale è lecito riferirsi per rispondere agli innumerevoli quesiti che la vita pone e per preparare il futuro.<O:P> </O:P>

Anche quei Romantici che non seppero sottrarsi totalmente all’Illuminismo e ne condivisero «razionalmente» il materialismo e l’ateismo (come il Foscolo e il Leopardi), non seppero rinunziare all’ansia di eterno e ricorsero alla «fantasia» per crearsi delle «illusioni» che in qualche modo surrogassero la mancanza di una fede positiva.

I Romantici, quindi, pur se in<span style="mso-spacerun: yes">  </span>un<span style="mso-spacerun: yes">  </span>atteggiamento psicologico<span style="mso-spacerun: yes">  </span>di pessimismo (da cui derivò la loro «malinconia»), rivendicarono i diritti del sentimento e della fantasia e confutarono la cieca fiducia nella Ragione, non più considerata infallibile né l’unica matrice delle azioni umane. Rivendicarono altresì il diritto insopprimibile dell’uomo di tendere verso l'infinito e nutrirono quest’ansia, questo anelito, con profonda passione, alcuni appagandola con la fede in una religione rivelata, altri con la fede nelle proprie illusioni. <O:P></O:P>

Inoltre, sentimento e fantasia, che<span style="mso-spacerun: yes">  </span>sono facoltà che consentono all’uomo di «creare» cose nuove, distinguono i singoli uomini tra loro (individualismo), laddove la ragione li accomunava in un appiattimento generale. Ma creare cose nuove senza l’intento di voler dare un contributo al progresso umano sarebbe inutile e senza senso e perciò i Romantici affermano che tutti, anche gli artisti, devono essere impegnati sul piano politico e sociale.<O:P> </O:P>

Abbiamo detto che per i Romantici la vita è un continuo divenire dello spirito umano. Questo implica anzitutto una nuova concezione della storia, che è ora intesa come perenne svolgimento in cui ogni momento è intimamente legato a quello precedente ed a quello seguente e porta sempre il segno sia del passato che del futuro (concezione vichiana): ogni momento costituisce un anello di una lunga catena ed è perciò necessario; e per quanto negativi possano apparire i suoi aspetti particolari, esso rappresenta pur sempre un fatto «positivo» nel lungo cammino dell’umanità.<O:P> </O:P>

Così intesa la storia, ne deriva che l’individuo, pur occupando fisicamente un solo anello della catena, pur partecipando alla realtà di un solo «momento», è però spiritualmente coinvolto in tutta la catena, cioè in tutto il processo storico dell’umanità: egli ha dunque una valenza universale, anche se vive un solo momento della storia. Ne deriva ancora che l’individuo, per conoscere veramente se stesso e il suo particolare momento esistenziale, non può prescindere dallo studio del passato (storicismo); se vuole realizzare la propria umanità nel rispetto della sua dimensione universale, non può prescindere dalla considerazione, al di là dei propri interessi contingenti, di quello che sarà dopo di lui. Insomma, ogni individuo, «servendo» il proprio tempo, si proietta nel passato e nel futuro: sta a lui raccogliere il meglio del passato e dare il meglio di sé per un futuro migliore (di qui l’ardente desiderio di «magnanime imprese» che distinse gli spiriti più nobili fra i Romantici).<O:P> </O:P>

Quello che vale per gli individui, vale anche per i popoli, giacché è un dato di fatto che i popoli non si somigliano, ed ognuno ha una sua propria fisionomia culturale e morale, che giova riconoscere nel passato, cioè nelle tradizioni, custodire gelosamente, difendendola da ogni inquinamento estraneo, e rendere sempre più nobile (nazionalismo e culto delle<span style="mso-spacerun: yes">  </span>tradizioni patrie). Da ciò deriva l’idea di «Stato nazionale», cioè l’affermazione del principio secondo<span style="mso-spacerun: yes">  </span>il quale ogni popolo, ogni entità nazionale, ha diritto ad avere uno Stato proprio, indipendente e sovrano. <O:P></O:P>

Per quanto riguarda la concezione dell’arte, i Romantici espressero idee totalmente opposte a quelle dei Neoclassici.

Anzitutto per essi, come<span style="mso-spacerun: yes">  </span>abbiamo già accennato, l’arte<span style="mso-spacerun: yes">  </span>ha una funzione storica che impegna le energie vitali del genio poetico e non può essere quindi concepita come momento di pura evasione dal contesto reale, in cui il genio svolge la propria esistenza. Essa nasce da un momento felice di creatività ed è espressione di un particolare «sentimento» nelle forme dettate spontaneamente dalla «fantasia». E poiché nessun uomo, neppure il genio poetico, vive avulso dalla società e fuori dal suo tempo, quel particolare «sentimento» calato nell’opera d'arte è insieme il segno di una specifica personalità, ma anche di una ben precisa società e di un ben determinato periodo storico. L’arte insomma è anzitutto manifestazione di un sentimento autentico, cioè sincero ed attuale, liberamente espresso nelle forme più naturali e spontanee.

I Romantici furono pertanto contro<span style="mso-spacerun: yes">  </span>il concetto di un’arte disimpegnata, contro la pretesa dei Neoclassici di ripristinare l’arte antica, contro l’imitazione dei classici e l’uso della mitologia (considerata estranea alla sensibilità moderna), contro l'applicazione di regole fredde e razionali.<O:P> </O:P>

Furono invece fautori di un’arte spontanea, popolare, originale, attuale, libera.<O:P> </O:P>

I Romantici non furono ostili all’arte degli antichi, che ai tempi loro avevano fatto un’arte «originale», ma furono ostilissimi ai Neoclassici, che producevano «poesia di morti» anziché «poesia di vivi».<O:P> </O:P>

C’è infine da rilevare che anche i Romantici si tuffarono spesso nel passato per ricercare motivi di ispirazione per le loro opere (e non poteva essere diversamente dati il rinnovato culto della storia e l’amore per le tradizioni patrie), ma rivolsero la loro attenzione in prevalenza all’età medievale, perché in questa riscontravano i primi segni della civiltà moderna, cristiana e liberale.<O:P>

 

Conclusione caratteri generali
Il Romanticismo:

- sorse polemicamente in contrapposizione all’Illuminismo, ma in effetti ne rappresentò uno sviluppo;

- considerando la vita un continuo divenire dello spirito e non della materia, rivalutò la Storia come prodotto dell’universale nel quale si riflette l’individuale, che partecipa perciò all’Eterno;

- privilegiò le facoltà del sentimento e della fantasia<span style="mso-spacerun: yes">  </span>sulla «ragione» e considerò l’arte come libera attività creativa del genio;

- determinò i concetti ed esaltò i sentimenti di Nazione, Stato nazionale (Patria), Libertà, Indipendenza nazionale, Giustizia (liberalismo democratico).  

- ebbe una concezione dinamica della vita e dell’arte che contrapposta a quella statica degli illuministi e dei classici. E poiché una tale visione trova riscontro in altre epoche del passato, è utile fare una distinzione fra Romanticismo perenne (come categoria filosofica ricorrente nel tempo, ad esempio nell’età repubblicana di Roma e nel Medioevo, in contrapposizione alla classicità, presente nelle epoche dell’età imperiale di Roma e nel Rinascimento)e Romanticismo storico.

 

 

 

Il tema della Natura

 

Con il romanticismo “ diviene tutto se si da al noto la dignità dell’ignoto”.

Con il romanticismo e più in particolare con la poesia di Leopardi e di Novalis nasce una visione completamente diversa della natura, fino ad allora vista come grande madre benigna e di fertilità, intesa ora come entità maligna che porta via il piacere e porta tristezza infinita.

Questa visione della natura Leopardiana è certo legata al suo pessimismo e ad una sorta di “mal di vivere” scaturito da una vita piena di privazioni e dispiaceri, ed anche al profondo dolore per la perdita di una donna che, la natura, con una malattia, gli ha portato via.

A questa drastica definizione del «male di vivere», da cui discende ovviamente il concetto che la felicità non esiste se non nella vana speranza che sempre gli uomini nutrono per il loro avvenire, il Leopardi pervenne attraverso tre fasi che gli studiosi sogliono definire del dolore personale, del dolore storico e del dolore cosmico.

La prima è rappresentata soprattutto dai cosiddetti piccoli idilli<span style="mso-spacerun: yes">  </span>L'infinito», «La sera del dì di festa», «Alla luna», «Il sogno», «La vita<span style="FONT-SIZE: 9pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt"> </span>solitaria»), composti tra il 1819 ed il 1821, e dal famosissimo «Il passero solitario», che, pur essendo stato composto nel 1829 ed essendo comunemente inserito fra i «grandi idilli», fu in effetti concepito tra il 1819 ed il 1821 e collocato dal poeta stesso insieme con i piccoli idilli: qui il Leopardi canta il proprio dolore e l'ineluttabilità della propria infelicità («...io questo ciel, che sì benigno / appare in vista, a salutar m'affaccio, / e l'antica natura onnipossente, / che mi fece all'affanno. -A te la speme / nego, mi disse, anche la speme; e d'altro / non<span style="mso-spacerun: yes">  </span>brillin gli occhi tuoi se non di pianto.-»), ma non esclude, anzi lo afferma, che gli altri possano essere felici<span style="mso-spacerun: yes">  </span>(« Tutta vestita a festa / la gioventù del loco / lascia le case, e per le vie si spande; / e mira ed è mirata, e in cor s'allegra. »).

La seconda fase è rappresentata dalle Operette moral del 1824 nelle quali il Leopardi svolge una ironica, ma accesa, requisitoria contro il Progresso, che invece di favorire l'uomo offrendogli i mezzi di un maggior benessere, lo ha sostanzialmente allontanato dallo stato beato della primitiva ignoranza, dove egli «sentiva senza avvertire» e fantasticava a suo piacimento .Contro la Filosofia, che si affanna a convincere l'uomo di essere una creatura privilegiata, mentre è la più infelice di tutte, proprio perché è in grado di comprendere il suo malessere ed è fortemente desiderosa di piaceri, di cui non potrà mai godere; contro la Natura che crea incessantemente nuovi individui per poi distruggerli, non senza averli prima tormentati («So bene - così uno sperduto islandese apostrofa la Natura - che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini. Piuttosto crederei che l'avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora domando: t'ho io forse pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, con le tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in questo tuo regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l'abitarvi non mi noccia? E questo che dico di me, dicolo di tutto il genere umano, dicolo degli altri animali e di ogni creatura.»<span style="mso-spacerun: yes">  </span>e la Natura così risponde: «Tu mostri di non aver posto mente che la vita di questo universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il quale, sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimenti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento»; ma a quest'altra obiezione dell'islandese la Natura non dà - perché non vuole o, forse, non sa dare - alcuna risposta: «Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima, dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?»).

<span style="FONT-SIZE: 11pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: Times New Roman; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA">La terza fase, quella del dolore cosmico, già abbozzata nelle Operette, si sviluppa nei grandi idilli

«A Silvia», «Le ricordanze», «La quiete dopo la tempesta», «Il sabato del villaggio», «Canto notturno di un pastore errante dell'Asia»), composti tra il 1828 ed il 1830. Tutte le creature dell'universo soffrono perché coinvolte nel processo di trasformazione che la Natura è costretta ad operare per garantirsi un'esistenza perenne, ma l'uomo soffre maggiormente per tre motivi precisi: perché è dotato di sensibilità per cui avverte scientemente il proprio dolore; perché ha un irrefrenabile desiderio di felicità che non esiste; infine perché solo all'uomo tocca di raggiungere la punta estrema dell'infelicità, che consiste nella «noia» («taedium vitae»), cioè nell’assenza totale di ogni sensazione sia di bene che di male: il pastore errante dell'Asia dice alla sua «Greggia»:

 

<tbody></span><span style="mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: Times New Roman; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA">Quando tu siedi
all'ombra, sovra l'erbe,
tu se' queta e contenta;
e gran parte dell'anno
senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
e un fastidio m'ingombra
la mente, ed uno spron quasi mi punge
sì che, sedendo, più che mai son lunge
da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
e non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
-Dimmi: perché giacendo
a bell'agio, ozioso,
s'appaga ogni animale;
me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?-</span>

 

 

A questo punto della sua riflessione è chiaro che la Natura, che pure un tempo gli era apparsa benigna, in quanto aveva fornito l'uomo della fantasia e, quindi, della capacità di eludere la conoscenza della triste realtà, creandosi miti e illusioni a proprio piacimento (colpa dell’uomo e della sua stolta sete di conoscenza se la Ragione aveva poi squarciato il velo che nascondeva la verità); stando poi indifferente verso i problemi dell'uomo(destinato anch'esso, come tutte le altre creature, all'incessante processo di «creazione e distruzione», indispensabile alla conservazione dell'universo) ora gli appaia maligna nei confronti dell'uomo, nel quale ha instillato il desiderio di felicità, pur sapendolo destinato all'infelicità, ed al quale ha dato un'acuta sensibilità ad avvertire il dolore, pur potendolo creare insensibile.

<span style="FONT-SIZE: 11pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: Times New Roman; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA">Questa avversione verso la Natura, questa ostilità, Leopardi ribadì anche nel suo estremo messaggio agli uomini, nel suo testamento morale; «</span><span style="FONT-SIZE: 11pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: Times New Roman; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA">La ginestra</span><span style="FONT-SIZE: 11pt; mso-bidi-font-size: 10.0pt; mso-fareast-font-family: Times New Roman; mso-ansi-language: IT; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA">», in cui esorta gli uomini ad accettare virilmente<span style="mso-spacerun: yes">  </span>il proprio stato di infelicità e ad unirsi per contrastare fieramente la comune nemica, benché la lotta sia impari e la vittoria impossibile:</span>

 

<tbody>Nobile natura è quella
che a sollevar s'ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra sé nel soffrir, né gli oddi e l'ire
fraterne, ancor più gravi
d'ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l'uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de' mortali
madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l'umana compagnia,
tutti fra sé confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aìta
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune.

 

 

Nel campo della pittura, possiamo riscontrare una certa idea della natura non proprio “maligna”, ma più come presenza fisica che crea fenomeni atmosferici, rendendo difficile la vita degli uomini, nelle opere di William Turner .Nei suoi quadri si coglie questa grandezza della natura e del suo potere indomabile che sovrasta l’uomo: i suoi paesaggi, mano a mano, evaporano, diventano nebbie, tra le quali emergono immagini larvali di esseri mostruosi.

Possiamo vedere ciò in “Tempesta di neve in Val d’Aosta”(allegato 1), è rappresentata una tempesta di neve proprio sulle teste di quattro povere persone, che scappano come naufraghi da un mare in tempesta confusi, in un onda di colori confusi.

Più evidente e ancor più vicino alla concezione della natura del Leopardi è l’arte di Caspar David Friedrich, molto più cupa e terrificante nella sua grandezza. Chiaro esempio è “Abbazia nel querceto”, dove Friedrich ha saputo trasferire sulla tela i concetti dell’idealismo e del romanticismo tedesco:

 

un senso mistico, una grande anima universale pervade il mondo della natura , e all’individuo spetta il compito di partecipare con l’abbandono dei sentimenti , per intuire e sentirsi partecipe di questo mistero. Il quadro esprime un senso di desolazione : gli alberi spogli, quasi morti durante l’inverno, sembrano lapidi in un cimitero intorno al rudere di un antica chiesa abbandonata , mentre una limitatissima gamma di colori grigio- bruni esprime un senso di sconsolata malinconia. Come molti poeti romantici , Friedrich sente il fascino dell’infinito, lo sguardo cerca di allontanarsi dal panorama cupo, ma trova una sottile foschia che rende indistinto l’orizzonte.

Un'altra opera di questo artista che ricorda le difficoltà dell’uomo quando si scontra con i fenomeni naturali è “Il naufragio della ‘speranza’” , vi è rappresentata un’impressionante immagine della neve imprigionata e stritolata dai ghiacci, dove l’uomo non appare visibilmente, perché sconfitto ed annullato nella sua impresa contro la natura.

 

 

Se il pittore di impostazione classica si fa amica la natura  perché in essa trasferisce ordine ,

calma, fiducia ottimistica presenti prima ancora nella sua anima e nella sua mente, il pittore romantico indaga ,invece, nella natura, caricandola delle sue ansie , dei suoi desideri, della sua instabilità, delle sue paure e dei suoi interrogativi, nell’attesa assurda di una risposta.

La musica 

 

Ho scelto per il suo carattere malinconico un brano di Chopin, Compositore polacco, nato a Zelazowa Wola, nei pressi di Varsavia. Di padre francese, si stabili' nel 1831 a Parigi dove la sua opera, perfetta sintesi dello spirito romantico, ebbe una grande influenza rinnovatrice. E' autore di composizioni soprattutto pianistiche (mazurche, valzer, notturni, polacche, ballate, sonate, studi, scherzi), a tal punto che le composizioni orchestrali, quasi tutte dell'eta' giovanile, prevedono la presenza determinante del pianoforte, con funzioni concertanti.

Ho associato uno dei suoi brani migliori Nocturn Sharp n^1, per la sua malinconia, l’ho associato alla lettura delle poesie di Leopardi .

Ho associato al quadro  di Turner la Sinfonia n. 9 di Beethoven in chiave maestoso allegra, chiudendo gli occhi dopo aver fissato quadro, infatti, ascoltando la canzone pare di vedere la scena animata con la tempesta e la gente in fuga.

 

"La nona sinfonia è sublime nei primi tre tempi, pessima come fattura nell'ultima parte."
Giuseppe Verdi

 

Questa sinfonia può essere considerata come l'apoteosi del pensiero musicale di Beethoven.
Nel 1826 Karl, anche a causa dei tumultuosi rapporti con lo zio, tenta il suicidio.
Nell'inverno dello stesso anno Beethoven si ammala di polmonite. Il male, trascurato, lo punisce con un'idropisia ed una grave malattia polmonare che dopo tre giorni di incoscienza lo porterà fatalmente alla morte.
Venti o trentamila persone seguirono la bara del grande musicista fino al cimitero. Un attore lesse l'orazione funebre scritta da Grillparzer. Tra la folla, in lacrime, c'era un giovane musicista appena trentenne, Franz Schubert, che sopravvisse solo un altro anno al sommo maestro.

 

Ai due quadri di Friedrich ho associato la sinfonia n^5 di Beethoven in quanto esprime forza, determinazione , il senso di inevitabilità ,di ciò che è accaduto nella sua drammaticità e nella sua naturale ineluttabilità.

L’inverno che rende tutto spoglio, nella sua veduta peggiore, come se niente più avesse vita; la nave affondata tra i ghiacci, col suo carico di paura e gelo che penetra di dentro.

La musica poi riprende ritmo a significare il rincorrersi delle stagioni, dei fatti che capitano, nel continuo susseguirsi naturale e comunque armonico dei fatti che comunque la vita , la natura comportano.