Il matrimonio di Dora

 

“Ricordati figlia mia : gli uomini in casa danno solo fastidio!” ripeteva sempre mia madre quando ripensava alla sua. Nonna Milena  era  una donnina minuta, con due manine sottili e bianchissime che vibravano come due ali leggere. Da quelle  mani si riusciva a percepire ogni suo stato d’animo; da giovane sognava un futuro da concertista, ma il suo violino, in realtà era rimasto chiuso nella cassapanca fiorentina ad impolverarsi da tempo immemorabile,  come un qualsiasi cappello od oggetto che non si usa più. Nonna Milena aveva creduto ad un amore sbocciato all’improvviso nell’entusiasmo dei suoi vent’anni  ma solo troppo tardi si era resa conto di essere diventata  succube del proprio matrimonio, per cui sfogava la sua rassegnazione  impartendo lapidari consigli alle proprie figlie del tipo “gli uomini in casa danno solo fastidio!”.  Queste parole pronunciate in tono grave, mi rimbombano nel cervello come l’eco di un tamburo che non trova pace.

..... Arturo Cappelletti, un nome che mi fa ancora sorridere a trent’anni di distanza. Come appare tutto chiaro, adesso!  Il fato sovente, con noi,  si comporta da vero burlone, ci confonde, ci svia, ci disorienta.... Ed il bello è che dà vita,  proprio sotto i nostri occhi,  ad  illusioni che annebbiano la luce dell’intelletto, chimere destinate a svanire al leggero soffio di un sospetto. Ma noi,  immancabilmente,   cadiamo nelle sue crudeli trappole,  degne di un vero bracconiere di sentimenti, colmi di fiducia e buone intenzioni! E’ così difficile difendersi dai suoi giochi di prestigio! La vita conosce mille trucchi per rapirci il cuore e noi, ebbri di belle speranze, ci tuffiamo nel suo dorato calice fiduciosi nel domani... Cappelletti ... Chi l’avrebbe mai immaginato che sarei diventata la Signora Cappelletti! Me lo ricordo ancora Arturo il giorno in cui mio fratello Bruno ce lo presentò.  Poche parole: “Un mio compagno di corso” ed Arturo fece ingresso in casa nostra con quella sua aria da bravo ragazzo, così rassicurante....  Ad i miei genitori piacque subito questo giovanotto ben educato, dal sorriso sempre acceso e dai modi gentili. Che dire poi della sua carriera universitaria, uno dei migliori della facoltà,  un elemento di sicuro successo, un fiore all’occhiello del Prof. Grassi docente della cattedra di economia e commercio. Erano i mitici anni ’60 ed Arturo, impeccabile più che mai,  sembrava non accorgersi dei tumulti, delle contestazioni giovanili, dei capelli lunghi portati con rabbia e provocazione. Lui e la sua faccia da bravo ragazzo (alla fine capirete perché scindo i due concetti),  un giorno mi chiesero di fidanzarmi.  Cercate di immaginare il gaudio e la soddisfazione che provarono i miei familiari : “quello è un buon partito figlia mia, cerca di non fartelo scappare,  accetta e sarai felice!”, fu il consiglio  di mia madre.  Circondata e spinta da un simile entusiasmo, non esitai ed acconsentii. All’epoca i figli seguivano quasi sempre i consigli dei propri genitori ed io ero una figlia esemplare in questo, buona, ubbidiente e così di seguito.  Alla luce dei miei 50 anni posso certamente accusarmi di aver peccato di ingenuità e non una, ma mille volte…  Raccontata così la storia sembra che a me di Arturo non importasse nulla,  invece no, debbo dire che quel suo modo di essere così docile, le sue buone maniere, mi conquistarono molto prima di ricevere la fatidica “dichiarazione”, come si diceva allora.  Che dire di quello che accadde dopo, facile da immaginare: ad un mese dalla tesi di laurea, Arturo sfoggiava già un bel posto in banca ed una fiammante cinquecento celestina da far invidia alle mie compagne di liceo!  Anch’io presto mi diplomai e senza batter ciglio, dopo circa sei mesi, convolammo a giuste nozze. Per una strana coincidenza il giorno del mio matrimonio coincise con il pensionamento di mio padre, un traguardo sognato e raggiunto dopo quasi quarant’anni di onorato servizio come impiegato comunale.  Quel padre un tempo così autoritario e severo, a cui la mamma spesso allacciava e toglieva le scarpe, che riceveva ogni mattina il caffè a letto e che decretava sul da farsi, si trasformò ben presto in un maturo signore annoiato, pigro e, cosa ancor più grave:  pantofolaio. Mai avrei pensato di sorprenderlo indaffarato in cucina, alle prese con delle ricette tradizionali molto elaborate e tantomeno di vederlo conciato da brava massaia con il grembiule a fragoline rosse che avevo regalato alla mamma per Natale! Una trasformazione di questo tipo stupì fortemente mia madre, che oltre ad essere preoccupata, era anche parecchio seccata. Nelle mie visite giornaliere la vedevo sempre aggirarsi per la casa sbuffando e ripetendo ciclicamente :  “gli uomini in casa danno solo fastidio!”.

Così quella coppia che io avevo sempre creduto perfetta,  cominciò a scricchiolare, i lori bisticci erano i passatempi preferiti di mia nipote Annamaria; non si accorgevano che le cose che per loro erano di vitale importanza, agli occhi degli altri erano soltanto dei ridicoli ed infantili  capricci.  Ma ormai a quelle baruffe ci eravamo tutti abituati, loro continuavano a punzecchiarsi ed io continuavo a fare la buona moglie e la perfetta donna di casa.   Come angelo del focolare non ero niente male, in quattro anni avevo sfornato due figli: un maschio, Francesco, ed una femmina, Chiara.  Dapprima arrivò il maschio e decisi di dargli il nome del santo che tanto ammiravo, Arturo accettò di buon grado e quando arrivò anche la bambina, pensai all’angelica figura di S. Chiara ed il binomio fu presto fatto. Avevo ricomposto una delle coppie più celebri della storia, Arturo, come sempre, non si oppose e fu entusiasta quanto me anche di questa seconda scelta.  Il mio ménage familiare era il classico e tradizionale quadretto della famiglia modello, il nostro futuro sembrava già essere stato scritto per quanto era scontato.  Lo riassumo in breve :

Marito: funzionario di banca, sempre corretto, mai una parola o un gesto fuori luogo di fronte ai bambini

Natale: rigorosamente in famiglia

Pasqua e Pasquetta: con i piccoli in gita nelle più belle città della nostra penisola

Estate: naturalmente metà al mare e metà in montagna

L’anniversario di matrimonio: serata commemorativa, da trascorrere nel calore della nostra famigliola tra rievocazioni storiche circa il nostro fidanzamento come la rilettura dei bigliettini stile Prévert, che Arturo ed io ci scambiavamo, oppure con la rivisitazione di foto e filmini dei bambini. Il tutto condito e commentato da un sottofondo musicale stile anni ’60.

Compleanni : cena fredda culminante in un trionfo di panna e candeline  insieme a tutta la famiglia ed  agli amici più cari nel nostro salone addobbato a festa tra tartine ed elaborate delicatezze francesi, salate sia nel gusto che nel costo

I figli :  ubbidienti e bravi scolari, ora due affermati professionisti : Francesco medico specializzando cardiologo e Chiara assistente all’infanzia, entrambi  ormai con la loro vita, entrambi sposati da poco.

E tutto esattamente così fino ad oggi con una cadenza regolare ed armoniosa.

... Oggi, una giornata come tante, rientro dal mercato rionale, i soliti acquisti, come ogni venerdì ho comperato quei bei gamberoni rossi che trovo sempre al banco di Filippo e che ad Arturo piacciono tanto. E’ ancora presto,  fra un’oretta arriverà anche Assunta, soprannominata dai miei ragazzi “Naftalina”,  per l’inconfondibile “aroma tipo vecchio baule” che inonda quel corpo massiccio da donnona rustica e vigorosa.  Per me Assunta non rappresenta soltanto un aiuto nelle faccende domestiche, ma anche un simpatico elemento di conversazione, il suo modo di parlare (quasi sempre inframmezzato da vecchi proverbi in dialetto ciociaro) è unico e nello stesso tempo spassosissimo.  Mentre ripenso alla sua fragorosa risata ed al dondolio che compie il  suo pancione ad ogni sussulto,  mi avvio verso la cucina per prepararmi un caffè e depositare i gamberoni nel lavabo, come di consueto. Improvvisamente scorgo sul tavolo del tinello un foglio di carta fermato dal pesante posacenere di cristallo di Murano,  mi avvicino lentamente e, quando sono abbastanza vicina da riconoscere la calligrafica di Arturo,  lo afferro nervosa e comincio un’affannosa ricerca degli occhiali da lettura rovesciando la borsa e tutto il suo contenuto sul tavolo. Quando finalmente riesco ad inforcare gli occhiali sono  ansimante e  ghiacciata per l’emozione, cerco di ricomporre  il foglio che ho continuato a stringere tra le dita tremanti e che ora è tutto sgualcito e leggo: 

Cara Dora, perdonami, se puoi, e non odiarmi, non lo sopporterei, ti lascio definitivamente, ho trascorso con te anni di serenità e sottolineo serenità, perché la felicità vera l’ho conosciuta soltanto cinque anni fa : si chiama Isabelle, ed è una giovane bulgara che ho incontrato durante quel mio stage di lavoro a Torino. Tu penserai: siamo alle solite, è la vecchia storia del cinquantenne (quasi sessantenne) alle prese con la ventenne esuberante di turno ed alla ricerca di un pollo da spennare. Invece no, anche se ci separano ventisei anni (lei ne ha trenta) , tra di noi è vero amore.  Ti lascio e non lo dico per retorica, ma è per sempre, quando tu leggerai questa mia io sarò in viaggio verso l’Australia dove spero di poter costituire una piccola impresa commerciale che condurrò al  fianco di Isabelle. Per quanto riguarda il lato economico, ti lascio tutto ciò che è sul nostro conto corrente.  E’ giunto il momento di dirtelo:  io ho sempre tenuto, durante questi trent’anni, un mio conto speciale, sul quale ho depositato i frutti di operazioni finanziare che non ti sto qui a spiegare. Ai ragazzi non devi far sapere nulla perché ci ho già pensato io, facendogli recapitare  una lettera come questa. Ora ti debbo salutare, spero che da donna forte ed intelligente quale sei, tu riesca a fartene una ragione,  sei ancora giovane . Ti voglio bene.

Addio.

Arturo

Durante i secondi che sono trascorsi prima che riuscissi a leggere il contenuto di questo foglio,  ho immaginato per un attimo tutta una serie di probabili tragedie che avrebbe potuto investire la mia famiglia. Che Arturo si fosse arreso alla vita compiendo un gesto disperato in preda a chissà quale depressione dovuta al superlavoro, a qualche affare naufragato malamente,  o magari stanco di nascondere a se stesso ed agli altri di essere stato colpito da una grave malattia, avesse deciso di farla finita? Quante storie simili si leggono ogni giorno sui giornali ! Ma anche la vita ha due facce come ogni medaglia che si rispetti ed io, ingenua e fiduciosa come sempre, mi sono accontentata di conoscerne soltanto una, immaginando che l’altra non fosse altro che la bella copia della prima.   Incredibile, Arturo dalla doppia vita! Chi l’avrebbe mai detto! Bisogna ammettere che si è comportato da vero signore, quel “sei ancora giovane” ed il concetto di serenità distinto da quello di felicità, mi è piaciuto.  E’ strano,  dovrei disperarmi, strapparmi i capelli o forse scagliare contro le pareti  il  vaso di cristallo che Arturo mi ha regalato al ritorno da un suo viaggio a Vienna, ma siccome, nonostante tutto, quello resta ancora uno dei miei soprammobili preferiti, potrei scegliere di farlo con qualche altro pezzo di cristalleria, come da manuale! Dovrei manifestare la mia frustrazione di moglie tradita ed abbandonata dando libero sfogo  all’ira più feroce ed incontenibile... invece sono  qua, immobile, rigida e fredda come il marmo, bloccata di fronte a questo tavolo con in mano questa lettera che odora ancora del dopobarba  muschiato di Arturo.  Non ho parole, non ho sentimenti, la rabbia, il furore, la delusione,  forse si manifesteranno più tardi... adesso sono in uno  stato di assoluta apatia.  Un cognac, sì, un sorso di cognac per scuotermi ecco cosa ci vuole...  E mentre sorseggio questo liquore che mi ha sempre procurato dei forti accessi di tosse e che ora mi scivola giù quasi avessi la gola addormentata, penso.... Penso che adesso dopo trent’anni trascorsi nella prigione dorata che il mio caro Arturo mi ha costruito intorno (con il mio ignaro consenso), sono ritornata ad essere Dora, una persona,  non più oberata dal peso della famiglia, sganciata dal concetto di moglie-madre  un ibrido senza una vera personalità propria.  Non devo più recitare la parte della consorte discreta e sempre vicina, attenta ai desideri del proprio marito prima ancora dei suoi. Le idee, sotto il calore del cognac, mi si stanno sciogliendo lentamente una ad una ed ora mi appaiono in fila indiana in attesa di essere compiute:

1.                   Meditare una vendetta crudele, precipitandomi al commissariato di zona per denunciare l’abbandono del tetto coniugale e perseguitare Arturo (ninfetta compresa) legalmente, attaccandolo a colpi di carte bollate e codicilli? No, troppo macchinoso per  i miei gusti, la  vendetta va consumata con lenta freddezza, ma questo tipo di vendetta potrebbe risultare troppo lenta e non di sicuro successo.

2.                   Ingaggiare un investigatore privato di provata esperienza e sguinzagliarlo sulle tracce del fedifrago? Nemmeno questa mi appare come una rivalsa appagante, non sopporterei la vista delle istantanee scattate furtivamente ai due fuggitivi, magari in teneri atteggiamenti. Sarebbe troppo umiliante e soprattutto costoso.

3.                  Rifarmi del torto subito consolandomi tra le braccia di Enrico Conti, un collega di Arturo e da vent’anni mio discreto ed ostinato corteggiatore. Folle idea, dice una nota canzone, sarò mica diventata stupida? E’ meschino e perverso servirsi dei sentimenti di qualcuno per placare la propria sete di vendetta. I miei principi morali non me lo consentono, il solo pensiero di quello che direbbero poi i miei figli, mi invita ad abbandonare questa scarsa via di riscossa.

Dico la verità, non saprei proprio come fronteggiare un corteggiatore che aspetta da vent’anni di vedere esauditi i suoi sogni amorosi, anche perché non sono mai stata una donna molto passionale. Chissà, forse è per questo che Arturo mi ha lasciata. Si era stancato di dividere i suoi giorni insieme ad una donna tiepida e sempre troppo occupata ad accudire la casa ed i figli. Monotona, sì, sarò stata sicuramente una compagna noiosa e scontata. Ehi Dora frena! Una vocetta dentro di me grida allarmata: ma sei matta? Stai dicendo che se Arturo sta pascolando altrove, è colpa tua? Eh no!  La mia coscienza ha ragione a riprendermi per la collottola ed a riportarmi sul binario giusto. Stavo già deviando in direzione depressione e autocommiserazione. Non è da me affogare nelle lacrime, dichiararmi derelitta e frequentare centri dove si guarisce dalla paura di vivere stendendosi su confortevoli lettini, vomitare odio e rancore addosso ad uno sconosciuto che, se non fosse pagato per farlo, preferirebbe stare magari mille miglia lontano! No. Non lo posso permettere, anzi, non lo devo permettere. Dora deve riscattarsi.  D’altronde ho sempre sognato di potermi dedicare ad attività del tutto nuove,  dare ampio spazio a quella vena di creatività che ho  soffocato per non trascurare i bisogni primari dei miei cari.  Magari ricominciando a dipingere, da giovane volevo iscrivermi alla facoltà di Belle Arti… Volevo, sì volevo, ma non l’ho fatto per seguire Arturo! Non ho mai pensato a come potrebbe essere stata la mia vita se avessi scelto di dare la priorità allo studio e non al matrimonio. Ho forse sbagliato tutto? Che idiozie! Mi dimentico di Francesco e Chiara. E’ così, non ho mai immaginato una vita diversa perché i miei figli hanno sempre rappresentato il massimo per me.  Ogni mamma direbbe lo stesso, lo so. Ma c’è una cosa che sono costretta ad affrontare subito ed è la collaborazione di Assunta, diventata ahimè, ormai superflua ed economicamente troppo pesante da sostenere. Con lo stipendio di Arturo conducevamo una vita senza problemi, ma da adesso in poi non potrò più contare su di lui e mi toccherà amministrare quel gruzzolo che mi ha “generosamente” destinato e del quale, sinceramente, non conosco l’entità. Non escludo la possibilità di dovermi cercare anche  un lavoro,  Arturo si  sarà  certamente  più    impegnato a rimpinguare il suo conto speciale ed a tralasciare quello di famiglia, oltretutto salassato dai due recenti matrimoni dei nostri figli. E’ ancora più doloroso pensare al denaro in questo momento già abbastanza difficile da accettare, ma che devo fare, forza e sangue freddo Dora, riuscirò a tirare avanti in un modo o nell’altro. Bisogna che Assunta riesca a capirmi e perdonarmi se dovrò fare a meno del suo prezioso aiuto. Sono sola e potrò provvedere personalmente alla casa, essere impegnata come casalinga a tempo pieno mi lascerà meno occasioni per rimuginare sulla fuga di Arturo. E poi. se diventerò nonna, un giorno, avrò di che preoccuparmi, mi si dilaterà l’orizzonte ed il futuro mi parrà più roseo e pieno di speranze. Ma c’è tempo ed ora nella mia mente fluttua leggiadro un nuovo concetto:

L i b e r t à     L i b e r t à      L i b e r t à      L i b e r t à      L i b e r t à      L i b e r t à

Inebriata dall’avventura rappresentata dalla nuova vita che mi attende, verso altro cognac visto che non mi fa più quel brutto effetto. Sì voglio annebbiare la vecchia Dora e dare spazio al nuovo essere che ...... Suona il telefono, sarà uno dei miei figli  che vorrà sentirmi, preoccupato per me, per il mio stato d’animo, timoroso che possa commettere qualche sciocchezza. Mi sembra di sentirli: “Povera mamma, così legata al papà, chissà quanto deve soffrire!”.  Macché figli miei, la vostra mamma è salda e pronta ad affrontare il domani sotto una nuova veste.  Uffa !  Il telefono continua a squillare, tanto non rispondo, saranno anche i fumi dell’alcool, ma per una volta concedetemela una vera sbronza, io che non ho mai ecceduto nella vita, che ho sempre trovato la giusta misura in tutto. Giuro che dopo stavolta, getterò via la bottiglia di cognac e con essa getterò via anche i gamberoni rossi di Filippo, li ho sempre odiati, il solo odore mi dà la nausea.  Ma  Arturo ne andava matto ed io, da buona mogliettina,  ecco che glieli cucinavo in tutte le salse! Povera stupida!.  Anzi  li butto subito tutti e due,  gamberoni e cognac,  non voglio che i miei figli mi credano un’alcoolizzata,  Arturo non merita tanto. Che sollievo pensare che non vedrò mio marito ridotto come mio padre ai suoi tempi, in pantofole, pigiama e grembiule tutto fronzoli a rovistare tra i fornelli! La tradizione si è interrotta, quella frase che mia nonna ripeteva a mia madre e mia madre a me, non ha più ragione d’essere. I tempi sono cambiati, il nuovo motto di famiglia è:  “Non fidatevi mai delle apparenze, una bella mela può nascondere il verme!”.

Fine

Arthemisia