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 La Lorena insieme all’Alsazia, strappate a Napoleone III nel 1870 dalla Germania con la sconfitta di Sedan, assieme alla questione coloniale marocchina sono le cause della tensione tra Germania e Francia che accompagnate dall’attrito tra Inghilterra e Germania (per l’egemonia coloniale), la tensione tra Italia ed Austria (per la questione delle terre irredente) e l’attrito tra Austria e Russia ( per il controllo dei Balcani), sono le ragioni reali dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.

L’Europa prima del conflitto era divisa in due alleanze: Triplice Alleanza, composta da Austria – Ungheria, Germania e Italia; Triplice Intesa, composta da Francia, Russia , Inghilterra. Gli imperi centrali (Austria e Germania), erano ormai da tempo decisi alla guerra, tanto che dal 1906 la Germania lanciò un grande programma di armamenti terrestri e navali (in otto anni vennero costruite 24 grandi navi da guerra): l’industria dell’acciaio, quella chimica, i costruttori di armi, realizzarono profitti favolosi.

L’occasione che fece scoppiare il conflitto arrivò il 28 giugno 1914 a Sarajevo (Serbia), quando avvenne l’uccisione dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Austria e sua moglie da parte di Gavrilo Princic, uno studente nazionalista serbo appena diciannovenne. Dopo l’uccisione l’Austria inviò un ultimatum alla Serbia, nel quale spiegava che avrebbe collaborato al ritrovamento dei colpevoli del delitto, ma per far questo avrebbe invaso il loro territorio, ed inoltre voleva la totale repressione dei movimenti nazionalisti ed irredentisti. L’ultimatum non venne accettato e l’Austria, il 27 luglio 1914, non perse tempo a dichiarale guerra. In appoggio alla Serbia la Russia mobilitò subito il suo esercito, ed automaticamente la Germania, che altro non aspettava, le dichiarò guerra immediatamente (primo agosto1914). Nei giorni sucessivi anche Francia ed Inghilterra entrarono nel conflitto in favore della Russia. L’unica potenza a rimanere neutrale per il momento era l’Italia che secondo il patto che la legava con Austria e Germania, puramente difensivo, doveva entrare in conflitto al loro fianco solo in caso che fossero loro le prime ad essere attaccate.

 

 

L’Italia

 

La neutralità dell’Italia venne dichiarata ufficialmente il 2 agosto, dal governo Salandra, ma ben presto l’opinione pubblica registrò due opposti schieramenti:

A) INTERVENTISTI, che promuovevano la guerra a fianco dell’intesa e che a sua volta di dividevano in:

  1. gli irredentisti democratici, che assieme a i social-riformisti di Bissolati, i radical-progressisti, i repubblicani e gli ex garibaldini, volevano non solo la liberazione di Trieste e Trento, ma anche dei popoli slavi oppressi dall’Austria. Di questa linea di idee facevano parte anche intellettuali come Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini.
  2. I liberal-conservatori, volevano una guerra vittoriosa, così si sarebbero rafforzate le istituzioni, e si sarebbero acquistate importanti posizioni di forza sull’Adriatico. Antonio salandra e Sidney Sonnino facevano parte dei liberal-conservatori e usavano come strumento di propaganda, il "Corriere della Sera", giornale diretto da Luigi Albertini.
  3. I nazionalisti. Che dapprima volevano l’entrata in guerra a fianco degli imperi centrali e vedevano la guerra come un’avventura gloriosa e rinnovatrice. A questa fazione faceva parte la "piccola borghesia idealistica", suggestionata da Gabriele D’Annunzio e dalle provocazioni dei futuristi.
  4. I sindacalisti rivoluzionari, come Arturo Labriola e Filippo Corridoni, erano convinti che con la guerra si potesse arrivare ad una rivoluzione proletaria.
  5. Da ricordare come interventista rivoluzionario anche Benito Mussolini, che da direttore dell’"Avanti", ed esponente del Partito Socialista Italiano, dal quale fu espulso, divenne direttore del "Popolo d’Italia" con il quale esortava i giovani a "fare storia" attraverso la guerra.

 

B) NEUTRALISTI, che invece furono:

  1. il Partito Socialista Italiano, che era dalla parte delle masse contadine e operaie, che vedevano nella guerra una tragedia.
  2. I cattolici, per la solidarietà con l’Austria cattolica, e per i principi evangelici.
  3. Giolitti a e giolittiani, che a differenza dei comandi militari stranieri che prevedevano una guerra "lampo", prevedeva una guerra lunga e sanguinosa. Inoltre pensava che l’Austria avrebbe dato molto in cambio della neutralità.

 

Il 10 luglio 1914, proprio il giorno d’inizio del conflitto mondiale, venne nominato come nuovo capo di Stato Maggiore dell’esercito italiano il generale Luigi Cadorna, che non perse tempo e avanzò immediatamente richieste di fondi per l’attrezzatura e l’addestramento dell’esercito, preoccupato per lo stato di impreparazione in cui esso si trovava. Il governo però, pur di salvaguardare una certa impostazione del bilancio dello stato, si oppose sistematicamente alle richieste del generale. Solo in un secondo momento, con l’incalzare degli avvenimenti bellici, il governo dovette sostenere con rito d’urgenza spese per 1 miliardo e 92 milioni di lire previste per l’anno finanziario 1914-15.

Il comando militare nel frattempo, visto che la guerra era ormai inevitabile, cercava più velocemente possibile di migliorare l’organizzazione e completare l’armamento dell’esercito.

I mesi di neutralità italiana, così poco e male utilizzati nel necessario potenziamento dell’esercito, vennero invece intelligentemente messi a frutto dal comando dell’esercito austro-ungarico. Il comando supremo austriaco, infatti, aveva già iniziato da tempo a studiare accuratamente e a realizzare una possibile difesa del confine sud ovest dell’Impero. La linea difensiva austriaca, per motivi strategico-militari, risultava leggermente arretrata rispetto al confine politico (fig.), ma tecnicamente agguerrita perché saldamente attestata sulle posizioni dominanti del Carso isontino, dove una mitragliatrice ben appostata bastava a tenere a bada migliaia di uomini. Gli austriaci così, diedero inizio sul Carso allo scavo di trincee, di difese multiple di reticolati, alla costruzione di posizioni protette e dominanti proprio per le mitragliatrici e alla realizzazione di innumerevoli camminamenti per raggiungere le trincee partendo dalle retrovie o dalle doline (*).

Il 26 aprile del 1915, venne stipulato segretamente, anche dal generale Cadorna, il Patto di Londra, le sue clausole prevedevano che qualora l’Italia entrasse in guerra a fianco dell’Intesa, ed il conflitto si risolva vittoriosamente, i vantaggi territoriali richiesti: il Trentino e il Tirolo fino al Brennero, Gorizia, Trieste e l’Istria (esclusa Fiume), parte delle Dalmazia e le isole del Dodecaneso. Il 24 maggio 1915, l’Italia dichiara guerra all’Austria.

 

Posto finalmente al corrente degli obblighi contratti a Londra, il generale Cadorna, preavvisava il ministro della guerra che sarebbe stata una "colpevole illusione" ritenere che il conflitto potesse concludersi in tempi brevi, e consapevole delle sicure gravissime perdite a cui sarebbe andato incontro, chiedeva che nuove unità dell’esercito potessero essere approntate in tempi brevi per consentirne l’utilizzo in azioni belliche già nella primavera del 1916. Il campo di battaglia era il Carso, che si presentava quasi a picco verso l’Isonzo e la pianura friulana, simile ad una gigantesca bastionata. Era un’opera fortificata naturale, protetta dal largo fossato dell’Isonzo e del canale Dottori. L’interno dell’altipiano, con la sua natura sconvolta, le caverne e le doline, si presentavano in modo particolare ad essere valorizzato e potenziato a fini difensivi.

Le truppe italiane, nella notte tra il 23 e il 24 maggio, oltrepassarono dappertutto il confine italo-austriaco abbattendone i cippi di delimitazione. Nelle giornate successive, mentre gli austriaci facevano saltare tutti i ponti sull’Isonzo, gli italiani occuparono Cormòns, Versa e Cervignano, cioè la zona del basso Isonzo.

Il mattino del 5 giugno l’esercito italiano incominciò le prime operazioni per il passaggio dell’Isonzo, ma i tentativi purtroppo vennero sistematicamente vanificati dall’artiglieria austriaca che contrastò efficacemente la costruzione da parte italiana di ponti o passerelle. Solo nei pressi di Papariano e Pieris, l’avanzata italiana, invece, ebbe più successo. I reparti, passato il fiume Isonzo, proseguirono verso la vicina Monfalcone e il Monte Sei Busi, ostacolati anche dall’inondazione della pianura provocata dagli austriaci, rompendo gli argini del canale Dottori. Nonostante tutto Monfalcone fu occupata il 9 giugno. Da questo momento l’avanzata italiana andò a rilento e non potè ulteriormente svilupparsi anche perché la mobilitazione generale degli uomini abili alle armi era ancora in corso. Una volta conclusa, il 23 giugno, il generale Cadorna ordinò contraddicendosi una grande operazione di sfondamento, che fruttò la conquista di poche centinaia di metri di terreno al prezzo di quasi 100.000 uomini.

 

 

Le battaglie dell’ Isonzo

Gli austriaci occuparono, di la del fiume, posizioni ben fortificate, difese da cannoni e mitragliatrici, e protette da una fascia di reticolati che per gli italiani costituivano una novità.

Come già detto sopra, il primo attacco ebbe inizio il 23 giugno 1916, e fini dopo una settimana dopo aver conquistato qualche spanna di territorio.

Il 18 luglio, Cadorna diede il via ad una seconda offensiva, e stavolta v’insistè per due settimane, senza pause. Per due settimane le batterie seguitarono ad accumulare morti sui reticolati austriaci, in cui le artiglierie non riuscirono a far breccia, e le forbici per tagliarli non erano ancora arrivate. Cadorna decise di sospendere il massacro il 3 agosto.

Il 18 ottobre Cadorna scatenò la terza battaglia dell’Isonzo, seguita a pochi giorni dalla quarta, che si concluse il 2 dicembre. Tra i caduti c’era anche Filippo Corridoni (*), che come la maggior parte dei leader interventisti, s’era arruolato volontario e aveva chiesto di combattere in prima linea.

Con il passare del tempo e del lungo susseguirsi di altre otto battaglie, caratterizzate soprattutto dalla presa di Gorizia e dalla perdita di migliaia di soldati anche per l’utilizzo di nuove armi come il gas asfissiante, che dal monte S. Michele venne sprigionato lungo tutte le linee italiane, il campo di battaglia si spostò oltre l’odierno confine con la Slovenia. Infatti la dodicesima battaglia dell’Isonzo, la decisiva (24 ottobre – 9 novembre), fu combattuta lontano dal teatro di lotta preso in considerazione fino ad ora, e più precisamente nella conca di Caporetto. In seguito a 30 mesi di battaglie, gli italiani, dopo aver attenuto anche delle vittorie, erano stremati. Cadorna, pensava anch’esso di poter concedersi un po’ di riposo e spinto dai risultati avuti, dalla chiamata alle armi anticipata della classe 1899 (ragazzi del ’99) che dovevano ancora ricevere un addestramento adeguato, e dall’arrivo degli americani previsto per la primavera del ’18, lasciò il quartier generale di Udine per recarsi a Vicenza, dove intendeva trascorrere due settimane di ferie. Il nemico però era lungi dal predisporsi al "letargo", e stava preparando la più formidabile delle sue offensive. Infatti gli austriaci chiesero in prestito alla Germania sette divisioni (una delle quali comandata dal tenente Erwin Rommel * , il futuro maresciallo del reich) che si schierarono sui monti intorno a Caporetto dove si trovava un importante centro delle retrovie del nostro esercito. Il piano d’attacco prevedeva di bombardare furiosamente un brevissimo tratto di fronte, per aprirvi una breccia e lanciare in essa i loro reparti, che avrebbero dovuto avanzare senza guardarsi ai fianchi o alle spalle, fino a raggiungere ed investire le retrovie, dando al nemico l’impressione di essere accerchiato. Sul resto del fronte, , altre truppe avrebbero agganciato i reparti italiani per impedire ai comandi di accorgersi tempestivamente della minaccia. In questo modo le truppe austro tedesche, approfittando della confusione, sarebbero riuscite a sfondare le nostre linee.

I preparativi, iniziati a metà settembre procedevano nelle massima segretezza. Ma si trattava di smistare 300 mila uomini, 2200 bocche da fuoco, 4 milioni di proiettili d’artiglieria e 2000 bombole a gas, olre a migliaia di cavalli, muli, carri e attrezzature d’ogni genere, e così nonostante le precauzioni, la notizia di quei movimenti era ben presto trapelata.

Il giorno 21 ottobre vi fu, da parte austro-tedesca un breve cannoneggiamento, che non inquietò i nostri comandi, perché era chiaro che vi avevano partecipato poche batterie. Alle due del mattino del 24 invece, duemila cannoni austriaci e tedeschi aprirono il fuoco nella conca di Caporetto, riversando sulle nostre linee una grandinata di proiettili e di bombole di fosgene, un gas terribile che provocava la morte quasi istantanea. Dalle posizioni italiane si accesero i riflettori e le artiglierie risposero al fuoco. Continuarono a sparare finchè i riflettori furono distrutti dalle granate tedesche. Fu cosi che 600 cannoni italiani, di cui molti di medio e grosso calibro, fecero da spettatori muti alla battaglia di Caporetto. Alle 3 del pomeriggio del 24 ottobre, i tedeschi entrarono a Caporetto senza neanche subire grosse perdite.

Cadorna, quando seppe dell’attacco non ne intuì né gli obbiettivi né il pericolo. Cominciò a prendere coscienza della realtà solo nella notte fra il 26 e il 27 ottobre, quando la stessa Udine era minacciata dalle avanguardie tedesche. Solo il 27, Cadorna diede l’ordine di ripiegare sul Tagliamento, ma ben pochi reparti lo ricevettero, e il ripiegamento si fece, non per piano, ma per fuga. Il 28 ottobre, il generale decise di arretrare fino alla linea del Piave, perché seppe che le avanguardie nemiche avevano in qualche punto oltrepassato il Tagliamento.

 

Nel frattempo nel resto d’Europa la Germania stava combattendo su due fronti, quello occidentale, con la Francia, e quello orientale, con la Russia. Questa tattica di combattimento tedesca fallì prima con la propria sconfitta nella battaglia di Marna (5-8 settembre 1914) e poi con la resa austriaca a Leopoli (8-12), avvenuta ancora prima dell’entrata in guerra dell’Italia.

Nel 1916 sferrò un attacco a Verdun sul fronte francese, il più tremendo massacro di tutta la guerra, e quasi contemporaneamente l’Austria inviò la cosiddetta "Strafexpedition" (spedizione punitiva) contro l’Italia. Gli austriaci sferrarono dal trentino un attacco che mirava a prendere alle spalle il nostro esercito. Il piano fallì grazie alla Russia che ci venne in aiuto, ma gli italiani persero ben centocinquantamila soldati.

L’Inghilterra intanto, aveva attivato il blocco navale dei rifornimenti tedeschi e austriaci che furono costretti ad una lotta nella quale furono utilizzati anche i primi sottomarini da parte della germania.

Nel 1917 in russia, a Pietroburgo, l’assalto al palazzo d’inverno condusse per la prima volta, al potere un governo comunista. Tutto ciò ebbe anche conseguenze militari: la Russia fu costretta ad abbandonare la guerra e nel 1918 firmò un patto detto "pace punitiva russa" con la Germania, illusa di poter cogliere sul fronte occidentale la vittoria definitiva. La Russia però fu subito sostituita dagli Stati Uniti.

Gli Italiani, che risvegliati dopo Caporetto da una inattesa volontà di resistenza, fermarono il nemico sul Piave e salvarono Verona, Padova e Venezia. Proprio in questo periodo fu deciso di sostituire il generale Cadorna con Armando Diaz, al quale si sarebbero affiancati due sottocapi di Stato Maggiore: Gaetano Giardino e Pietro Badoglio. La decisione fu esecutiva a partire dal 9 novembre 1917.

Alla fine del 1918 l’Italia riuscì a sconfiggere definitivamente l’Austria a Vittorio Veneto e a costringerla a firmare l’armistizio (patto di Villa Giusti). Dopo l’Austria anche la Germania nel novembre firmò l’armistizio.

Con la resa dell’Alleanza, nel 1919, venne organizzata una conferenza di pace il cui artefice fu il presidente americano Wilson, il quale propose un programma di 14 punti con l’intento di garantire all’Europa la pace.

Tra questi punti i principali sono:

 

  1. garanzia che gli armamenti saranno ridotti all’estremo limite compatibile con la sicurezza di ogni paese.
  2. Libera sistemazione con largo spirito e assoluta imparzialità di tutte le rivendicazioni coloniali.
  3. Ridisegnazione della cartina dell’Europa, rispettando i principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli, mediante i quali i popoli decidono sotto quale governo vogliono stare.

Nel 1919 oltre ai 14 punti di Wilson, vengono stipulati altri due trattati importanti, quello di Versailles, che regolava le condizioni di pace con la Germania e chiamato dai tedeschi il Diktat, ovvero punizione, e di S. Germain con l’Austria.

 

 

TRATTATO DI VERSAILLES (28 giugno 1919)

 

 

 

TRATTATO DI S. GERMAIN (10 settembre 1919)

 

 

 

Il soldato Giuseppe Ungaretti

A S. Martino del Carso, piccolo paesino del comune di Sagrado posto sotto il monte S. Michele, si trova il valloncello dell’albero isolato. E fu proprio lì, in una delle sue cavernette che combattè e scrisse molte delle sue poesie Giuseppe Ungaretti.

Poeta di grande rilievo nella cultura italiana e mondiale del novecento, egli visse proprio nelle trincee, nei camminamenti, negli anfratti del S. Michele in un intenso travaglio dell’anima all’interno di un dramma umano di proporzioni immani.

Alcune fra le sue più significative liriche, infatti, sono sgorgate, sofferte e angosciose, all’interno di precise coordinate geografiche e temporali (i giorni della guerra sull’altipiano nel 1915 1916).

Sul S. Michele Ungaretti non incontrò solo la musa ispiratrice della sua poesia di guerra, ma s’imbatte anche nel suo primo editore. Infatti il trentino Ettore Serra, incontrato proprio sulle retrovie del S. Michele stampò in pieno periodo di guerra la prima raccolta di poesie di Ungaretti: "Il Porto Sepolto", pubblicato a Udine nel 1916.