Dossier sul debito estero dei paesi in via di sviluppo

a cura di ARSENA

Pubblicato nel 1991sul trimestrale "Notizie internazionali", edito dalla FIOM - CGIL


CRAXI A RAPPORTO AL PALAZZO DI VETRO

di Marco Saladini

(gennaio 1991)

E' giunta a compimento il 23 ottobre 1990 la missione che il segretario dell'Onu Xavier Perez de Cuellar aveva affidato a Bettino Craxi incaricandolo, nel dicembre del 1989, di studiare la crisi del debito estero dei Paesi in via di sviluppo (Pvs). La presentazione del rapporto definitivo alla sessione dell'Assemblea generale dell'Onu stata il punto di arrivo di un lungo lavorio di consultazioni ad alto livello con banchieri, capi di stato e di governo e responsabili delle varie organizzazioni internazionali. De Cuellar ha espresso riconoscimento per la missione compiuta ed ha confermato l'incarico di Craxi per un altro anno, estendendolo "in modo particolare alla ricerca di nuovi equilibri per consolidare la pace e la sicurezza nel mondo": un compito delicatissimo, anche se dai contorni ancora non ben definiti.

Il rapporto Craxi, il più recente di una serie di documenti commissionati ad esperti di grande prestigio, come Brandt o Bruntland, in genere ritenuti osservatori imparziali e capaci di criticare a fondo, senza pregiudizi, l'atteggiamento dei protagonisti, anche potenti. Ma, per esplicita ammissione di molti economisti e politici del sud del mondo, ascoltati al convegno organizzato dalla Campagna nord - sud a Roma il 16 e 17 ottobre proprio per discutere del rapporto Craxi, questi non riuscito a svolgere un ruolo simile, anzi si impegnato nella ricerca di soluzioni più tecniche che politiche, più vantaggiose per i creditori che per i debitori. Secondo Percy S. Mistry, docente ad Oxford, "il gruppo di esperti di Craxi non ha fatto i compiti"; per Yash Tandon, economista africano, "si tratta di un documento povero di contenuti, che rappresenta, come Craxi stesso ha tenuto a precisare all'inizio del suo intervento, una soluzione ai problemi dei banchieri, e non dei debitori".

Ma cosa ha proposto Craxi di tanto criticabile? Nel suo rapporto, confezionato con l'aiuto di un gruppo di esperti, ci si sofferma inizialmente sulle cause della crisi e poi si passa ad indicare le possibili linee d'azione. In questa seconda parte i Paesi indebitati vengono divisi in tre fasce di reddito medio pro capite, per ciascuna delle quali si prospettano specifiche vie d'uscita. Due gli strumenti principali: l'aumento dei crediti e degli aiuti pubblici e l'incentivazione, con misure fiscali e finanziarie, alla riduzione dei vecchi debiti ed all'erogazione di nuovi prestiti da parte delle grandi banche commerciali, alle quali i Pvs devono il 60% circa del debito totale. Le due manovre si attuerebbero poi in proporzioni diverse per ciascuna fascia, come gi avviene attualmente. Nel documento si ribadisce inoltre che l'approccio giusto quello "caso per caso", ovvero che non si dovrà trattare con gruppi di Pvs, ma con ciascuno di essi singolarmente. Si evita inoltre qualsiasi incoraggiamento ad azioni combinate tra Pvs, che ne aumenterebbero il potere contrattuale.

Tornando alle soluzioni proposte, per i Pvs al di sotto dei 500 $ pro capite di reddito medio annuo, il rapporto in particolare suggerisce che essi godano della cancellazione degli interessi sui prestiti ufficiali concessi da governi o, nei casi meno disperati, di una riduzione degli interessi, con la facoltà, per i Paesi che lo desiderassero, di destinare i pagamenti residui a fondi di sviluppo in moneta locale indicizzata, da usarsi per progetti ambientalistici, di formazione professionale o di sviluppo.

Più in generale, si può dire che dal punto di vista delle tecniche finanziarie suggerite il rapporto propone l'uso combinato di tutti gli strumenti conosciuti in modi talvolta innovativi, pur se opinabili.

D'altronde non può darsi un'unica soluzione ad un problema trasversale come la crisi del debito, che ha fatto venire al pettine tutti i nodi di un'intera epoca di sottosviluppo ed anche per questo uno dei meriti del rapporto Craxi proprio di tentare un approccio articolato. Inoltre esso afferma che la pace e la stabilità del mondo intero dipendono da un incremento degli sforzi dei Paesi industrializzati per assicurare ai Pvs una nuova fase di crescita economica: sarebbe difficile sottovalutare la portata di una simile osservazione.

Ma nel documento non viene dato il giusto peso, come chiedono nel sud del mondo i movimenti popolari e nel nord le organizzazioni non governative di cooperazione allo sviluppo (Ong), all'esigenza di una crescita economica equilibrata, non solo quantitativa ma anche qualitativa, non solo rispettosa dei diritti umani e dell'ambiente, ma anche dei diritti economici e sociali delle popolazioni del Terzo mondo. In altri termini Craxi sembra non aver affrontato, con la stessa decisione profusa nel delineare soluzioni tecniche, il tema dell'attuale modello di sviluppo dei Pvs, di cui il debito estero parte integrante.

Se si eccettua lo spazio dedicato all'analisi delle cause della crisi, in cui inusitatamente si ammettono alcune responsabilità dei creditori, la filosofia che il rapporto consiglia ai Pvs di adottare per porre fine alla loro crisi economica non molto originale. Rassomiglia a quella propagandata dal Fmi e dalla Banca mondiale per decenni e contenuta da ultimo anche nei "Piani di aggiustamento strutturale", la cui accettazione un requisito indispensabile per continuare a ricevere denaro dai Paesi industrializzati.

Vediamo qualche aspetto particolare del documento.

Il rapporto si sofferma poco sulla spinosa questione delle politiche commerciali ed accenna solo alle due ipotesi di liberalizzazione totale e di creazione di aree di scambio regionali, propendendo nettamente per la seconda. Il centro del discorso che occorre lasciare mano libera agli Usa nelle Americhe, alla Cee nell'est europeo, ai Paesi Opec in Africa, al Giappone in Asia. Alle potenze emergenti, in nome dell'integrazione tra nord e sud, si vuol assegnare uno "spazio vitale" dove poter esercitare la propria egemonia sia produttivo/commerciale che finanziaria, quest'ultima attraverso le banche e le agenzie regionali di sviluppo, gi esistenti o da crearsi. In pratica, si ripropone il principio di spartizione del mondo in aree di influenza, esplicitato a Yalta nel 1944, stavolta più che altro sotto il profilo economico.

La più volte invocata "nuova costituzione finanziaria internazionale", sorta di codice di condotta per i prestiti concessi da Istituzioni finanziarie internazionali (Ifi) e governi, potrebbe svolgere un importante ruolo di orientamento dei mercati valutari e finanziari. Le misure suggerite mirano a rendere i crediti concessi più trasparenti ed a togliere di mezzo lo stato come garante di ultima istanza, collegando il rimborso dei finanziamenti concessi per investimenti produttivi ai proventi di specifiche imprese. Se invece i prestiti vengono impiegati in progetti non finanziariamente redditizi, l'unica via, secondo il rapporto, può essere quella di finanziamenti a tasso estremamente basso, o "concessionale". E' evidente che debitori e creditori verrebbero cos privati di parte della propria capacita di manovra, e si potrebbero distinguere meglio i prestiti per motivi politici e strategici dagli investimenti veri e propri.

Stante l'attuale importanza del posto occupato dal credito privato non si può dire che la proposta risolva granché; impedire che il denaro pubblico scorra liberamente nelle casse dei governi dei Pvs senza poi essere rimborsato resterà, per diversi motivi, una pia illusione, mentre sui mercati finanziari internazionali considerazioni economiche e politiche continueranno ad andare tranquillamente a braccetto. Lo dimostrano i numerosi casi di Paesi non in linea con le direttive di Washington che sono stati, nonostante le possibilità di investimenti remunerativi, disertati da banchieri ed industriali occidentali. In quest'ottica si inserisce la proposta di una super agenzia internazionale per il debito, o di un potenziamento delle Ifi gi esistenti. Si tratta in entrambi i casi di un tentativo di rafforzare il controllo dei governi dei Paesi occidentali sulle economie dei Pvs, il che sembrerebbe costituire la contropartita, in un certo senso, della richiesta ai primi di un impegno maggiore. Ad Ifi sempre più forti sarebbe affidata la gestione di decine di piani Brady, studiati caso per caso in maniera da imporre "risanamento" e "pagamento", in termini reali o finanziari, ai Pvs.

Un discorso a parte meritano gli investimenti diretti, attraverso operazioni di scambio debito - azioni (debt for equity swaps). Da più parti si detto, portando ad esempio il caso del Messico in cui questo schema stato largamente applicato, che su tali investimenti guadagnano sia le banche venditrici, che liquidano un credito magari inesigibile ad un valore più alto di quello del mercato secondario, anche se in titoli o valuta locale e non in mezzi liquidi; sia le imprese che investono, per via dei bassi corsi delle valute dei Pvs indotti dalla crisi debitoria.

Se dal lato dei trasferimenti di tecnologie gli investimenti esteri appaiono come uno dei pochi modi attualmente possibili per incentivare la modernizzazione dei Pvs, dal lato delle scelte di politica economica un loro drastico aumento, nelle forme, pure suggerite insistentemente dal rapporto Craxi, dello scambio debito - azioni, comporterebbe una nuova svendita del potenziale produttivo faticosamente creato, a suo tempo, anche grazie ai prestiti. Si vuole spingere i Pvs verso l'internazionalizzazione con uno schema che rassomiglia molto ad un'escussione ipotecaria, non pattuita al momento della concessione del credito, ma poi di fatto messa in pratica; schema che rientra in pieno nel più generale tentativo di "nazionalizzare" il cosiddetto "debito sovrano". In altri termini si cerca di sottoporre i debiti dei governi, sovrani e quindi spesso debitori riottosi, alle rispettive norme nazionali, il che equivale a dotarli di garanzie legali molto più salde e in definitiva ci avvantaggia la posizione dei creditori.

Per quanto riguarda l'aumento degli aiuti ai Pvs evidente che, nonostante i benefici effetti che ci potrebbe avere sui destinatari, si tratta pur sempre di una forma indiretta di finanziamento delle stesse banche ed imprese del nord, stante l'attuale situazione di trasferimenti netti a favore dei Paesi occidentali, di svalutazione generalizzata delle loro monete e di peggioramento delle ragioni di scambio. Gli aiuti non possono sostituire il mancato aumento del commercio a causa della crisi debitoria, ma ne sono solo un pallido surrogato, soggetto alle variazioni d'umore dei donatori e quindi fattore troppo instabile di crescita. D'altra parte, in mancanza di una condizionalità corretta, sia dal punto di vista economico che ecologico, gli aiuti rischiano di produrre benefici limitati ad una categoria ristretta di abitanti dei Pvs. Inoltre i buoni propositi di aumento degli aiuti pubblici fino allo 0,70% del Pil dei Paesi occidentali vengono ripetuti da decenni senza alcun esito. Craxi ne fa la chiave di volta delle sue proposte, rendendo molto fragile l'intera architettura.

Il rapporto pone come limite agli interventi di aggiustamento nei Pvs il rispetto dei diritti umani fondamentali, trascurando del tutto di approfondire la problematica dei diritti economici. In questo senso si fa sentire la mancanza di un collegamento logico, pure evidentissimo, tra soluzione della crisi debitoria ed aumento del livello di democrazia economica. La strategia di politica economica suggerita dal rapporto punta tutto sul ruolo dell'impresa privata nel processo di produzione ed accumulazione e non sul rafforzamento e la razionalizzazione dell'azione statale, sia anticiclica che redistributiva. Come il romanziere inglese dell'ottocento Charles Dickens, Craxi filantropicamente suggerisce di aiutare i poveri a non morire di fame; ma non accetta che la "transizione" al mercato ed al modello di sviluppo occidentale, tema su cui si insiste nel rapporto, si arresti a causa loro.

Il rapporto manca di dare una risposta precisa al problema, centrale parlando di debito, del tasso d'interesse internazionale, preferendo affidarne la soluzione al mercato finanziario.

Le banche creditrici vengono, più che obbligate ad assumersi le proprie responsabilità, incentivate a riprendere il proprio ruolo di motore dello sviluppo attraverso riduzioni dei vecchi crediti da un lato, e dall'altro incremento, attraverso varie misure, del coinvolgimento nella "nuova finanza"; ma non si osa domandare una regolamentazione delle loro attività di prestito internazionale.

La principale mossa che il rapporto suggerisce nei confronti dei creditori privati invece il potenziamento del piano Brady. L'idea di ridurre gli interessi fino al 50% sembra dettata dalla situazione di generale insolvenza dei principali debitori, che attualmente sono alle prese con problemi interni di aggiustamento macroeconomico particolarmente delicati, ed affrontati perlopiù secondo la strategia, suggerita dalle Ifi, monetaristica e liberistica. La recessione indotta da tali misure, se connessa ad un regolare pagamento degli interessi, rischia di far saltare i governi dei Paesi debitori. Le riduzioni non sono dunque un atto di liberalità ma una mossa necessaria, anche se non si sa quanto realizzabile.

In definitiva il rapporto propone un'uscita dalla crisi attraverso un ulteriore sforzo dei Pvs, fino ad ora impegnati a ripagare in valuta pregiata i propri debiti. Con una strana coincidenza temporale, nel momento in cui maggiore la convenienza a pagare i debiti in dollari, vista la svalutazione che tale moneta sta da qualche tempo subendo, Craxi propone ai Pvs di pagare in natura imponendo loro, con la "transizione" e la "nuova finanza", di dedicarsi alla produzione per l'esportazione e di aprire i propri mercati alla concorrenza estera.

Un altro degli intenti forse non espliciti ma che sembrano presenti quello di incoraggiare la formazione di una nuova e più moderna classe imprenditoriale nei Pvs, che riesca a gestire le relazioni con l'estero, e che soprattutto possa compiere quella rivoluzione borghese che ancora in molti di essi non s'è verificata, mettendo in moto le risorse esistenti ma improduttive e lo stesso processo di accumulazione.

Il rapporto Craxi, rispetto alle altre date in passato, prefigura una risposta alla crisi debitoria più sensibile ad alcune problematiche sociali ed ambientali; tiene anche conto, in una certa misura, degli ostacoli che necessario superare perché ciascuna parte in gioco si mobiliti. Ma non è sufficiente ad assicurare una soluzione equa. Non riesce cioè a cancellare l'impronta neocolonialista che conservano ancora i rapporti tra Paesi occidentali e Pvs. Il fatto che non vi si prefiguri nessun coinvolgimento attivo dei Pvs nella gestione della crisi debitoria, basterebbe da solo ad indicarne la sostanziale insufficienza.
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ultimo aggiornamento: 26 aprile 1997

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