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La luna e i falò di C. Pavese

Il romanzo "La luna e i falò" di Cesare Pavese è il viaggio nel tempo di un trovatello cresciuto bracciante in una fattoria delle Langhe, emigrato in America, e tornato con un po’ di fortuna nelle sue campagne.

Elemento, a mio avviso importante, è il ricordo: tornando nel paese d’origine,oltre ad avere una qual sorta di nostalgiadi esso, riscopre moltissime cose naturali, come le aie, i pozzi le voci, i canneti, , gli odori delle fascine, le vigne, o determinati paesaggi che, emigrando in America, si era dimenticato.

Appena arrivato alla sua patria ritorna a rivedere i luoghi di quando era bambino, ma si sente quasi imbarazzato del suo comportamento, si vergogna dei suoi capi d’abbigliamento, di non non essere più in grado di andare in giro scalzo come un tempo; non riesce a convincere i suoi amici che un tempo era stato anche lui una persona semplice come tutti gli altri paesani. Pensa inoltre che se non avesse preso la decisione a tredici anni di andarsene ancora avrebbe fatto la vita da contadino e non sarebbe mai uscito dalla valle del Belbo.

Non si sente a suo agio tra la gente del paese, in quanto , avendo fatto fortuna, aveva preso atteggiamenti, modi di fare e di vestire troppo differenti da come era abituato.

Inizialmente, appena partito dalla patria, non si sente a proprio agio: infatti per le strade di Genova sente la mancanza di tante piccole cose apparentemente futili, ma per lui importanti.

Egli si fa raccontare da Nuto, la fine dei suoi famigliari, come ad esempio il Padrino, va a trovare i suoi amici di infanzia, ma si accorge che tutto è cambiato.

Egli trascorre molto tempo con Nuto, un suo vecchio amico d’infanzia, che gli racconta gli avvenimenti più importanti avvenuti nel periodo della sua assenza; ricordano anche la sua famiglia, la casa e il luogo dove svolse il suo primo lavoro, quello svolto nei campi quando era giovane;racconta a Nuto del suo incontro a Genova con la ragazza americana e dei lavori che svolse là.

In questo libro troviamo molti temi; abbiamo il tema del ritorno: il protagonista ritorna a S. Stefano Belbo, da dove era partito ancora ragazzo per recarsi in America, dove si è arricchito, e ora può permettersi una vita agiata. Non è più il ragazzino che veniva mandato a lavorare nei campi, ma è qualcuno oggi che potrebbe essere a sua volta padrone. Altro tema è il ritornare con la mente a quella che è stata la vita da ragazzo, però vista alla luce dei nuovi tempi e si trasforma in una ricerca dell’identità del protagonista con il mondo che, oggi, davanti a se, vede ovviamente cambiato. Sotto il punto di vista storico, tutto è cambiato:c’è stata la guerra, la Resistenza, ma è cambiato soprattutto perché è cambiato lui stesso. Ultimo tema pavesiano che ricorre in questo romanzo è la morte: nelle pagine finali un personaggio, Valino, compie l’eccidio della propria famiglia e dà fuoco alla casa. Accanto a questo c’e la morte di Irene e Santina, due delle ragazze che il protagonista aveva conosciuto da bambino.

Pavese, a mio parere, raccoglie anche qualche mito: il mito della città e della campagna, della fuga e del ritorno e anche, chiaramente, il mito dell’America, che rimane solo un sogno, perché in America non c’è mai andato.

Vengono inoltre narrati anche i suoi odii, i suoi interessi, la sua curiosità di conoscere e capire la vita contadina.

PERSONAGGI: Protagonista: è colui che racconta a Nuto e a qualche altro amico d’infanzia

tutto ciò che gli è accaduto durante il suo periodo d’assenza.

Nuto: i dialoghi tra Nuto, l’amico d’infanzia del narratore ed il narratore stesso sono molto significativi, per come riescono a tornare con la mente al passato con una dioalogo attivato al presente, ad esempio come il ragazzino Cinto, nel quale il protagonista vede se stesso in tenera età. Nuto è il personaggio con cui Pavese cerca di confrontarsi, è quasi come uno specchio; egli cerca di immaginare se stesso, attraverso l’immagine di Nuto, se non fosse partito, e si accorge che di aver fatto una buona scelta a partire, altrimenti non avrebbe fatto altro che continuare la vita di contadino.

Penso che Pavese abbia intitolato il romanzo La luna e i falò, proprio per far notare l’importanza che hanno avuto gli elementi naturali per "il ragazzo che ha fatto fortuna".