Con
questa prima parte, che dà inizio al nostro viaggio attraverso la storia
europea ed italiana della prima metà del secolo diciannovesimo, ci siamo prefissati
l'obiettivo di fornire un quadro semplice, ma chiaro, ed il più possibile
informativo, di quel complesso di eventi e personaggi senza di cui non sarebbe
possibile affrontare la trattazione dei fatti accaduti a Milano nel fatidico
mese di marzo del 1848.
Nella sezione Napoleone,
vorremmo che risultasse ben chiaro che il periodo delle campagne napoleoniche
in Italia costituisce la premessa storica fondamentale, ossia la nascita
storica stessa del Risorgimento italiano. E' da considerarsi ormai
completamente superata la tesi di una genesi autoctona del moto risorgimentale.
Non condividiamo infatti certa storiografia che, in determinati periodi storici
del nostro paese, ha voluto negare la fondamentale importanza della rivoluzione
francese e dell'avventura napoleonica; invece le molteplici discussioni tenute
dagli intellettuali italiani nel periodo napoleonico, come gli studi sul
"giacobinismo" italiano hanno mostrato, vedono già chiaramente il
formularsi del problema dell'unità, che sarà poi centrale nella lotta politica
del primo cinquantennio del secolo successivo.
Nelle sezioni I moti del '21
e I moti del '31
diamo un quadro delle prime manifestazioni, in Italia ed in Europa, di quei
sentimenti liberali, ancora ben lungi dall'essere sostenuti da un'organica idea
di nazione, che furono anche, com'è noto, segnati da gravi insuccessi. Essi
mettono in primo piano la questione storiografica della presenza in Italia di
una corrente democratica anteriore al diffondersi delle idee mazziniane:
importanti studi sulla Carboneria nel mezzogiorno hanno evidenziato che la
setta nel '21 abbracciò vaste masse, che comprendevano anche gli strati
contadini. Anche se va individuata una sostanziale frattura fra la democrazia
italiana del 1821 nel sud, e quella del '48-49, è importante aver chiaro che
nel complesso quadro del Risorgimento molti fermenti preesistevano
all'affermarsi del moderatismo, e alla soluzione che esso attuò della questione
nazionale. Osserveremo infine che il piano insurrezionale degli esuli italiani
in Francia, all'indomani della rivoluzione di luglio del '31, si ispirava ad un
audacissimo programma repubblicano-unitario, di stampo buonarrotiano.
D'altronde il grido dei moti del '31 nel Ducato di Modena era "Viva la
repubblica": un altro eloquente esempio di come, prima del conflitto fra
moderati e democratici, in Italia fossero ancora presenti i fermenti di stampo
repubblicano democratico, legati all'esperienza illuministico-rivoluzionaria
dell'età napoleonica.
Infine, nella pagina dal
titolo Gli anni decisivi:
'31-'48 ci occupiamo della formazione delle due fondamentali
correnti di pensiero politico del Risorgimento italiano: il mazzinianesimo ed
il neo-guelfismo giobertiano. Sebbene al di fuori dei limiti cronologici del
nostro lavoro, non va dimenticato che proprio dallo scontro fra moderatismo e
partito d'azione (Cavour contro Mazzini), l'Italia uscirà fortemente
condizionata per le soluzioni che verranno fornite al problema dell'unità e per
le conseguenze indelebili ed inestinguibili che tale soluzione ha impresso alla
nostra vita nazionale. Sotto questo profilo non ci sembra di poter affermare
che i problemi suscitati dalla storia risorgimentale possano essere sentiti
come qualcosa che concerna un'età tramontata, se è vero che l'evoluzione della
nazione italiana in senso moderno, capitalistico e tecnologico, non ha affatto
cancellato, ma anzi esasperato, i problemi che la nazione lamentò all'indomani
della sua unificazione: ci riferiamo soprattutto al rapporto, ancor oggi così
travagliato, fra la parte settentrionale e quella meridionale d'Italia.
Il quadro napoleonico in Italia
La Rivoluzione francese in Italia suscitò diverse
reazioni: da un lato, essa provocò entusiasmo tra gli ambienti borghesi e gli
intellettuali, dall'altro, vi fu una certa ostilità da parte dei governi della
penisola e dei ceti privilegiati, timorosi di perdere le posizioni preminenti
da loro occupate rispetto al resto della popolazione.
Le masse reagirono con un eccessivo entusiasmo, spinte non tanto dalle
ideologie, quanto dalla difficile situazione economica nella quale versava il
nostro paese, illudendosi che la rivoluzione avrebbe costituito la soluzione a
tutti i loro problemi.
I
governanti dei vari Stati in cui era suddivisa la penisola non si schierarono
attivamente in favore dei movimenti rivoluzionari, rimanendo neutrali, o
trovandosi in una tale condizione di subordinazione alle grandi Potenze da
dover aderire alla coalizione controrivoluzionaria.
Avvenne dunque che, per una naturale reazione a tale atteggiamento indifferente
o ostile dei vari governi, si formassero movimenti di stampo
patriottico-giacobino, che posero presto il problema del Risorgimento e
dell'unità politica del nostro Paese; questi gruppi giacobini trassero origine dalla trasformazione di logge
della Massoneria, presenti inizialmente in Piemonte e nel reame di Napoli, poi
diffusesi nel resto della penisola e per altro condannate duramente dalla
Chiesa Malgrado la defezione di alcuni Stati all'interno della coalizione
antifrancese, il Piemonte nella primavera del 1795 rimaneva fedele all'Austria,
prendendo in alcune occasioni l'offensiva contro la Francia; l'anno successivo,
quando il Direttorio affidò al generale Bonaparte il comando dell'Armata
d'Italia, la situazione volse a favore dei Francesi, ed il re Vittorio Amedeo
III di Savoia fu costretto a firmare l'armistizio di Cherasco, con il quale il
Piemonte diventava praticamente una base per le ulteriori mosse delle forze francesi
in Italia. Napoleone infatti, nel
maggio del 1796, penetrò in Lombardia e, battuti gli Austriaci, entrò a Milano il 15 di maggio. La successiva caduta della fortezza di
Mantova, e la minaccia di una marcia su Vienna da parte delle truppe francesi
che già erano alle porte della città, convinsero infine l'Austria a firmare il
trattato di Campoformio, il 17 ottobre del 1797, con il quale si riconosceva il
dominio francese sul Belgio e sul Milanese, ed il passaggio all'Impero
Asburgico della antica repubblica di Venezia.
Intanto a Milano, che era divenuta la sede del
patriottismo italiano, un po’ perché resa importante da Napoleone e un po’ per
il significativo afflusso di esuli, si andavano svolgendo polemiche sul futuro
assetto dell’Italia; di ciò si discuteva soprattutto sui periodici, tra i più
importanti di questi il "Termometro politico" ed il "Giornale
dei patrioti italiani".
Sugli stessi periodici si discuteva soprattutto dell’assetto istituzionale da
dare all’Italia; le tesi erano due: unitaria e federalista.
La prima, che prevedeva la progressiva costruzione dell’"universale
repubblica italiana", aveva come sostenitori il Verri, il Gioia, il Galdi
ed il Ranza; mentre invece la seconda tesi, che puntava alla creazione di dieci
repubbliche, aventi ognuna una sua capitale, unite da un potere federale al
quale sarebbe spettata la direzione della politica estera, era appoggiata da
nomi come il Fantuzzi, il Rouher e il poeta Fantoni. Sempre parlando di
questo, possiamo aggiungere, come nota fondamentale, che le due tesi per
un nuovo assetto istituzionale dell'Italia in questo periodo erano già presenti
nelle discussioni e negli scritti degli intellettuali milanesi.
A Reggio Emilia il locale Senato, distaccandosi dalla
Reggenza estense, aveva creato un governo provvisorio e chiesto la protezione
francese; proprio in quei giorno a Reggio fu sorpreso un nucleo di Austriaci
che venne attaccato e fatto prigioniero; l’episodio fruttò al Direttorio
reggiano i complimenti di Napoleone. Si può dunque dire che i Reggiani dettero
una scossa alla sonnacchiosa Italia; nell’ottobre del 1796, per iniziativa
francese, si riunì un congresso a Modena con i rappresentanti di Bologna,
Ferrara, Modena e Reggio, che deliberò la creazione di una "Confederazione
Cispadana", ovvero una lega militare, e decretò inoltre la fondazione di
una "Legione italiana"; in quegli stessi mesi Napoleone aveva
progettato di fondare una "Repubblica Cisalpina". Questa creazione
venne annunziata il 19 maggio 1797 e nei mesi successivi i territori della
Repubblica Cispadana furono annessi a quelli della Cisalpina, la quale
Costituzione fu impostata sul modello francese del 1795.
Ancor prima del trattato di Campoformio, nel Nord
erano sorti movimenti patriottici, che furono stroncati con severe repressioni;
molto più gravi furono i moti causati dal malcontento per il trattato stesso e
la cessione di Venezia all’Austria; vane furono anche le espressioni di dolore
per il sacrificio di Venezia dei più importanti poeti, come ad esempio il
Foscolo. Comunque i patrioti italiani dallo stesso sacrificio traevano
argomento per stringersi intorno alla Cisalpina, che ormai rimaneva l’unica
espressione di indipendenza dell’Italia; ripartendo alla volta della Francia,
Bonaparte lasciò una situazione instabile, che comunque rispecchiava
tutta l’affrettata costruzione napoleonica.
Vicende importanti frattanto si svolgevano nei vari
Stati italiani; la Francia mirava all’occupazione di Roma poiché in un tumulto
di piazza di repubblicani romani, sedato dalle truppe pontificie, era rimasto
vittima delle stesse truppe il generale francese Duphot; proprio per questo il
Direttorio francese prese la decisione di invadere Roma. Tale spedizione
determinò la fuga del papa Pio VI; la Costituzione della repubblica romana
ricalcava il modello francese del ‘95; molti, comunque, furono per essa i
problemi, che la costrinsero alla vendita di molti beni della Chiesa per far
fronte alle onerose contribuzioni imposte dai Francesi. L’occupazione di Roma
aveva inasprito i rapporti tra Francia e Regno di Napoli, ed in quello stesso
anno il re Ferdinando IV decise di invadere la repubblica; i Francesi
contrattaccarono subito e per Napoleone inizialmente l’avanzata fu ben facile,
con l’esercito francese che si apprestava a giungere fino a Capua; nel 1799
Francesco Pignatelli stipulò una tregua a Sparanise che prevedeva l’occupazione
francese di metà del regno e una notevole indennità di guerra. Pressoché
contemporanea alla caduta della monarchia napoletana fu quella piemontese;
infatti, nello stesso mese il re Carlo Emanuele IV fu costretto a firmare un
atto col quale cedeva ai Francesi ogni autorità sul Piemonte ed invitava i suoi
sudditi ad obbedire a qualunque governo che ai Francesi volessero instaurare
nel regno; ordinava altresì ai suoi soldati di considerarsi parte integrante
dell’esercito francese.
Ai primi di marzo del 1799, infine, i Francesi procedevano all’occupazione
anche del Granducato di Toscana, costringendo il granduca Ferdinando III ad
abbandonare Firenze ed istituendo nella regione toscana non una nuova
repubblica, ma soltanto una specie di amministrazione provvisoria.
Quando Napoleone partì per conquistare l’Egitto,
venne costituita una formidabile coalizione contro la Francia alla quale
aderirono Austria, Turchia, Russia e Regno di Napoli.
Le vittorie di questa coalizione determinarono la perdita di gran parte dei
territori italiani e minacciarono di invasione lo stesso territorio nazionale
francese: tra gli ultimi giorni di marzo e i primi di aprile, gli Austriaci
batterono più volte l’esercito francese, comandati dallo Scherer, nella zona
dell’Adige, costringendolo a ripiegare sulla linea dell’Adda; gli Austriaci
ebbero anche come aiuto l’intervento di alcune truppe russe, comandate dal
maresciallo Suvorov, ed i Francesi, guidati dal Moreau, subirono il 27 Aprile a
Cassano d’Adda una sconfitta decisiva.
La repubblica Cisalpina cessò così di esistere, almeno per il momento. La
Francia più tardi perse anche la Toscana, la repubblica partenopea e quella
romana.
Tra la fine del 1799 e l’inizio del 1800 si
assistette ad una gloriosa riscossa napoleonica; il Suvorov era stato già
sconfitto in un’aspra battaglia presso
Zurigo, e nel frattempo Napoleone era ritornato in
Francia dove aveva assunto poteri dittatoriali; così il 14 giugno a Marengo,
inflisse una dura sconfitta all’esercito austriaco permettendo la rifondazione
della repubblica Cisalpina e Ligure e riconquistando Toscana e Piemonte. Prima
della fine dell’anno ha inizio la seconda fase della campagna fin qui
trionfante; nel 1801 gli Austriaci si vedono costretti a firmare la pace di
Duneville; dopo la fine di quest’ultima fase la Francia si ritrovò ancora più
estesa territorialmente rispetto al periodo precedente la "caduta".
Rimaneva contro la Francia la sola Inghilterra, che
era però ritenuta imbattibile grazie alla sua flotta; nel 1802 il trattato di
Amiens prevedeva il riconoscimento da parte degli Inglesi della repubblica
francese; questo trattato costituì un nuovo clamoroso trionfo di Bonaparte, che
infatti venne nominata Console a vita e quindi Imperatore. Dopo pochi anni
accennava a riprendersi la lotta tra Francia e Inghilterra; nel 1805 la flotta
francese fu annientata da quella inglese a Trafalgar, una vittoria che lo
stesso ammiraglio britannico Nelson pagò con la sua vita; Napoleone, malgrado
questa sconfitta che renderà per sempre impossibile un attacco alla Gran
Bretagna, raggiunse l'apice del suo trionfo, sbaragliando le coalizioni messe
in campo contro di lui; non potendo sconfiggere militarmente gli Inglesi, decise
di combatterla sul piano economico col celeberrimo "blocco
continentale", che impediva ogni tipo di commercio con la sua rivale
primaria. Ma per compiere pienamente questo progetto Bonaparte aveva bisogno di
significativi appoggi che non avrebbe mai avuto. Nel frattempo l'occupazione di
Roma e l'esilio forzato del Papa suscitarono opinioni contrastanti anche
all'interno della Francia, paese di solida tradizione cattolica, mentre andava
formandosi una coalizione decisiva che avrebbe messo in ginocchio definitivamente
Napoleone.
In Italia Napoleone ampliò i territori sotto il suo
dominio e diede un assetto alla penisola che avrebbe potuto cambiare solo con
la caduta del suo impero; la sua decadenza iniziò con la campagna di
Russia, in cui l'esercito napoleonico, pur entrando vittorioso nella capitale
russa, fu costretto ad una drammatica ritirata che costò la vita ad un gran
numero di soldati francesi.
Le forze della nuova coalizione, costituite da Gran Bretagna, Austria, Prussia,
Russia e Svezia, poterono così riuscire a sconfiggere Napoleone ed entrare
trionfanti a Parigi nel 1814. Naturalmente questo crollo comportò lo sfacelo
dell’assetto politico dell’Italia e il Papa poté riprendere tranquillamente
dimora a Roma. In seguito Napoleone riprese il potere in Francia e tentò
l'ultimo colpo di coda, venendo però sconfitto definitivamente a Waterloo e
costretto all'esilio.
Furono le potenze vincitrici a dettare il nuovo assetto politico dell'Europa
post-napoleonica durante il Congresso di Vienna, i cui lavori proseguirono
incuranti del ritorno sulla scena di Napoleone, con lo scopo di riportare
l'Europa allo status quo ante.
Il progetto
napoleonico crollò, ma il suo messaggio e la sua importanza rimasero indenni,
anzi si svilupparono come idee innovative in un continente conservatore.
L’ondata rivoluzionaria del
1820-21
Il congresso di Vienna e la Restaurazione si erano
impegnati a ristabilire in Europa gli equilibri e le autorità presenti prima
della rivoluzione francese del 1789 e del dominio napoleonico; Metternich ed i
suoi seguaci si diedero dunque da fare affinché i venticinque anni di
rivoluzione venissero dimenticati e non si dovesse più temere un loro
ripetersi. Sui troni di Francia e Spagna tornarono i sovrani assoluti
(rispettivamente Luigi XVIII e Ferdinando VII), ed in Italia, mentre l’Austria
riaffermava la propria autorità sul lombardo-veneto, i regni di Sardegna e
Napoli dovettero misurarsi con le tendenze reazionarie dei loro monarchi.
Apparentemente quindi l’ordine era ristabilito, ma
negli animi degli intellettuali e del popolo i nuovi modi di pensare e gli
ideali ispirati dalla Rivoluzione Francese non sembravano volersi sopire.
Cominciarono a svilupparsi fra i liberali le società segrete, fenomeno già
diffuso durante il ‘700 ma che nell’Europa "restaurata" divenne di
cruciale importanza, assorbendo l’intera ondata intellettuale e rivoluzionaria
del tempo. Le società segrete erano libere organizzazioni di intellettuali,
giovani e militari, ma anche artigiani e borghesi, che si riunivano per discutere di politica all’insaputa
delle autorità, utilizzando riti e segnali misteriosi analoghi a quelli delle
professioni e dei mestieri. Queste organizzazioni erano numerose e le loro
tendenze le più disparate, ma il fatto più importante era che una fittissima
rete di contatti interni le rendeva unite fra di loro e permetteva lo sviluppo
al loro interno di un pensiero democratico sotterraneo. Una delle più
importanti e diffuse società segrete dell’età della Restaurazione fu la
Carboneria, che si rifaceva appunto per simboli e rituali alla professione del
carbonaio, e che presentava in ideale democratico-costituzionale moderato. Essa
era attiva soprattutto in Italia ed in Spagna, ed ebbe un ruolo di primo piano
nei moti del ‘20-21.
Il 1° gennaio 1820 alcuni reparti dell’esercito
spagnolo in procinto di salpare da Cadice per andare a sedare alcune rivolte
nelle colonie americane si ammutinarono, opponendosi al regime repressivo del
sovrano Ferdinando VII, e riuscendo nell’arco di pochi giorni a far dilagare la
protesta ad altri reparti fino a rendere vana ogni opposizione regia. Il re fu
costretto a ripristinare la Costituzione ed a concedere una camera elettiva ai
ribelli.
Questi avvenimenti diedero il via ad un a sorta di
reazione a catena che portò in breve alla ribellione di buona parte dell’area
mediterranea. Nel dilagare delle rivolte ebbe una funzione importante la
Carboneria, che impegnò tutti i suoi contatti spagnoli ed italiani per
sobillare le popolazioni.
A pochi mesi di distanza dai moti di Cadice,
contemporaneamente in Portogallo e nel Regno delle due Sicilie si assistette
allo scoppiare della rivolta, che in breve portò i sovrani ad optare per le
stesse soluzioni di Ferdinando VII e quindi a concedere la Costituzione. In
tutti questi casi però la Costituzione faticò a restare salda, a causa
dell’opposizione regia, degli interventi del Metternich volti a mantenere
l’equilibrio viennese e soprattutto agli scontri interni fra moderati e
democratici. A tutto ciò si aggiunse l’esperienza della Sicilia: dopo essere
insorta forte anche di vaste masse popolari che ne reclamavano l’indipendenza
dal regno di Napoli, si trovò a fronteggiare la repressione di quest’ultimo da
sola, e la rivolta fu rapidamente sedata. Questo fatto non bastò a calmare le
speranze ardenti dei liberali piemontesi e lombardi, che in collaborazione con
la Carboneria progettavano la cacciata dall’Italia degli austriaci; purtroppo
le trame lombarde furono scoperte ed i carbonari Silvio Pellico e Pietro
Maroncelli furono rinchiusi nel tremendo carcere austriaco dello Spielberg.
Diversamente andò in Piemonte, dove i moti
scoppiarono nel marzo del 1821 e portarono il re Vittorio Emanuele I ad
abdicare in favore del fratello. In assenza di costui la reggenza andò nelle
mani di Carlo Alberto, da tempo in contatto con le società segrete, che
concesse di buon grado la Costituzione, simile a quella spagnola. Richiamato
poco dopo all’ordine dal legittimo re Carlo Felice ed unitosi alle truppe di quest’ultimo,
sconfisse i liberali guidati da Santorre di Santarosa a Novara.
Nonostante la loro fragilità, i moti di Spagna ed
Italia destarono la preoccupazione nei conservatori seguaci del congresso di
Vienna: oltre agli interventi personali del Metternich nelle singole questioni,
si decise dunque di passare alla controffensiva ed il 23 marzo 1821 gli
austriaci calarono sul Regno delle due Sicilie e vi ristabilirono il legittimo
re Ferdinando I, che per vendetta mise in atto rigidissime forme di repressione.
Poco dopo la parentesi rivoluzionaria cessava anche in Portogallo, in seguito
al crudele intervento del re.
L’ondata rivoluzionaria del 1821 nei paesi che
attraversò fu chiaramente tesa all’affermazione del nuovo mito della
Costituzione, ma fallì miseramente nell’intento, soprattutto perché si poneva
nei confronti dei re in maniera troppo aspra e decisa, creando una
contrapposizione insolubile di mentalità.
I moti del 1831
Esattamente dieci
anni dopo l’ondata rivoluzionaria del ‘20-21, un nuova serie di ribellioni ebbe
luogo in Europa, avendo questa volta come epicentro la Francia, cuore delle
tendenze rivoluzionarie europee. Alla morte di Luigi XVIII era salito al trono
Carlo X, feroce sostenitore della Restaurazione e del cristianesimo. Contro la
sua politica si schierarono non solo i democratici e gli intellettuali che si
rifacevano all’esperienza giacobina, ma anche la grande borghesia affarista ed
una fetta dell’aristocrazia. Nel ’29 il re affidò il governo a Polignac, capo
della fazione degli ultras (ultrarealisti reazionari) parigini e sciolse la
camera istituendo nuove elezioni. Quando queste non ebbero il risultato
sperato, davanti al crescere dell’opposizione tolse la libertà di stampa e
modificò la legge a suo piacimento rendendola ancora più restrittiva.
Il popolo di Parigi si riversò in piazza protestando,
e dopo tre giorni di scontri con le truppe reali costrinse Carlo X ad
abbandonare la città e dichiarò caduta la dinastia borbonica, nominando
"luogotenente del regno" Luigi Filippo d’Orleans. Questi fu
proclamato re dei francesi il 9 agosto dello stesso anno, varando una nuova
costituzione sul modello della Carta del ’14, che accresceva il controllo del
parlamento sul potere esecutivo, allargava il diritto di voto e realizzava una
separazione più netta tra Stato e Chiesa.
Così facendo la Francia si liberava finalmente
dell’etichetta di pilastro dell’Europa conservatrice ricavatole da Talleyrand a
Vienna, e dava una spinta consistente a tutte le velleità di rivolta sepolte
nel resto dell’Europa.
Il popolo di Parigi si riversò in piazza protestando,
e dopo tre giorni di scontri con le truppe reali costrinse Carlo X ad
abbandonare la città e dichiarò caduta la dinastia borbonica, nominando
"luogotenente del regno" Luigi Filippo d’Orleans. Questi fu
proclamato re dei francesi il 9 agosto dello stesso anno, varando una nuova
costituzione sul modello della Carta del ’14, che accresceva il controllo del
parlamento sul potere esecutivo, allargava il diritto di voto e realizzava una
separazione più netta tra Stato e Chiesa.
Così facendo la Francia si liberava finalmente
dell’etichetta di pilastro dell’Europa conservatrice ricavatole da Talleyrand a
Vienna, e dava una spinta consistente a tutte le velleità di rivolta sepolte
nel resto dell’Europa.
Le rivoluzioni che scoppiarono subito dopo in Italia
devono molto ai moti francesi.
Al centro
delle nuove insurrezioni italiane si collocano i personaggi di Ciro Menotti e
del duca Francesco IV, figure che rivestirono un’importanza focale nell’origine
degli avvenimenti. Francesco IV infatti progettava la nascita di una sorta di
Regno del Nord Italia e sperava di poterne essere capo dando il proprio aiuto a
Menotti, patriota frequentatore di società segrete che sognava un’Italia unita.
Una volta resosi conto della follia del proprio progetto e della repressione
che l’Austria avrebbe attuato su di esso, Francesco preferì tradire e consegnò
alle autorità il Menotti il giorno prima della data in cui sarebbero dovuti
scoppiare i moti. Ma era già troppo tardi ed il giorno dopo, 4 febbraio, ciò
che non era successo a Modena accadde a Bologna e si estese rapidamente a tutto
il nord Italia grazie alla fitta rete di contatti delle società segrete,
costringendo Francesco IV alla fuga. Le varie insurrezioni cercarono quindi di
coordinarsi fra di loro, creando il governo delle Province unite con sede a
Bologna, e si dettero alla ricerca di un corpo di volontari disposto a marciare
contro Roma. Purtroppo non se ne fece nulla perché dopo poco cominciarono a sentirsi
in mezzo agli insorti voci discordanti, che impedirono una totale coesione
degli intenti. Poco tempo dopo gli austriaci, non ostacolati dalla Francia come
avrebbero sperato gli insorti, discesero nei ducati e si riappropriarono dei
loro domini, raggiungendo anche il cuore degli insorti a Rimini e
sterminandoli.
Oltre alle rivolte italiane, ai fatti di luglio
fecero seguito altri moti liberali in diversi paesi europei. In Belgio il
popolo ne approfittò per rivendicare l’indipendenza dall’Olanda, cui era stato
annesso dopo il congresso di Vienna. Nell’unione gli interessi del Belgio erano
stati sacrificati a quelli dell’Olanda, alla quale era riservata l’autorità
principale nell’amministrazione e nella rappresentanza politica. La rivolta
belga fu allo stesso tempo nazionale e costituzionale, e fu promossa da
un’alleanza di cattolici e liberali con il sostegno della massa popolare.
L’opera diplomatica della Francia e dell’Inghilterra fece fallire il tentativo
del sovrano olandese di riprendere con la forza le province perdute e impedì
che il conflitto si allargasse a comprendere tutta l’Europa. Il nuovo regno
scelse come sovrano un principe tedesco, Leopoldo di Sassonia, e adottò una
costituzione sul modello francese, che consentiva una più larga partecipazione
dei cittadini.
In Russia l’autoritarismo dello zar Nicola I
soffocava l’autonomia della Polonia, annessa durante il congresso di Vienna, e
risvegliava le aspirazioni nazionali dei polacchi. Seppur per motivi diversi
l’indipendenza era rivendicata tanto dai nobili quanto dai patrioti liberali, e
fu così che allo scoppio dell’insurrezione, nel 1830, essa prese un carattere
violento e di estrema risonanza internazionale. Infatti anche in Prussia ed in
Austria l’opinione pubblica vedeva di buon occhio la perdita di prestigio che
sarebbe derivata da quegli avvenimenti al regime zarista. Purtroppo però gli
insorti riponevano grandi speranze nell’intervento della Francia e
dell’Inghilterra nel conflitto, mentre le due potenze preferirono non
schierarsi per non causare una guerra con le potenze assolutistiche russe. La
rivoluzione fu domata nel settembre 1831, ed un nuovo ordinamento stabilito
dallo zar il 12 novembre tolse alla Polonia ogni autonomia, soppresse ogni
possibilità di vita politica e soffocò l’attività culturale, costringendo
all’emigrazione patrioti ed intellettuali.
In Inghilterra i moti francesi stimolarono la lotta
per la riforma parlamentare. Nel 1829, il governo tory ebbe un cedimento con
l’abolizione di alcune discriminazioni contro i cattolici, che fu un primo
passo verso il superamento della discriminazione religiosa. Da qui scattò un
grande entusiasmo presso le frange politiche avverse ai tory, cioè i liberali
del partito whig e i radicali. I radicali chiedevano il diritto di voto anche
per gli operai delle industrie e i lavoratori agricoli, mentre i whig si
limitavano ad esigere una ridistribuzione dei collegi che consentisse un’equa
rappresentazione dei ceti industriali e mercantili. Entrambi erano però uniti
nella lotta contro Wellington, capo del governo tory, che fu rovesciato dopo la
vittoria dei whigs nelle elezioni del 1830. Un’ulteriore resistenza da parte
della camera dei lords fu sbaragliata dalla pressione popolare e
dall’approvazione nel 1832 del Reforming Act.
In Svizzera, dove fino a quel momento il potere era
stato conservato da ristrette oligarchie, in seguito ad una serie di movimenti
insurrezionali scoppiati in quasi tutti i cantoni furono proclamate
costituzioni che sancivano la libertà politica dei cittadini.
Le rivoluzioni del 1830-31 furono l’ultimo episodio
della collaborazione fra liberali e democratici e del collegamento della
borghesia con movimenti insurrezionali popolari. Dove il potere fu conquistato
dai liberali, si abbandonò l’alleanza con i radicali e talvolta si giunse ad un
aperto conflitto. Nei paesi assolutistici, le differenze tra i metodi e gli
obiettivi di lotta degli uni e degli altri diventarono sempre più nette, dal
momento che i democratici continuarono a puntare sulla rivoluzione, mentre i
liberali si affidarono solamente alla pressione dell’opinione pubblica sui
governi, alla diplomazia ed all’appoggio degli Stati liberali.
L'azione di Giuseppe Mazzini dal '31 in poi: la
creazione e diffusione dell'idea nazionale
E' precisamente pochi mesi dopo l'elezione al trono di Sardegna di Carlo
Alberto di Savoia-Carignano, il 27 aprile 1831, che il Mazzini, dopo aver rivolto in una
celebre lettera il suo saluto ed espresso le sue aspettative e quelle di tutta
l'Italia al nuovo re, veniva organizzando e costituendo una nuova
organizzazione politica, la Giovine Italia, che, pur non ignorando le
esperienze settarie sia della Carboneria sia delle altre sette minori, si
riproponeva di raccogliere i patrioti più ardenti per riorganizzare con loro
l'opposizione politica all'Austria con nuovi mezzi e nuovi fini: si trattava di
propugnare l'idea unitaria e repubblicana, inauditamente progressista per
l'epoca. La grande fiammata del 1831, con l'episodio di Ciro Menotti, l'aveva tuttavia
costretto all'esilio, a Marsiglia, ma da quel luogo egli aveva in animo di
continuare con ogni mezzo la diffusione e la propaganda delle sue idee. E'
appunto lì che nasce la Giovine Italia.
E' indubbio che il grande merito storico di questo
movimento, tutto sorretto ed animato dalla grande personalità del suo
fondatore, sta nel fatto di avere contribuito in modo determinante alla
diffusione dell'idea di nazione negli strati liberali e progressisti, nel ceto
che aspirava alla libertà. L'idea di libertà, certo presente, ma ancora in modo
sovranazionale anche nei moti del '21 e nelle associazioni settarie, si
congiunge col Mazzini indissolubilmente all'idea di nazione. Basti ascoltare
queste istruzioni per gli affratellati, contenute negli scritti che venivano
messi a disposizione dei nuovi adepti: "La Giovine
Italia è la fratellanza degli Italiani in una legge di Progresso
e di Dovere, i quali - convinti che l'Italia è
chiamata ad essere Nazione, che può con proprie forze crearsi tale, che il mal
esito dei tentativi passati spetta, non alla debolezza, ma alla pessima
direzione degli elementi rivoluzionari, che il segreto della potenza è nella
costanza e nell'unità degli sforzi - consacrano, uniti in associazione, il
pensiero e l'azione al grande intento di restituire l'Italia in Nazione di
liberi ed uguali, una, indipendente, sovrana."
Non pare esagerato pertanto affermare con Rosario
Romeo, che
"...il mazzinianesimo riuscì a realizzare, su scala nazionale, il primo movimento autenticamente democratico".
L'intensa carica ideale della Giovine Italiasi concretizzò inizialmente
in alcune azioni rivoluzionarie, tutte però caratterizzate da clamorosi
fallimenti: il tentativo di far penetrare gli ideali politici del Mazzini
tra gli ufficiali e i sottufficiali dell'esercito sabaudo, per minare le basi
stesse del principio monarchico, fu la causa nell'aprile del '33 di una
spietata repressione militare che vide il sacrifizio di Jacopo Ruffini e le
fucilazioni, tra gli altri, di Andrea Vochieri, di Efisio Tola (da ricordare la
presenza tra gli esuli di Vincenzo Gioberti); per il '34 fu preparato un colpo
di mano in Savoia, che con l'invasione di quest'ultima e il contemporaneo
scoppio di un'insurrezione a Genova avrebbe dovuto far insorgere il Piemonte,
ma l'insurrezione fu pregiudicata sul nascere a causa, soprattutto,
dell'incompetenza del generale Ramorino. Questi insuccessi e la repressione
ordinata in Piemonte e nel Lombardo-Veneto avevano messo in crisi il Mazzini,
costretto all'esilio in Svizzera dove nell'aprile del '34 insieme ad esuli di
altre nazionalità fondò la Giovine Europa in cui proclamava che la
causa italiana doveva essere collegata strettamente a quella di tutti i popoli
d'Europa. Braccato dalle polizie, riparò a Londra dove sorse "L'Apostolato
Popolare", il foglio che gli consentì di penetrare più direttamente
tra il popolo e, soprattutto, pose per la prima volta il problema dell'adesione
dei ceti popolari alla futura rivoluzione italiana. La precedente crisi del
Mazzini legata al dubbio dell'inattuabilità delle sue idee:
"...mi si affacciò il dubbio: forse io errava e il mondo aveva
ragione.
Forse l'idea che io seguiva era un sogno..."
e l'azione di coloro tra i vecchi compagni che si muovevano in altre
direzioni, diedero inizio alla crisi del mazzinianesimo. Nel 1840 ricostituì la
Giovine Italia, la cui efficacia attiva era stata praticamente
annullata dalla raffica della reazione. Ma la costituzione di un'altra
associazione di affiliati rivoluzionari, come "La lega italica"
di Fabrizi, e il tentativo dei fratelli Bandiera, sebbene il Mazzini l'avesse
fortemente sconsigliato, entrambi d'ispirazione repubblicana e tragicamente
destinati al fallimento, contribuì a riaccendere le critiche nei confronti dei
metodi mazziniani e fornì nuovi argomenti alle polemiche di parte moderata
contro le strategie rivoluzionarie. Dunque acquistò importanza quella vasta
corrente di opinione politica che aveva due facce: il neoguelfismo di Gioberti
e il moderatismo di Balbo.
Dal romanticismo al neo-guelfismo: il "Primato" di Vincenzo
Gioberti
Nel secolo
decimonono, come noto, si sviluppò il Romanticismo: corrente culturale che
comportò la ripresa e l'esaltazione dei valori nazionali, tanto contestati nel
periodo illuminista. Si verificò, dunque, una rivalutazione del Medioevo e di
conseguenza della chiesa cattolica, vista come il possibile elemento
unificatore dei movimenti rivoluzionari nei paesi cattolici. Le opere
letterarie di vari intellettuali italiani, per esempio le tragedie del Manzoni,
le fantasie liriche del Berchet e le storie del Cesare Balbo e di Carlo Troya,
contribuirono a rivalutare quei secoli, in cui il guelfismo fu garanzia di
difesa e resistenza contro i prepotenti progetti di invasione da parte di
principi ed eserciti stranieri. A porre in ulteriore evidenza la ritrovata
funzione protettiva della chiesa vi fu la diffusa sfiducia verso i tentativi
rivoluzionari, le agitazioni settarie e le congiure mazziniane. Comunque anche
questa nuova religiosità, anche questo neo-guelfismo influenzato dall'attuale
clima storico della società europea si configurò in un nuovo cattolicesimo
ripensato con animo liberale. Personaggio simbolo di questa corrente di
pensiero fu il Gioberti, cui va riconosciuto il grande merito di aver saputo
lanciare al momento opportuno questo programma politico, che avrebbe permesso
di rompere il fronte della reazione in Italia ponendo la questione nazionale
sotto la bandiera papale. La sua opera principale "Il Primato
morale e civile degli italiani" del 1843 fu criticato da alcuni moderati,
tra i quali Cesare Balbo e Massimo d'Azeglio, ma soprattutto dai gesuiti che lo
accusavano giustamente di volersi servire della Chiesa per un fine politico ad
essa estraneo.
Aspetti di vita economica nel Lomardo-Veneto negli anni '15-48
Un'altra componente
sicuramente importante per meglio intendere le premesse ai moti del '48, è la
considerazione delle obiettive difficoltà dell'economia lombarda in particolare sotto il regio
imperial governo. In seguito alla caduta del predominio napoleonico in Europa e
in Italia, quest'ultima vide risorgere le barriere doganali tra i vari
principati in cui fu divisa nel 1814. In Italia nessuno fu capace di ribellarsi
all'Impero per raggiungere un'unità economica, come invece avvenne in Prussia,
e dunque i traffici commerciali furono notevolmente danneggiati. Il
Lombardo-Veneto si trovò nelle condizioni peggiori: oltre alle altissime
barriere doganali estere e al fatto che il sistema commerciale di quel Regno fu
"congegnato in modo tale da giovare all'economia austriaca e da eliminarvi
qualsiasi concorrenza da parte italiana", per qualche tempo fu diviso dal cordone
del Mincio e contò sul solo Po ventuno ricevitorie. Qualche modificazione
apportata dal governo austriaco a questo sistema tanto restrittivo, le
ricchezze di mezzi di comunicazione stradali e fluviali, la pace durata per
quasi un trentennio e la grande tenacia di operai e padroni portarono a un
notevole incremento dell'industria: in Lombardia ebbero grande importanza le
industrie seriche di Pavia e Como. Vanno ricordate anche l'industria del lino,
della lana, del cotone, insieme a quelle metallurgiche e siderurgiche, che
conobbero un periodo di regresso, da addebitare alla politica doganale
austriaca non favorevole all'importazione di ferro dall'Inghilterra, ma si
ripresero negli anni '40 per la costruzione dei primi tratti ferroviari della
Lombardia, oltre alle raffinerie di zucchero. I progressi furono comunque
parziali in quanto sotto il regime austriaco, a differenza di quello francese,
non vennero effettuati alcuni importanti investimenti in territorio lombardo,
nemmeno sfruttando le imposte ordinarie, a causa dell'instabilità finanziaria
dell'Impero.
I caratteri dell'economia lombarda
Per capire
meglio la situazione economica della Lombardia negli anni del ‘48 è utile
riprendere alcuni passaggi di un importante saggio scritto dallo studioso
americano K. R. Greenfield nel 1934 dal titolo Economia e Liberalismo
nel Risorgimento. Il movimento nazionale in Lombardia dal 1814 al 1848.
In esso l'autore ritiene molto importante la conoscenza della storia economica
e sociale della nostra regione, e non nasconde la sua sorpresa per il fatto che
di episodi apparentemente improvvisi come le Cinque Giornate di Milano "le
storie del Risorgimento non offrono alcuna spiegazione che non sia nei termini
di un idealismo esagerato, e alcun fondamento se non che in una serie di
episodi insurrezionali." Invece, a suo avviso, è impossibile cogliere le
autentiche premesse dei moti lombardi del '48 senza analizzare quel processo
fondamentalmente legato allo sviluppo di una embrionale borghesia capitalistica
in Lombardia nel periodo che costituisce la premessa storica del '48 milanese.
Contemporaneamente, però, il Greenfield riconosce che senza l'analisi del
processo che vide il diffondersi delle nuove idee nazionali ed unitarie
all'interno del ceto intellettuale cittadino, idee atte, fra l'altro, a
suscitare negli elementi più pensosi e più arditi l’immagine di una nuova e più
moderna Italia, capace di mettersi al passo col più progredito occidente
europeo, non si potrebbe arrivare a spiegare il fermento sfociato nelle cinque
giornate. L’embrione di borghesia capitalistica che si forma nelle regioni
economicamente più avanzate dell’Italia, e in Lombardia in primo luogo, prima
dell’unità, è il nucleo generatore di una società di tipo moderno, ma senza i
fermenti causati dalle grandi correnti di pensiero politico e civile, come
l'idea neo-guelfa e il credo unitario nazionale mazziniano, probabilmente la
miccia della protesta milanese non si sarebbe accesa.
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Si
può comunque dire che il complesso della vita agricola in Lombardia subì tra il
1814 e la metà del secolo una vera rivoluzione; gli industriali lombardi
vivevano in una Europa suddivisa dalle alte tariffe della Restaurazione ed erano accerchiati dal sistema
proibitivo dell’Austria. Nel 1848 si era già formata un’opinione pubblica
italiana che non avrebbe più potuto essere governata utilmente coi principi e
coi metodi dell'ancien régime, non tanto perché gli interessi
materiali della società italiana erano stati rivoluzionati, quanto perché al
pubblico era stata insegnata una nuova concezione di quegli interessi.
La
Lombardia alla vigilia del 1848 appare infatti già caratterizzata da un grado
piuttosto elevato di commercializzazione delle attività agrarie, anche se largo
rimane il settore dell’autoconsumo contadino. Un commercio estero di prodotti
agrari e materie prime piuttosto esteso, insieme ad una domanda interna che
rimane quella di dimensioni maggiori, anche se non ha avuto la medesima
funzione strategica della domanda estera nel determinare la ripresa economica
della regione, consente all’agricoltura lombarda di realizzare redditi monetari
che, accanto ad estesi reinvestimenti nella produzione agricola, danno l’avvio
alla formazione di "riserve di capitale", cioè di risparmio, che
appaiono considerevoli. Le prospere attività agricole e le connesse attività
commerciali consentivano a larghi settori dell’economia regionale un ritmo di
accumulazione discretamente sostenuto: ma la ristrettezza delle occasioni di
investimento determinava una vera e propria "strozzatura" che provocava
a sua volta un generale rallentamento del ritmo di accumulazione. Dovremo
attendere l’unità d’Italia per trovare favorevoli soluzioni sui mercati; un
esempio lo troviamo nello sviluppo della rete ferroviaria che permise al
commercio dei latticini della bassa di estendersi verso le regioni del centro
Italia. A loro volta i profitti derivanti dall’allargamento, si tradussero
nella formazione dei risparmi, che incoraggiarono la creazione di banche di
deposito e sconto.
I caratteri della
popolazione insorta
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Interessiamoci
ora più nel dettaglio delle cinque giornate milanesi e della gente che in
prima persona andò a combattere sulle barricate. Rifacendoci al registro
mortuario delle barricate ci pare opportuno evidenziare che su un totale di
duecentosessantuno persone registrate tra il 18 e il 23 marzo 1848, vi furono
duecentoventisei artigiani, tre contadini, otto commercianti, due
professionisti, due studenti, e ventotto donne. I ragazzi sotto i
vent’anni furono ventotto e gli uomini oltre i sessant’anni furono diciotto.
Per
esempio, nella foto qui di fianco, che, per motivi di spazio, abbiamo dovuto
mantenere molto piccola, vediamo un elenco di professioni, che ci ha fatto
riflettere. Come si vede abbiamo: un legatore, un domestico, una lavandaia, un
tessitore, un fruttivendolo, un mendicante, un tintore, un macellaio, ecc.
Sorge spontanea l'osservazione che tutti questi cittadini che sacrificarono la
loro vita per un ideale di libertà, erano proprio quello che comunemente
si chiama popolo.
Si
può segnalare il fatto che nel documento "recenti notizie pervenute
col mezzo del pallone aerostatico del 22 marzo ore 10 antimeridiane" si fa
un generico riferimento ai cittadini quali
individui che "hanno occupato l'interno della città sino al
Castello" e che quindi tutti i rappresentanti delle diverse classi
sociali fossero considerati come un unico corpo compatto. Analizzando bene,
però, i dati sopra riportati, pur ribadendo che borghesi e popolani
combatterono fianco a fianco sulle barricate contro il contingente austriaco,
forte di quindicimila uomini comandati dal maresciallo Radetzky, furono
soprattutto gli operai e gli artigiani a sostenere il peso
fisico degli scontri. Conferma una sostanziale unità di azione fra i diversi
ceti anche la lettura di un estratto di un documento letterario di Paolo Ranci
Ortigosa de Corte:
"il
ponte sul Naviglio fu sbarrato con un'alta e larga barricata in pietra formata
con lunghe e pesantissime lastre granitiche dei marciapiedi, che uomini e donne
di tutti i ceti maneggiavano in modo veramente fenomenale"
La
direzione delle operazioni fu assunta invece da un Consiglio di Guerra composto
prevalentemente da democratici e guidato da Carlo Cattaneo. Anche gli esponenti
dell'aristocrazia liberale finirono, dopo molte esitazioni, per appoggiare la
causa degli insorti e diedero vita il 22 marzo a un Governo provvisorio. A questo proposito
segnalerei che i componenti di questo governo erano per lo più conti o
rappresentanti dei comuni lombardi, cioè aristocratici o borghesi. E ancora: da
chi costoro trassero la forza, ma anche lo "indottrinamento" per
salire sulle barricate? Forse una parziale risposta a questa domanda
viene anche dalla sezione sulla musica che segue.
Il ruolo dei contadini lombardi
Nonostante che
i contadini svilupparono un moto di protesta soprattutto nei mesi seguenti alle
cinque giornate, ci pare opportuno segnalare anche il loro ruolo in quei
momenti di grande fermento della società lombarda. In particolare può essere
interessante notare la diversità di toni che si può rilevare in due diversi
documenti. Nel manifesto politico del governo provvisorio, di cui Gabrio Casati era presidente, pubblicato il 12
aprile 1848, si legge fra l'altro:
"[...] Un popolo rigenerato nel sangue suo, sparso in un’eroica battaglia di cinque giorni, da lui combattuta con armi disegualissime contro un esercito numeroso e preparato di lunga mano, può fidamente presentarsi all’Europa senza superbia e senza viltà [...] noi abbiamo il diritto inalienabile che tutti i popoli hanno d’esistere da sé e d’essere padroni del suolo della patria: abbiamo il diritto d’essere Lombardi, non solo, ma Italiani."
Abbiamo colto in queste parole il linguaggio
piuttosto carico di intensità retorica, che bene si inquadra col ruolo che il
patriziato milanese ebbe nel sostenere la causa patriottica e liberale.
|
Che, d'altronde, fosse fatta propaganda da parte
dei rivoluzionari insorti verso le campagne, risulta ben chiaro da questo
interessante volantino. La nota manoscritta in calce al medesimo, recita:
"Veniva messo sugli aerostati lanciati da Milano durante le cinque
giornate". Ci pare un eloquente esempio di quella momentanea unità
d'intenti fra la popolazione cittadina e la campagna contadina. |
Alquanto diverso suona invece il punto di vista di un
contadino, che medita sulla annessione della Lombardia al Piemonte, e che
appare caratterizzato fortemente da una viva ostilità alla generica categoria
dei "ricchi":
"Se i ricchi, che già ci stringono i panni
addosso negli affitti, avranno altresì il diritto di far leggi, potranno
stringerceli addosso ancora più arbitrariamente ed impunemente: ci convien
nominare un re, il quale, dettando le leggi e facendole rispettare protegga un
pochino i nostri interessi e metta argine alla cupidigia dei ricchi."
Le masse dei contadini si muovevano più per necessità
contingenti che in virtù di ideali, e le loro richieste erano generalmente di
carattere pratico; per esempio in Valtellina cercavano di riprendere i beni
comunali fondiari, che erano stati loro tolti e messi in vendita. E si potrebbe
affermare che non avessero alcuna coscienza di classe e che il loro unico credo
comune fosse l’odio contro i signori. All'indomani dell'espulsione austriaca,
dopo le cinque giornate, i governi provvisori di Milano
e delle province avevano adottato qualche provvedimento per alleggerire le loro
condizioni, quali il ribasso del prezzo del sale, l’annullamento dei processi
pendenti per motivi politici, l’abolizione del bollo. Ma queste misure non
erano tanto il frutto di una politica seria improntata a rendere più umana la
condizione di vita delle campagne, quanto misure demagogiche per assicurarsene
l’appoggio. Ma anche in quel frangente non fu data loro piena soddisfazione:
non furono abolite due fra le tasse più odiate: il testatico (la tassa sulla
persona) e le decime da pagare ai parroci. Ed in seguito il disagio economico
aumentò, per la crisi dell’industria serica, la diminuzione dei prezzi dei
prodotti agricoli e le requisizioni di derrate fatti dagli eserciti. Questa
linea di condotta del Governo Provvisorio accresceva il disagio economico e
esasperava il fermento dei contadini.
Nonostante questo avverso trattamento loro riservato
dai moderati, i contadini hanno reazioni varie ed anche opposte verso i moti
rivoluzionari: da una parte caldeggiano la lotta antiaustriaca, dall'altra si
rivelano ostili alla leva e alla guerra. Questa contraddizione è dovuta anche
alla loro dispersione e alla mancanza di una direzione, ma soprattutto al fatto
che il loro odio era contro i signori qualunque fossero, austriaci o
lombardi. I contadini dimostrarono con più segni di aver cominciato a
comprendere che le loro sorti non si identificavano con quelle della monarchia
asburgica, che la loro causa era ben distinta da quella austriaca e che, se i
nobili e i signori erano loro nemici, non per questo necessariamente i
"tedeschi" erano loro amici. Ricordiamo inoltre che la partecipazione
contadina alla lotta contro l’Austria fu volutamente impedita o limitata dai
grandi proprietari terrieri; i moderati esercitavano una cosciente funzione di
freno alla lotta e alla partecipazione delle campagne perché temevano che
questo intervento delle masse popolari potesse condurre a forme di anarchia
Il congresso di Vienna (1 novembre
1814 - 9 giugno 1815) ha costituito lo sforzo concreto dei rappresentanti delle
grandi potenze di ridisegnare il profilo geo-politico dell’Europa. Pur essendo
gli interessi di ciascuno stato diversi, esisteva un fine comune: la
restaurazione monarchica, favorita dalla costruzione di un equilibrato sistema
degli stati che consentisse una pace stabile. Si strinsero così a questo scopo
alleanze, si cercò di consolidare il potere dell’aristocrazia terriera,
accompagnando ciò ad una restaurazione ideologica, costituita principalmente
dal legittimismo (che sanzionava la sovranità per diritto divino) e il
tradizionalismo (che affermava l’esistenza di un ordine gerarchico
immodificabile). Tuttavia questo nuovo equilibrio appariva instabile: erano
occorsi, infatti, ingenti cambiamenti, fra i quali la presenza di nuove energie
politiche (terzo stato e il nascente proletariato), più consapevoli del loro
ruolo e il processo di industrializzazione in corso, che vedeva l’Inghilterra,
sempre più forte sul piano economico e commerciale, mettere in discussione i
rapporti di forza fra le potenze.
A Vienna in quei mesi si
riuniscono i rappresentanti delle monarchie europee, i quali, da principali
protagonisti di un improbabile viaggio indietro nel tempo nella speranza di
cancellare dalla scena l'importante parentesi napoleonica, erano sì accomunati
dall'intento di ripristinare il vecchio ordine, ma altrettanto divisi per
quanto riguarda le strategie e alcuni intenti che rimanevano profondamente
differenti.
Nella situazione creatasi,
l'Inghilterra, rappresentata da Lord Castlereagh mirava alla salvaguardia del
suo sviluppo industriale ed imperialistico, cercando di non prendersi
responsabilità dirette nel quadro europeo, quanto di limitare forme egemoniche
messe in atto da altri paesi. Particolarmente scomoda è per gli inglesi la
Russia, che si pone come la più intransigente delle potenze restauratrici ed
inoltre mira all'espansione nei Balcani e nel continente americano. Il vero
problema è che le forze dello Zar, fino a quel tempo basate sulle unità
militari terrestri, incominciarono l'allestimento di una flotta con una
conseguente espansione marittima di certo avversa alla potenza britannica, che
era da considerasi come vera e propria regina delle rotte commerciali marittime
mondiali. Gli inglesi infatti, oltre che a mantenere il controllo commerciale
sulle coste dell'Atlantico, continuavano la loro politica di espansione in
India e nel Sudest asiatico, ed ebbero come ricompensa per la sua lunga lotta
con la Francia numerose basi navali nel Mediterraneo, tra le quali Malta, e
lungo le rotte per l'Asia.
Era comunque interesse primario degli Inglesi impedire l'emergere di una nuova
nazione egemonica nell'Europa continentale, e ciò spiega il perché una nazione
di orientamento liberale abbia partecipato ad un riassetto di tipo
conservatore.
Tra il ristretto numero di
rappresentanti che presero le reali decisioni, riuscì ad inserirsi anche
l'abilissimo rappresentante della sconfitta Francia, Talleyrand, che era stato
vescovo prima della rivoluzione, poi deputato nelle assemblee, stretto
collaboratore di Napoleone ed artefice del passaggio di potere dall'imperatore
a Luigi XVIII. Egli riuscì a far valere in difesa del suo paese il cosiddetto
principio di legittimità, in base al quale dovevano essere anzitutto restaurati
i diritti violati dalla rivoluzione, e dunque anche quelli dei Borbone, re di
Francia per diritto divino.
La Francia fu destinata ad un ridimensionamento del suo ruolo internazionale,
ma a rimanere intatta territorialmente, nonostante le pressioni operate dalla
Prussia per l'annessione dell'Alsazia e della Lorena. Infatti questo disegno
soddisfaceva a pieno i progetti su scala continentale del Congresso: si
limitava notevolmente la portata politica francese al fine di evitare un
ripetersi della supremazia del Paese come accaduto con il periodo napoleonico,
e nello stesso tempo si lasciava il regno di Luigi XVIII integro
territorialmente, sia per favorire il disegno di equilibrio delle potenze, sia
per non far passare la restaurazione della dinastia borbonica come una troppo
bruciante umiliazione, che avrebbe comportato un'immediata impopolarità del
nuovo sovrano; come ulteriore precauzione, fu creata una barriera protettiva ai
suoi confini, rafforzando gli Stati vicini, i Paesi Bassi, il regno di Sardegna
e la Prussia.
Scopo degli statisti riuniti a
Vienna era non solo quello di cancellare le conseguenze degli eventi rivoluzionari
accaduti negli ultimi venticinque anni, ma anche quello di rendere impossibile
il ripetersi di simili eventi, costruendo, mediante passaggi di intere regioni
da uno Stato all'altro, un equilibrio che fosse il più possibile solido e
duraturo.
Tali spostamenti comportarono comunque una certa razionalizzazione della
geografia europea, con la definitiva scomparsa del Sacro Romano Impero, vetusta
creatura politica presente sul panorama europeo dall'età Ottoniana e formato,
fino alla sua dissoluzione da parte di Napoleone nel 1806, da centinaia di
staterelli, sottoposti nominalmente all'autorità dell'imperatore, ma in realtà
praticamente indipendenti. Fu invece creata una Confederazione Germanica,
formata da 39 stati tedeschi, comprese la Prussia e l'Austria, e la presidenza
della quale spettava all'imperatore d'Austria.
La Russia si espanse verso occidente, inglobando buona parte della Polonia e la
Finlandia, mentre la Prussia annetteva la Sassonia ed una serie di territori
nella zona del Reno (Colonia, Treviri ed il bacino della Ruhr) e Spagna e
Portogallo si segnalavano come potenze coloniali in declino.
L'Austria invece rinunciava al Belgio ed al Lussemburgo, che formarono, insieme
all'Olanda, il regno dei Paesi Bassi, ottenendo in cambio il territorio
dell'ormai defunta Repubblica di Venezia, che fu unito alla Lombardia nel Regno
Lombardo-Veneto, e, grazie alle doti diplomatiche di Metternich consolidava la
sua posizione in Germania (considerata, al pari dell'Italia, solamente come
un'espressione geografica) e nel nostro Paese.
In Italia la situazione ritornò apparentemente allo status
quo ante, con la scomparsa però delle antiche repubbliche di Genova,
Venezia e Lucca ed un rafforzamento della presenza austriaca: il granduca di
Toscana Ferdinando III di Asburgo-Lorena, era infatti fratello di Francesco I
d'Austria, ed erano inoltre imparentati con la casa d'Austria anche Maria
Luisa, duchessa di Parma e Piacenza, e Francesco IV d'Asburgo-Este, duca di
Modena e Reggio, mentre essa controllava direttamente Lombardo-Veneto, il
Trentino, Trieste e parte dell'Istria.
Il regno di Napoli fu restituito a Francesco I di Borbone, che si legò con un
trattato di alleanza militare all'impero, mentre anche lo Stato Pontificio
accoglieva guarnigioni austriache.
L'unico stato italiano a mantenere una certa indipendenza fu il regno di Sardegna,
che ricevette alcuni territori della Savoia e la Liguria, e vide aumentare la
sua importanza come stato-cuscinetto nei riguardi della Francia
In questa situazione del quadro
europeo le principali potenze sono portate a rendere stabile e durevole la
conformazione politica del continente e stringono per questo patti e alleanze.
Il 15 settembre 1815 Russia, Prussia e Austria (più tardi aderirà anche la
Francia), stringono la Santa Alleanza, voluta dallo Zar Alessandro e basata su
criteri mistico-reazionari al fine di mantenere l'ordine assolutistico e
religioso e il principio dinastico. L'Alleanza firmata "in nome della
Santissima e Indivisibile Trinità", ha il principale obiettivo del
controllo e dove possibile della soppressione del movimento liberale europeo.
L'Inghilterra invece propone il patto segreto della Quadruplice Alleanza con
Russia, Prussia e Austria, il cui scopo è di scongiurare il ripetersi di un
nuovo periodo napoleonico e di istituzionalizzare il "concerto
europeo", ovvero la pratica di periodiche conferenze per il controllo
della situazione politica.
La storia ci ha dimostrato in
seguito come questa situazione non potesse essere concretamente durevole e come
non si potesse con un congresso eliminare la parentesi napoleonica. L'impero
costruito dal generale Bonaparte aveva contribuito ad una progressiva
interdipendenza politica ed economica del continente, che veniva ignorata dai
progetti delle grandi potenze, le quali volevano di fatto affiancare una
stagnante e retrograda conformazione politica con una dinamica situazione
industriale e finanziaria, che trovava i suoi principali centri in Inghilterra.
E' infatti la City di Londra il cuore delle transazioni finanziarie europee ed
è proprio dal mercato londinese che le potenze dovevano attingere i fondi per
far fronte ai propri impegni economici. La dottrina del libero scambio,
sostenuta dagli Inglesi fin dagli ultimi decenni del Settecento si presentava
vincente soprattutto considerando che la libertà di commercio era la principale
richiesta degli emergenti ceti imprenditoriali dell'intero continente.