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Una vita

 

Di

Italo Svevo

 

In questo primo romanzo, una Vita, compaiono già in “nuce” i primi motivi dell’opera sveviana: il senso della sconfitta e del fallimento dell’individuo nei suoi ambigui rapporti con una  società intimamente corrotta e svuotata d’ideali, una società che lo opprime e di cui pure lui fa parte: nella quale quindi svolge ad un tempo un ruolo di vittima e di oppressore Duplice ruolo, in cui l’uomo finisce con lo smarrire ogni residua coerenza e fermezza morale, per trasformarsi in un “inetto” 8 e un inetto , è infatti il titolo della prima edizione di questo libro) , portato a rifugiarsi  nel sogno piuttosto che ad affrontare la responsabilità delle scelte che la vita impone.

Si tratta di un nuovo tipo di “vinto” , (ben diverso dai “vinti” verghiani), tragica oppressione di quella crisi ideologica che caratterizza l’età del decadentismo.

 

 

Alfonso Nitti, orfano di un medico condotto di paese, è accolto come impiegato nella banca Maller  di Trieste, in realtà cova sogni di gloria letteraria e di conquiste femminili, che però non tenta neppure di realizzare.

Introdotto nel ricco ambiente di casa Maller, vi conosce Annetta, la figlia del banchiere; alla vita lussuosa di quella casa, si contrappone il “menage” umilissimo della famiglia Lanicci, presso cui Alfonso ha trovato alloggio e sulla quale esercita di volta in volta un ruolo di sprezzante despota o di magnanimo benefattore, quasi a rivalsa delle umiliazioni che quotidianamente subisce – o crede di subire -  in ufficio. Dopo uno snervante corteggiamento Alfonso riesce forse a compiere l’unico gesto deciso della sua vita, seducendo la vacua e orgogliosa Annetta. La ragazza è disposta a sposarlo ma il matrimonio segnerebbe per Alfonso l’addio alle sterili fantasie, ai sogni lungamente accarezzati in solitudine. Con la scusa di una malattia della madre ( che poi , per un destino paradossale, muore davvero) fugge al paese. Mentendo  a se stesso, crede ad una motivazione nobile del suo gesto : “ Non così avrebbe voluto la ricchezza” . Tornato in città l’accoglienza non è però quella, commossa, come si sarebbe atteso per il suo lutto: trattato con disprezzo in banca, è sfidato a duello dal fratello di Annetta, che nel frattempo si è fidanzata con il cugino Macario. A questo punto il suicidi osi presenta come l’unica via di uscita per rimanere fedele al suo sogno, all’immagine di se che egli si è costruita: negativa e4d estrema forma di coerenza del contemplatore sconfitto. Una laconica lettera della banca darà l’annuncio ad un amico di Alfonso della morte dell’impiegato.

 

Alfonso Nitti si era trovato al centro di vicende che la sua stessa personalità aveva contribuito a rendere in certo qual modo romanzesche; come romanzesco era stato il suo suicidio. Alfonso si era trovato, pur con tutte le sue incertezze, i suoi smarrimenti, le sue fughe, inserito in una fitta rete di rapporti sociali, in ambienti e situazioni diverse- nel brulichio operoso della banca o nel tepore di un salotto signorile, nella miseria di un tinello piccolo-borghese o nella casta povertà di una casa paesana- circondato da una piccola folla di personaggi secondari, coro pettegolo ma talvolta consolatore.

 

In questo romanzo Svevo coglie una fase della crisi della società borghese : quella in cui l’uomo, pur sentendosi disancorato da una realtà che non riesce più a capire e a dominare, isolato da una società che sente nemica, conserva tuttavia una sia pure ambigua fede: la fede nel proprio “io” che egli, con una superstite capacità d’illusione, esalta e trasfigura secondo un modello ideale.

 

Alfonso di crede vittima della società- ma non si accorge di adottarne lui stesso i modelli di comportamento ( esemplare a questo proposito il duplice comportamento di Alfonso, remissivo se non servile nell’ambiente di lavoro , più o meno benevolmente autoritario in casa Lanicci ) ; e che la propria fede in se stesso è illusoria, come illusori sono i suoi pseudo ideali ( di onorabilità , di dignità, di elevatezza spirituale) : i vuoti fantasmi, i “sogni” che lo aiutano a morire- non  vivere.

 

Per questo il romanzo, pur attraverso modi narrativi di tipo verista inaugura una nuova forma di realismo: un realismo volto cioè ad analizzare la società dal di dentro, nella crisi dei valori da cui è travagliata, attraverso la coscienza del personaggio che tale società rappresenta: la perplessità di Alfonso Nitti, lo sgretolarsi della sua coscienza, il vano inseguire simulacri ideali, la sconfitta di un romantico modo di intendere la vita e l’incapacità di costruirsi valori nuovi, erano i mali di un’’intera società al tramonto.

 

Una vita è, nello schema, un romanzo tardo verista, racconto della storia di un vinto, cioè di un uomo sconfitto da quella lotta perpetua che è la vita. Alfonso Nitti, venuto dalla campagna a Trieste si impiega in una banca, e vede le sue ambizioni sociali e letterarie frustrate nella meschinità dell’ambiente di lavoro e nel ruolo di subalterno cui è condannato dalla nascita e dalla situazione economica.

Il richiamo al romanzo verista è rafforzato dall’attenzione dello scrittore all’ambiente: la banca Maller nella quale il protagonista lavora, il salotto Maller nel quale è accolto quale ospite subalterno; un’attenzione che pare, a prima vista, sforzo di spiegare un carattere  e una storia con la rete di rapporti che si istituisce tra un uomo e un ambiente. Il personaggio di Svevo è sconfitto da qualcosa che è dentro di lui e che, si direbbe, è anteriore ad ogni suo incontro con gli altri: una sua incapacità alla vita, come egli capisce alla fine del libro, prima di uccidersi; la presenza, dentro di lui, di qualcosa che gliela rendeva dolorosa , insopportabile. Spesso in momenti determinanti, ritorna nel libro la parola “lotta”,una parola-chiave nella teoria darwiniana: nella banca, dice Alfonso, si lottava disperatamente per salire di grado, ed egli non condivideva quelle aspirazioni e quel modo di concepire la vita; e al momento di decidersi al suicidio, egli pensa che deve distruggere se, quell’organismo che non conosceva la pace; vivo avrebbe continuato a trascinarlo nella lotta perché era fatto a quello scopo. Alfonso Nitti , dunque, non è un intellettuale, la sua cultura è scarsa, le se aspirazioni letterarie sono velleitarie, e la cultura o l’arte sono solo strumenti con i quali, di volta in volta, si illude di poter vincere la sua battaglia per la vita. E non è un contestatore sociale che si rivolti contro le strutture sociali, che lo condannano ad un ruolo subalterno. E’ un inetto, predestinato ad essere sconfitto in un mondo in cui gli altri, difendono con i denti il loro posto nel mondo.

Ma nel romanzo c’è anche altro; c’è già quello che sarà il grande tema di Svevo: lo smascheramento delle ipocrisie, dei compromessi,  degli autoinganni con i quali inganniamo noi stessi, prima che gli altri. Autocompiacimenti ed autocommiserazioni, situazioni sentimentali equivoche, menzogna ed insincerità con noi stessi, e quindi una meschina commedia con gli altri. E’ questo il mondo interiore di Alfonso.