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 Nazismo e sterminio degli ebrei

 

Fin dalle origini l'ideologia del movimento nazionalsocialista si caratterizzò per un violento antisemitismo, che aveva le sue radici in vari filoni della cultura tedesca (ed europea) di fine Ottocento-primo Novecento e aveva trovato alimento nel risentimento suscitato dall'esito del primo conflitto mondiale e dai risultati delle trattative di pace (era diffusa la convinzione che la sconfitta della Germania e la sua umiliazione fossero dovute a un "complotto" dell'ebraismo internazionale); una forte connotazione antisemita caratterizzava il libro-guida del nazionalsocialismo, il Mein Kampf scritto da Hitler nel 1923.

Giunto al potere, il partito nazista non tardò a tradurre i suoi valori razzisti e antisemiti in direttive politiche e in norme giuridiche: nel 1935 con le "leggi di Norimberga" gli ebrei furono soggetti a pesanti discriminazioni. In base a quelle norme, l'antisemitismo nazista poté svilupparsi dapprima attraverso la discriminazione e il boicottaggio pianificati, poi con le persecuzioni via via più violente, culminate nel pogrom del 9 novembre 1938 (la "notte dei cristalli"), nel corso del quale migliaia di abitazioni, negozi e luoghi di culto di cittadini ebraici vennero incendiati, un centinaio di ebrei furono uccisi e molti altri percossi. Da quel momento la popolazione ebraica fu esclusa da qualsiasi attività industriale e commerciale in proprio, dalle manifestazioni culturali, dagli spettacoli pubblici.

L'avvicinarsi del conflitto aprì la via al progetto al quale Hitler pensava da tempo: la "soluzione finale", la distruzione della razza ebraica in Europa. Già una quindicina di campi di concentramento erano in funzione all'indomani dell'avvento al potere di Hitler, allo scopo di "rieducare" gli avversari politici. La razionalizzazione e unificazione del sistema dei "campi" sotto l'amministrazione delle SS e la successiva nascita dei campi di sterminio costituirono le premesse necessarie per l'attuazione di quel terrificante progetto.

Nel 1940 furono aperti nuovi campi di concentramento (Konzentrazionslager o KL) nei territori occupati, il più grande dei quali era Auschwitz, in Polonia. Nell'estate del 1941 Heydrich (capo dell'ufficio centrale per la sicurezza del Reich) ricevette l'incarico di iniziare i preparativi "per la soluzione totale della questione ebraica". All'inizio nelle "camere a gas" costruite nei campi di concentramento per le esecuzioni in massa fu usato il monossido di carbonio prodotto da motori diesel. Ad Auschwitz fu utilizzato un sistema più efficiente: i medici selezionavano gli ebrei abili al lavoro dopo il loro arrivo al campo stipati in carri bestiame; gli altri venivano avviati alle camere a gas dove si utilizzava lo zyklon B, acido prussico impiegato in agricoltura per la disinfestazione.

Nell'autunno del '42 furono ordinati quattro nuovi grandi forni crematori e camere a gas che consentivano di "trattare" 2000 persone alla volta nello spazio di mezz'ora. Tra i sopravvissuti al lavoro, la fame, il freddo, le malattie e le torture facevano il resto: i tassi di mortalità mensile raggiungevano il 20-25%.

In alcuni KL, inoltre, gli internati erano utilizzati come cavie per esperimenti: venivano loro inoculate malattie per studiarne gli effetti, dopo di che si procedeva alla loro uccisione. Con il procedere della guerra e la mobilitazione produttiva, i KL entrarono nel circuito di sfruttamento delle risorse e nel 1942 furono emanate direttive per lo "sterminio attraverso il lavoro".

Alla caduta del regime nazista, gli ebrei eliminati erano stati circa sei milioni, sui dieci residenti nei territori occupati, di cui un terzo sterminati nel solo campo di Auschwitz e gli altri nei 15 grandi campi e nei 900 secondari: Mauthausen, Treblinka, Sobibor, Chelmno, Majdanek, eccetera.