COMMERCIO INTERNAZIONALE E NUOVE FORME DI INTERVENTO

dossier a cura dell'Associazione Ricerche Sette Nani - promosso dal CTM di Bolzano

versione provvisoria - primavera 1992


2. L'EVOLUZIONE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

di Pierpaolo Grippa e Alberto Mazzali

L'epoca delle grandi scoperte geografiche, con lo sviluppo della navigazione transoceanica, segna l'avvento dell'organizzazione del commercio internazionale in chiave moderna.

Alla formazione degli Stati nazionali in Europa Occidentale, dove i ceti mercantili influenzano sempre di piu` le scelte politiche fondamentali, si accompagna la costituzione e la crescita delle grandi compagnie commerciali e di navigazione che gestiscono in condizioni di monopolio lo sfruttamento dei territori d'oltremare, finanziando gli investimenti con i profitti conseguiti e con il risparmio raccolto internamente nei nascenti mercati finanziari della madrepatria.

La conquista dell'America centrale e meridionale da parte di spagnoli e portoghesi produce, nel giro di pochi decenni, l'estinzione di intere popolazioni indigene e la decimazione e sottomissione delle rimanenti. Si pone per i nuovi padroni il problema di reperire manodopera per lo sfruttamento delle risorse (specialmente miniere e piantagioni).

Sono i portoghesi, forti anche del consenso papale (Nicola V) ad iniziare la deportazione di schiavi dall'Africa, presto seguiti dai concorrenti spagnoli, francesi, inglesi ed olandesi.

Nasce cosi' il "commercio triangolare": schiavi verso le Americhe, materie prime verso l'Europa, manufatti (fra cui le armi necessarie ai negrieri ed ai loro "fornitori" locali) verso l'Africa.

Mentre le regioni temperate di nuova conquista diventano subito "colonie di popolamento" con l'immigrazione di europei, le zone tropicali si caratterizzano come "colonie di sfruttamento", la cui conduzione da parte degli europei e' finalizzata unicamente all'assoggettamento delle popolazioni indigene, al prelievo delle ricchezze naturali, allo sviluppo delle monocolture e allo sfruttamento estensivo della forza lavoro.

I secoli XVII e XVIII vedono affermarsi il commercio delle bevande tropicali (caffe', te', cacao) che entrano nelle abitudini dei ceti abbienti europei.

La seconda grande trasformazione del commercio internazionale si ha con la Rivoluzione Industriale in Europa, nel XIX secolo. L' industria manifatturiera richiede sempre piu` massicce importazioni di materie prime -in particolare, oltre ai prodotti minerari, aumenta l'import di fibre tessili attorno alla meta' del secolo; all'inizio del XX secolo l' avvento dell' automobile genera una nuova importante domanda di gomma naturale dalle zone tropicali di Asia orientale e Africa occidentale. La crescita generalizzata del reddito e l' avvio dell' espansione del mercato interno, oltre ad estendere il consumo di frutta e bevande tropicali, determina una relativa penuria di generi alimentari di base, che viene coperta con l' importazione di derrate (cereali, zucchero, carne) dalle Americhe e dall' Australia.

L' emergere di nuove potenze industriali, quali Stati Uniti e Germania in un primo momento, Giappone in seguito, determina la multilateralizzazione degli scambi (cioe' il superamento di schemi statici come quello del "commercio triangolare"), data la nuova posizione di importatori netti di materie prime che tali paesi assumono.

Il trend crescente dei flussi commerciali internazionali subisce una battuta d' arresto negli anni Trenta del nostro secolo a causa della grande depressione mondiale e del conseguente tracollo della domanda di importazioni, aggravato dal perseguimento di politiche protezionistiche da parte delle stesse potenze industriali.

La II guerra mondiale rappresenta l' occasione di una ripresa degli scambi anche se limitata alle aree strategiche controllate dalle varie potenze belligeranti.

All' avvicinarsi della fine del conflitto e quando si vanno ormai delineando sempre piu' chiaramente i nuovi rapporti di forza, si manifesta, negli Alleati, la preoccupazione di assicurare al commercio internazionale uno svolgimento piu' ordinato e solido di quello sperimentato fra le due guerre. Tale preoccupazione si concretizza negli accordi di Bretton Woods (1944) con cui i paesi firmatari, oltre a costituire il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, dettano le regole del gioco che, da questo momento fino all' inizio degli anni '70, saranno alla base del nuovo sistema internazionale dei pagamenti, completamente centrato sul dollaro.

I traffici commerciali possono cosi' riprendere su grande scala, evolvendosi pero' verso un sempre maggior ruolo dei prodotti manufatti rispetto alle materie prime, soprattutto in termini di valore.

Dal dopoguerra fino alla fine degli anni '60 il peso di queste ultime diminuisce costantemente per una serie di cause: lo sviluppo di prodotti sostitutivi grazie soprattutto ai progressi della petrolchimica, il minor impiego generalizzato di beni primari nei processi produttivi connesso allo sviluppo tecnologico, il costante calo dei prezzi delle materie prime in termini di beni manufatti che, a parita' di volumi, comporta una riduzione del valore delle prime rispetto ai secondi.

Gli anni '60 vedono la maggior parte delle colonie raggiungere l' indipendenza politica, ferma restando la loro stretta dipendenza dall' export di prodotti agricoli, specialmente in direzione dell' ex-metropoli.

Il tipo di sfruttamento impostato a suo tempo dalle potenze coloniali si mantiene sostanzialmente inalterato. Non si modifica quindi uno dei meccanismi che sono alla base del sottosviluppo e che puo' essere schematizzato mediante un circolo vizioso articolato in piu' fasi: concentrazione degli investimenti nelle zone piu' avanzate (poli di sviluppo, generalmente avulsi dal contesto economico del paese), esodo di manodopera verso tali zone, ulteriore incentivo ad espandervi le attivita' orientate all' esportazione (piantagioni, miniere), accelerazione dell' esodo rurale e aggravamento del ritardo nelle zone interne, a prevalente economia tradizionale, ulteriore disincentivo ad investire in queste ultime, quindi concentrazione di investimenti nelle zone piu' avanzate e conseguente approfondimento del circolo vizioso del sottosviluppo.

Nei paesi di piu' antica indipendenza, come quelli dell' America Latina, si assiste nello stesso periodo ad un tentativo di affrancamento dalla dipendenza economica attraverso un insieme di politiche orientate alla sostituzione delle importazioni, con il fine ultimo di diversificare le esportazioni.

La riuscita di tali politiche dipendeva dalla capacita', da parte dei singoli stati, di proteggere la nascente industria nazionale dall' agguerrita concorrenza delle imprese dei paesi avanzati, almeno per il tempo necessario a raggiungere un piu' elevato livello di competitivita' sui mercati internazionali. Una serie di fattori determino' il fallimento di tali politiche, al di la' di alcuni successi iniziali: la concentrazione dello sforzo sulle produzioni ad alto contenuto tecnologico, che impongono un elevato fabbisogno di beni capitali, per il cui acquisto si rende necessario mantenere la struttura economica tradizionale basata sull' export di materie prime, fonte di entrate valutarie; la scarsa incidenza della classe media e lo scarso potere d' acquisto delle grandi masse lavoratrici, che rendono esile il mercato interno privando, cosi', le imprese di un efficace sbocco interno alla produzione; i consumi delle classi egemoni che, impostati sui modelli dominanti nell' Occidente industrializzato, si rivolgono prevalentemente ai prodotti importati, pesando sensibilmente sulla bilancia dei pagamenti.

La protezione tariffaria inizialmente garantita dallo stato all' industria nazionale diventa un vero e proprio ombrello sotto al quale fioriscono rendite parassitarie e prende forma quel sistema clientelare-assistenzialistico che contribuisce a soffocare l' emergere di una compiuta democrazia economica. L' esito finale e', anche in questo caso, il perpetuarsi di un circolo vizioso del sottosviluppo scarsamente compensato dai progressi compiuti nei poli di industrializzazione. Rimangono percio' sostanzialmente immutate le relazioni commerciali fra questi paesi ed il Nord del mondo.

Nei primi anni '70 si determina un considerevole aumento dei prezzi delle materie prime. Per alcune (fra le quali zucchero, cotone, lana) si tratta della reazione ai livelli particolarmente depressi degli anni '60; per i cereali e' determinante la crisi produttiva del '72-'73, mentre per altri prodotti (specialmente metalli) la forte ripresa dell' attivita' industriale nei paesi OCSE contribuisce a creare condizioni di boom persistente nella domanda che si scontrano con una capacita' d' offerta inelastica nel breve e medio periodo. Infine, per quanto riguarda il petrolio, si assiste alla conquista di un qualche potere contrattuale da parte del cartello dei paesi produttori (Opec).

Il boom dei prezzi si esaurisce gia' nel 1975 e si ripetera', ma solo per alcuni prodotti, alla fine degli anni '70.

Le migliorate ragioni di scambio e la relativa rigidita' della domanda di questi prodotti (che quindi non puo' ridursi nell' immediato) influiscono positivamente sui conti esterni dei paesi produttori. E' questo il periodo in cui si delinea, anche in seno all' ONU, il progetto di creazione di un Nuovo Ordine Economico Internazionale.

La quota piu' consistente del potere d' acquisto a livello internazionale rimane comunque nelle mani dei Paesi industrializzati i quali, superata una fase di aggiustamento finanziario e di ristrutturazione industriale, possono tornare ad esercitare in pieno la loro influenza sui mercati mondiali. La ristrutturazione comporta anche la conversione dei sistemi produttivi verso tecnologie a minor consumo di energia e materie prime. La domanda di combustibili e di beni primari ne risulta indebolita, mentre la struttura economica dei paesi produttori permane dipendente da tali esportazioni, non avendo questi saputo o potuto attuare una diversificazione.

Il declino dei prezzi reali negli anni '80 discende da questo contesto oltre che dalle conseguenze della crisi debitoria.

Il consistente rialzo dei tassi d' interesse reale verificatosi a partire dal 1979 determina un aggravio del servizio del debito per i paesi in via di sviluppo fortemente indebitati, fino alla sospensione dei pagamenti da parte dei maggiori debitori (Messico, 1982).

Nell' intento di far riprendere il flusso dei pagamenti verso le grandi banche internazionali, pesantemente esposte, i paesi industrializzati attraverso il Fondo Monetario (depositario dei fondi per l' aggiustamento macroeconomico) reimpostano le politiche economiche dei debitori nel senso di una riallocazione delle risorse interne a favore dei settori esportatori e a danno delle attivita' piu' strettamente collegate al mercato nazionale. La concorrenza fra i vari paesi indebitati, tutti bisognosi di espandere il proprio export, conduce ad un ulteriore riduzione dei prezzi dei beni esportati rispetto a quelli importati (ragioni di scambio).

Esaminando l' andamento dei volumi delle esportazioni dal 1980 al 1990 (v. UNCTAD - Handbook Of International Trade and Development Statistics) e confrontandolo con quello delle importazioni, si osserva che a fronte di un aumento del 41% del volume di esportazioni dei Paesi gravemente indebitati (PGI) il volume delle importazioni si riduce del 18%, a testimonianza della nuova priorita' di destinazione (pagamento del servizio del debito) degli introiti valutari.

Nello stesso arco di tempo i paesi maggiormente industrializzati conseguono un aumento del 60% del volume delle importazioni con un incremento del 53% del volume dell' export, ed i paesi del Sud-Est asiatico vedono aumentare il proprio export del 162% e l' import del 138% grazie al dinamismo delle esportazioni di manufatti.

Passando all' analisi delle ragioni di scambio osserviamo un +11% a favore dei paesi industrializzati, un -25% per i PGI ed un -17% per i paesi del Sud e Sud-Est asiatico, che sconta pero' le performance meno "brillanti" di molti paesi del gruppo rispetto alle "4 tigri" (Taiwan, Corea del Sud, Singapore, Hong-Kong).
 

Osservando la struttura delle importazioni per paesi di origine e per gruppi merceologici, si osserva che i paesi sottosviluppati non OPEC perdono costantemente quote di mercato relativamente ai prodotti da esportazione tradizionali (alimentari, materie agricole per l' industria, minerali e metalli) fra il 1979 e il 1988.

La loro quota nel commercio mondiale di alimentari scende dal 30% nel 1970 al 25.9% nel 1988, di agro-industriali dal 27.6% al 20.3%, di minerali e metalli dal 29.3% al 23.1%. E' di immediata evidenza che il decremento della quota di mercato e' andata a vantaggio dei paesi sviluppati ad economia di mercato, che hanno visto crescere costantemente il loro peso relativo.

Disaggregando per grandi regioni osserviamo che la riduzione delle quote di mercato fra 1970 e 1988 per America Latina ed Africa e' stata, rispettivamente, del 3.7% e 4.2% per gli alimentari, di 1.6% e 4.2% per gli agro-industriali, di 2% e 5.7% per minerali e metalli.

Altro aspetto rilevante nel recente andamento delle quote di mercato e' la progressiva flessione dei paesi industrializzati per quanto riguarda le esportazioni di manufatti, che pero' e' andata completamente a beneficio dei paesi del Sud-Est asiatico, che hanno visto crescere la loro quota dal 3.3% al 12% nello stesso arco di tempo, a fronte di una sostanziale stazionarieta' dei paesi africani e di un lieve aumento (da 1% a 1.9%) per i paesi latino-americani.
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ultimo aggiornamento: 16 settembre 1997

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