Lo sviluppo normale nell’adolescenza e il breakdown dell’adolescente

Mary Target and Peter Fonagy





 

Questo intervento riguarderà una questione principale: perché il breakdown si presenta abbastanza spesso in adolescenza?

Una risposta a questa domanda è stata data offerta dai Laufers (Laufer & Laufer, 1984):

"Il crollo nel processo di sviluppo dell’adolescenza è la patologia, perché l’esito di un tale crollo può essere una relazione distorta con se stessi come esseri sessuati, una relazione passiva verso il genitore dello stesso sesso e la rinuncia al desiderio o alla capacità di lasciarsi la sessualità infantile alle spalle." (Laufer & Laufer, 1984, p. ix-x).

Tutti noi ricordiamo il ruolo centrale della sessualità nell’adolescenza, ma è ciò la causa del breakdown, o il breakdown è il risultato di disturbi precoci dello sviluppo, che si evidenziano a causa dell’intensificazione dei sentimenti sessuali?

Una delle prove che suggeriscono che si dovrebbe andare al di là della rivoluzione ormonale, è che la pubertà insorge sempre prima, mentre non tutti i disturbi dell’adolescente si presentano ad un'età così precoce.

Così sebbene i disturbi dell’alimentazione stiano aumentando di frequenza tra i giovanissimi, l’attività criminale e il suicidio non seguono la stessa tendenza (Smith, 1995).   Ciò suggerisce che gli indici di prevalenza rispecchiano pressioni più di tipo sociale che di tipo fisico.

L’immagine "dell’adolescente in fermento" è stata sostituita, negli anni ottanta e novanta, da un modello in cui vi è una sequenza di cambiamenti corporei, ciascuno dei quali potrebbe essere la causa scatenante di uno sconvolgimento emozionale.   Il modo in cui gli eventi biologici possano essere idiosincratici, dipende dal grado in cui gli specifici cambiamenti vengono percepiti dall’adolescente (Paikoff, 1991).

In questa relazione prenderemo in considerazione l’interazione di due processi di maturazione che possono essere centrali in diversi tipi di patologie nell’adolescenza.

Il primo processo è il salto al pensiero delle operazioni formali e la conseguente intensificazione della pressione per la comprensione interpersonale.   Ciò è normalmente pensato in termini biologici, ma nella nostra cornice di riferimento lo sviluppo del pensiero simbolico è correlato, durante l’infanzia, alla crescita emozionale nell’ambito delle relazioni di attaccamento.

Qui è dove si collega il secondo processo: la pressione che porta alla separazione dalle figure genitoriali e dalle loro rappresentazioni interne.

Noi suggeriamo che tale pressione possa rivelare fallimenti o debolezze nello sviluppo che, già presenti nelle fasi precoci della vita, possono essere state nascoste fino ad ora.

Più specificatamente proveremo a descrivere come alcuni disturbi dell’affettività possano essere pensati in termini di un'inadeguata consolidazione della capacità simbolica.

Noi crediamo, quindi, che il recente aumento della complessità cognitiva è ciò che può guidare, ma anche deviare, il raggiungimento della separazione.   Tale raggiungimento obbliga l’adolescente ad integrare pensieri sempre più numerosi e complessi riguardo ai propri ed altrui sentimenti e motivazioni.   Come conseguenza di ciò, vi è una ipersensibilità agli stati mentali che può sopraffare la capacità dell’adolescente nell’affrontare sia i pensieri che i sentimenti, a meno di una loro manifestazione in sintomi corporei o in azioni fisiche.   Sebbene questi adolescenti possano sembrare abbastanza abili nel parlare e nel pensare ai propri stati mentali, molte di tali idee astratte creano una considerevole tensione nel sistema dell’adolescente.   Questo può portare ad un breakdown apparentemente critico nella capacità di mentalizzare, al ritiro dal mondo sociale e all’intensificazione di ansia ed agiti.   La misura in cui questi cambiamenti portano a delle difficoltà a lungo termine, può dipendere, non solamente dalla solidità delle strutture psichiche dell’adolescente, ma anche dalla capacità dell’ambiente di supportare l’indebolimento della funzione di mentalizzazione nell’adolescente.   Naturalmente ciò è ulteriormente complicato dal fatto che l’adolescente può sottostimare la capacità dell’ambiente di supportarlo.




Teoria dello sviluppo del Sé

Il nostro riferimento teorico (Fonagy, 1996; Target, 1996; Fonagy, 2000) si basa sulla teoria dello sviluppo del Sé, che alcuni di voi conosceranno già.   Ciò che vi esporrò rappresenta il cuore di questa teoria:

  • il Sé psicologico è radicato nell’attribuzione degli stati mentali;
  • tale capacità emerge attraverso l’interazione con il caregiver per mezzo di un processo di rispecchiamento all’interno di una relazione di attaccamento.   L’esperienza interna raggiunge la capacità di rappresentazione di secondo ordine, mediante l’internalizzazione del rispecchiamento delle azioni del caregiver;
  • la rudimentale esperienza precoce del mondo interno consiste di due modalità che si alternano: la modalità di "equivalenza psichica" (dove realtà interna = realtà esterna) e la modalità del "far finta" (dove la realtà interna è sempre separata da quella esterna);
  • un’interazione sicura e giocosa con i caregiver porta all’integrazione di queste due modalità, ponendo le basi per la mentalizzazione;
  • nel caso di una cronica mancanza di sensibilità e sintonia con il caregiver, si crea un difetto nella costruzione del Sé, per cui il bambino è costretto ad internalizzare la rappresentazione dello stato mentale dell’oggetto come una parte centrale di se stesso;
  • nello sviluppo precoce, questo "Sé alieno" necessita di essere esternalizzato; quando la capacità di mentalizzare si sviluppa, il Sé alieno può essere maggiormente intessuto nel Sé creando un’illusione di coesione;
  • la disorganizzazione del Sé destabilizza le relazioni di attaccamento, creando un bisogno costante di identificazione proiettiva (a causa dell’esternalizzazione del Sé alieno) in ogni relazione di attaccamento;
  • il Sé alieno è presente in tutti noi, poiché l’essere trascurati momentaneamente è parte di un normale caregiving.   Il Sé alieno è nocivo quando le successive esperienze di trauma in famiglia o nel gruppo dei pari costringono il bambino a dissociarsi dal dolore, usando il Sé alieno per identificarsi con l’aggressore.   Quindi il Sé vuoto viene ad essere colonizzato dall’immagine dell’aggressore e il bambino fa esperienza di Sé come malvagio e mostruoso;
  • ciò porta rispettivamente a tre importanti cambiamenti:
    a) ad un ripudio della mentalizzazione in un contesto d’attaccamento,
    b) ad un disturbo del Sé psicologico causato dall’emergere di altri Sé al suo interno,
    c) ad una necessaria dipendenza fisica della presenza degli altri come veicolo per l’esternalizzazione;
  • una brutalizzazione nel contesto della relazione d’attaccamento genera intensa vergogna.   Quando a ciò si unisce una storia di trascuratezza nell’infanzia e una conseguente debolezza nella capacità di mentalizzazione, la vergogna diviene un fattore scatenante per la violenza, a causa dell’intensità dell’umiliazione esperita quando il trauma non può essere attenuato attraverso la mentalizzazione.   Una vergogna non mentalizzata viene vissuta come la distruzione del Sé, chiamata, da noi, "vergogna ego-distruttiva".
 



La separazione come compito primario dell’adolescente

 

Quindi, come può questo modello aiutarci a comprendere lo sviluppo normale e patologico dell’adolescenza?

Margaret Mahler considerò la separazione-individuazione come un graduale distacco dalla madre, per cui il passaggio dal funzionamento dipendente a quello indipendente si sviluppava all’interno del ciclo di vita come un processo più o meno continuo di distanziamento dall’introietto della madre simbiotica perduta.   Peter Blos (1979) estese il modello della Mahler, e identificò nella perdita dei legami d’oggetto infantili il cruciale cambiamento nell’adolescenza.   Egli sottolineò che l’individuazione potesse essere vista come un processo o come un’acquisizione, ma entrambi erano componenti costituenti il processo dell’adolescente.   Il modello della Mahler e la sua estensione nel lavoro di Peter Blos sono chiaramente correlati alla nostra formulazione teorica.   La madre simbiotica della Mahler è equivalente, a livello funzionale, alla nostra nozione di Sé alieno[1].

In adolescenza ciò significa che il Sé alieno, o madre simbiotica, non può più essere esternalizzato nella interazione con il caregiver.   Gli agiti e le manipolazioni necessarie a proiettare il Sé alieno nel genitore diventano quanto più drammatiche quanto più aumenta la separazione.   Questo fenomeno (come ad esempio il litigio con i genitori) può essere stato frainteso come uno sforzo di raggiungere un’identità indipendente finché l’adolescente non trovi un partner con cui ristabilire un rapporto simbiotico.   Comunque, nell’adolescenza esiste generalmente uno iato nell’esternalizzazione che crea un’enorme pressione per quegli adolescenti il cui Sé alieno non può essere integrato.

Erikson vede l’ottenimento dell’identità-Sé come precondizione del vero coinvolgimento (Erikson, 1968, p.167).   Questa enfasi preponderante posta sull’individuazione trascura, però, la sua controparte dialettica, l’attaccamento (Blatt, 1987; Blatt, 1990).   Una reale separazione implica un’abilità a riconoscere sia la differenza sia la somiglianza, e paradossalmente è quest’ultima piuttosto che la prima a essere un segno di autonomia.   La sfida all’identità nell’adolescenza non nasce dalla differenza, ma dalla somiglianza.   L’adolescente con un sicuro senso di connessione e somiglianza con il caregiver può sopportare la distanza fisica, mentre colui che abbia proiettato parti del Sé e percepisca il caregiver come completamente differente, sentirà di aver perso la sua identità qualora si separasse fisicamente da esso.   Conseguentemente, un’esagerata volontà di affermazione della propria differenza può essere vista come una risposta difensiva alla pressione verso una maggiore separazione, che metterà in pericolo il ritorno delle parti proiettate del Sé.

La coerenza interna e la separazione mentale di Sé e oggetto necessita della presenza fisica dell’altro.   L’adolescente, altrimenti, teme che il nucleo principale residuo del Sé venga sopraffatto, che egli perda il contatto con esso e che il suo senso di identità vada perso.

In accordo con Stern, noi non consideriamo la simbiosi parte di un normale stadio di sviluppo, mentre pensiamo alla madre simbiotica come ad una deviazione molto comune dallo sviluppo normale.

La separazione fisica è, dal nostro punto di vista, la più piccola tra le due sfide evolutive che ogni ragazzo deve affrontare nell’adolescenza.   La seconda sfida scaturisce dalla accresciuta coscienza della complessità emotiva e cognitiva, in modo preponderante nel contesto delle relazioni di attaccamento.   Nell’adolescenza lo sviluppo emotivo raggiunge un "nuovo gradino evolutivo" (Fischer, 1990) con la capacità del pensiero astratto.   Sia il riconoscimento, sia l’espressione dell’affetto acquistano una nuova dimensione e molti nuovi significati.   Per esempio, piuttosto che attribuire stati emotivi elementari, l’adolescente comincia a contemplare modalità sequenziali (scripts) di tipo adulto nel modo di reagire a situazioni emotive.   Sentimenti come la gelosia o il risentimento vengono elaborati in scenari.   Queste nuove capacità cognitive di astrazione ed elaborazione vengono mantenute in modo debole e velocemente invertite da stati emotivi stressanti generati dal processo evolutivo.   Questi fattori di stress spesso sono interni, ma a volte possono anche emergere da situazioni esterne schiaccianti come, ad esempio, la malattia mentale dei genitori.

Partendo dal concetto di reversibilità di Piaget, Thompson (Thompson, 1985, 1986) considera un affetto "irreversibile" quando il bambino non può immaginare altre reazioni nei confronti dell’oggetto o altri sentimenti diversi da quelli che esperisce al momento.   La reversibilità emerge gradualmente tra i sei e gli undici anni e la prima adolescenza.   Lentamente il bambino incomincia a chiedersi cosa possa essere necessario per non sentirsi come si sente, o per cambiare lo stato di sentimenti dell’oggetto Con le operazioni formali completamente a disposizione, il bambino incomincia a pensare ai principii generali, piuttosto che a situazioni specifiche, che possono spiegare o modificare le emozioni.   Tuttavia, i progressi nella capacità di pensiero astratto, che permettono all’adolescente di prendere distanza e controllare se stesso e gli altri, non sono necessariamente considerati come acquisizioni positive.   Per l’adolescente, che fa esperienza dei propri ed altrui sentimenti, il mondo è improvvisamente molto più complesso e ambiguo.   Di conseguenza, egli ha bisogno a volte di distanziarsi dalle interazioni, o dalla mentalizzazione in generale, allo scopo di prendersi una pausa dagli infiniti risvolti che possono avere le diverse motivazioni.

Per esempio, il figlio di una madre depressa può, a tre anni, percepire il fatto che sua madre resti a letto come una conseguenza del suo essere stato cattivo o noioso o non amabile.   A cinque anni, lo stesso bambino può arrivare a capire che il comportamento della madre possa riflette uno stato mentale (la depressione) che non necessariamente sia correlato ai sentimenti di quest’ultima nei confronti del figlio, ma possa essere del tutto indipendente.   A sette anni, il bambino può produrre una spiegazione contestuale, quale: "La mamma è depressa perché la sua mamma è morta quando il papà se ne è andato, e abbiamo appena appena abbastanza soldi e non ha amici." In ogni caso, dagli 11 anni molte nuove possibilità possono complicare la situazione, dipendenti dal fatto che gli stati emotivi non devono necessariamente essere quelli che appaiono e le persone possono scegliere come reagire ad essi.   È interessante notare che questo può riportare il bambino a una versione più sofisticata delle sue prime certezze: "Perchéla mamma non si alza e fa qualcosa, se sta così male? Se non ci fosse una ragione per cui le convenga restare a letto non continuerebbe a farlo così a lungo.   Ok, sta malissimo, ma potrebbe alzarsi e venire alla mia riunione insegnanti-genitori.   Se davvero mi amasse lo farebbe." Più avanti, la formulazione dell’adolescente potrebbe essere correlata alla depressione come risultato della perdita dell’amore o del conflitto, all’interno del matrimonio dei genitori, o in un contesto più egocentrico, alla delusione dei genitori nei suoi confronti.   Questi nuovi modi di pensare ai sentimenti e ai comportamenti delle persone, come pure ai suoi stessi sentimenti e comportamenti, possono essere schiaccianti e fanno sì che l’adolescente debba investire tempo ed energie per capirne le implicazioni.

I ragazzi si interessano ai videogiochi, navigare in Internet, ecc., mentre le ragazze possono sviluppare una passione per telenovelas stereotipate e romanzi romantici, nei quali le emozioni sono nuovamente presentate come semplici e intense.   Entrambi i sessi possono ritirarsi nella musica, in quell’apparente abnubilamento della mente.   L’intero processo evolutivo è fluido e dinamico, con capacità cognitive accresciute che generano mentalizzazioni arricchite, le quali, a loro volta, portano ad ansietà e/o preoccupazione.   Dal momento che questo stato pregiudica il pensiero astratto, l’adolescente può, in aggiunta al dedicarsi a volte in attività che non necessino il pensare, regredire nell’apparente sollievo di uno stato più spensierato dal punto di vista sociale.   Di conseguenza i genitori si arrabbiano perché l’adolescente, il quale è evidentemente capace di tenere in considerazione le altre persone ed immaginare le conseguenze delle proprie azioni, si comporta senza pensarci troppo in modo egoista e di proposito sconsiderato.

Nella seconda parte di questo intervento, descriveremo due casi, i quali in modi e gradi diversissimi di deterioramento della mentalizzazione, illustrano quella che noi consideriamo come la doppia sfida dell’adolescenza: le conseguenze potenzialmente disastrose della pulsione verso la separatezza, in un contesto di attaccamento sfavorevole, e la regressione in vista del salto in avanti nella mentalizzazione.




Il caso di Tony

Tony aveva quindici anni quando fu assegnato a un reparto psichiatrico residenziale per adolescenti.   I suoi genitori, insegnanti e psichiatri erano seriamente preoccupati per le esplicite e violente minacce che rivolgeva contro i suoi genitori, coetanei e insegnanti di sesso femminile.   Era stato ammesso dopo che aveva minacciato un altro ragazzo con un coltello.   Tony era un ragazzo scontroso, tarchiato come corporatura, che non parlava con gli operatori né con gli altri pazienti del reparto e se loro provavano a iniziare una conversazione lui di solito li guardava male e li attaccava con qualche frase aggressiva.

Tony era l’unico figlio di un uomo d’affari fallito e di un’ex insegnante.   I suoi scoppi di violenza improvvisi erano peggiorati negli ultimi sei mesi antecedenti l’ammissione al reparto per adolescenti; l’ammissione era avvenuta quando i genitori di Tony chiesero che lui fosse preso in carico dai servizi sociali.

La sua storia è simile a quella che di solito ha un adolescente violento, fatta eccezione per la relazione notevolmente stretta che Tony aveva avuto con sua madre, la quale era, almeno apparentemente, una tenera e affettuosa madre.   Nato dopo un lungo periodo in cui i suoi genitori pensavano di non poter avere bambini, era stato un bambino apprezzato oltre misura.   Sua madre abbandonò la sua promettente carriera (nell’amministrazione scolastica) in campo educativo per trascorrere tutto il suo tempo prendendosi cura del piccolo Tony.   La relazione tra loro era così intensa che il padre si sentiva spesso geloso e risentito nonostante avesse tanto voluto avere un figlio.   La madre insistette per alcuni anni a condividere la loro camera da letto con Tony, escludendo il padre, e fino a che Tony non ebbe dieci anni lei non usciva di sera con il marito perché non voleva affidare Tony a nessun altro.

Il padre di Tony non fu mai violento con il figlio; lo fu, però, nei confronti della moglie.   La frustazione negli affari e il suo sentirsi trascurato dalla madre di Tony lo indussero a diventare sempre più aggressivo, alzando la voce in modo minaccioso.   Lui picchiò occasionalmente la madre e anche lei rispose a questi attacchi con collera, discutendo con il marito riguardo al suo comportamento nei confronti del figlio.   Come ci si può aspettare, Tony era frequentemente la causa della collera del padre.   Il desiderio che la madre aveva di proteggere e compiacere Tony diventava occasione di derisione e minaccia di abbandono per il padre.   Tony spesso assisteva a tali dispute e venne riferito che, una volta cresciuto, aveva provato a fare da scudo alla madre e, quando divenne più grande, minacciò di uccidere suo padre se non l’avesse lasciata in pace.

Nel contempo Tony presentava dei problemi: soffrì di encopresi fino all’età di dieci anni, fece scarsi progressi scolastici alla primary school e fu deriso e preso di mira.   Alla secondary school divenne sempre più il ragazzo prepotente che terrorizzava l’intero cortile della scuola con i suoi scoppi imprevedibili di violenza e si presentava troppo difficile da contenere in classe dagli insegnanti.

Quando Tony fu ammesso al reparto per gli adolescenti, tutti lo temevano.   Rifiutò di riferire la sua storia allo psichiatra al momento del suo ingresso e parlava appena con gli infermieri o con gli altri pazienti.   Nessuno voleva condividere la stanza con lui.   Gli altri ragazzi lo evitavano e lo mettevano in ridicolo; venne difeso solo da una ragazza, Elaine, la quale, come lui, era scontrosa e isolata.   Dopo che Elaine si schierò dalla parte di Tony, loro due formarono una silenziosa amicizia fondata sull’odio nei confronti degli altri.   L’unica persona con cui Tony parlava un po’ era una giovane psicologa tirocinante alla quale era stato affidato il compito di testare le capacità psicologiche di Tony.   Lei scoprì che lui faticava a leggere e aveva il minimo punteggio nelle abilità matematiche; lei si rese conto che bisognava aiutarlo mentre s’inoltrava nei test attitudinali e di apprendimento che costituivano per lui un campo capace di mortificarlo.   Nel fare ciò Tony cominciò a esprimere quanto aveva odiato la scuola e tutti coloro che erano in essa, come aveva disperatamente tentato, a modo suo, di imparare a leggere meglio, ma aveva poi lasciato perdere per la vergogna e la frustrazione.   Poiché lui sembrava riuscire in un certo grado a parlare con lei, l’equipe decise di offrirgli alcune sedute con lei per vedere se fosse stato possible stabilire una qualche relazione terapeutica.

Nel primo incontro con la psicologa Tony descrisse la sua rabbia nei confronti di suo padre, aggiungendo che avrebbe desiderato ucciderlo.   Era pieno di rabbia e di risentimento nei confronti di altre giovani persone che lui sentiva essersi schierate contro di lui e che lo prendevano in giro alle sue spalle.   Lui era intollerante di tutte le regole anche delle più banali del reparto e disse che rifiutava di adattarsi allo stupido orario che scandiva le attività come l’ora dei pasti, degli incontri e così via.   La psicologa provò gentilmente a suggerirgli che non era strano che preferisse fare le cose da solo, visto che si sentiva odiato fino a tal punto, ma disse anche che lui sembrava essere solo.   Lui raccontò di come non era mai stato in grado di avere degli amici.   La psicologa segnalò ai membri dello staff il desiderio di Tony di uccidere suo padre, ma poiché sembrava essersi piuttosto calmato,fu tenuto nel reparto aperto, seppur in più stretta sorveglianza.

La seduta successiva fu di pomeriggio, due giorni più tardi.   La mattina di quello stesso giorno Elaine si era procurata un taglio molto profondo ai polsi ed era stata portata fuori dal reparto in barella.   Tony giunse alla seduta evidentemente molto agitato, incolpò lo staff di non aver protetto sufficientemente Elaine.   La sua rabbia riempì rapidamente la stanza del colloquio e lui si fece minaccioso.   Afferrò le chiavi della psicologa da sopra il tavolo, chiuse la porta della stanza dall’interno e cacciò le chiavi giù per la maglietta fino ai pantaloni.   Lo stato di eccitamento era palese: schernì la psicologa che gli chiedeva di restituire le chiavi.   Lei gli chiese di darle le chiavi e allora lui si sedette e parlò di come si sentiva e di cosa era successo, ma era chiaro che era molto eccitato dall’idea di averla in pugno e che non aveva intenzione di lasciare quella posizione volontariamente.   Spinse la psicologa e le ripeté più volte che lei doveva raggiungere l’interno dei suoi pantaloni per riavere le sue chiavi.

Lei allora premette il pulsante d’allarme e gli spiegò che ciò significava che degli operatori sarebbero arrivati ad aprire dal di fuori la porta per aiutarla, ma che comunque sarebbe stato molto meglio se lui avesse restituito le chiavi e si continuasse la seduta senza bisogno che altre persone intervenissero.   Lui si slacciòi pantaloni per darle le chiavi, ma allora espose se stesso a lei e si eccitò ancor più, spingendola contro la finestra, distante dal pulsante delle emergenze e tentando di toglierle i vestiti di dosso.   Due operatori di sesso maschile entrarono nella stanza.

Tony fu preso a forza e trascinato via con i suoi pantaloni al livello delle ginocchia, fu fatto passare attraverso il salone principale dove gli altri ragazzi e membri dello staff si erano radunati per il the.

Quando ebbe un colloquio Tony, rivendicò aggressivamente che la psicologa lo aveva provocato, ma voleva anche assicurarsi di poterla vedere per le sedute stabilite.   Gli era stato riferito che ciò non sarebbe accaduto perchée sarebbe stato trasferito quel giorno nel più sicuro reparto per adulti, un posto che tutti i pazienti giovani ricoverati nel reparto per adolescenti temevano.   Gli era stata anche fatta un'iniezione con la forzà e ciò lo aveva messo in un protratto stato semicosciente nel periodo in cui era avvenuto il trasferimento.

Tony ruppe la sua finestra e fuggì dal reparto.   La polizia non lo trovò per 24 ore; a quel punto si ricevette una telefonata dalla madre di Tony.   Tony aveva fatto irruzione in casa durante la notte e aveva accoltellato a morte il padre.   Tony fu affidato per un indefinito periodo di tempo ad un Ospedale psichiatrico con il massimo della sicurezza.

Tony non era stato trascurato.   Non era stato picchiato dai suoi genitori (sebbene fosse intimidito a scuola dai compagni, per lungo tempo) e l’omicidio era stato scatenato da un incidente avvenuto in un setting relativamente ricco di attenzioni e cure.   Vorremmo proporre, come abbiamo sostenuto più diffusamente altrove [Fonagy,1995] che sebbene Tony non fosse stato fisicamente trascurato, a livello di esperienza emozionale e di sviluppo dell’organizzazione del Sé, lo era stato.   Né sua madre, con la sua eccessiva devozione - che sembrava soddisfare il suo bisogno di non separarsi -, né suo padre con la sua rabbia e gelosia, furono in grado di relazionarsi a Tony.   Loro non riuscirono a relazionarsi ai suoi sentimenti ed esperienze reali e questa mancanza di riconoscimento da parte delle figure di attaccamento generò una predisposizione ad un Disturbo del comportamento e alla violenza.

Un'eccessiva vicinanza, come un'eccessiva distanza, mina il Sé psicologico.   Il bambino prova inutilmente a trovare le rappresentazioni che corrispondono al suo stato interno nell’espressione del suo caregiver.   Il Sé rimane organizzato in modo incompleto, la realtà interna continua a essere esperita secondo la modalità dell’"equivalenza psichica".   Ed è pertanto vulnerabile all’introiezione di esperienze negative successive.

Tony non era un ragazzo brillante.   Era crudelmente preso in giro dai suoi coetanei perché era lento, goffo, bizzarro nell’aspetto e trasandato.   Tali derisioni possono apparire lievi agli occhi degli adulti che circondano il bambino e persino agli occhi degli altri bambini che sono in grado di adottare una prospettiva di mentalizzazione; ma un scherno viene vissuto come letteralmente letale da quei bambini che non sono capaci di distinguere un loro sentimento di umiliazione dall’annullamento.   Un analogo sentimento di vergogna ego-distruttiva accompagnava l’esperienza di Tony di violenza sottilmente velata in casa.   Nell’assistere alle discussioni, lui, che si era del tutto identificato con la madre, sentiva di essere lui stesso maltrattato e si sentiva impotente nel prevenire la sofferenza di sua madre.

Tutto ciò suscitava quello stesso senso di umiliazione disperato e fonte di vergogna, dal quale poteva trovare rifugio solo con l’identificazione con l’aggressione.   Nel contesto della incompleta organizzazione del Sé, che non è altro che il residuo di un pattern d’attaccamento disorganizzato, l’identificazione con l’aggressore non può mai essere coronata da successo: infatti è la parte dissociata, aliena del Sé che favorisce l’aggressione e che viene influenzata dal clima di violenza, sia esso a scuola , in casa, forse nella cultura in generale.

La tragica conseguenza per Tony e per gli altri bambini la cui esperienza di relativa trascuratezza sia seguita dalla brutalizzazione, è che una parte del Sé è divenuta la parte che distrugge anche tutto la parte restante .

Una volta che si sia provato un senso molto forte di persecuzione interna, che nel caso di Tony colorava di paranoia tutte le relazioni, la coerenza del Sé poteva essere ristabilita solo dall’esternalizzazione.   In genere nell’attaccamento disorganizzato l’esternalizzazione può essere qualcosa di non distruttivo e il risultato può essere semplicemente uno stile controllato delle interazioni.   Laddove questa disorganizzazione è stata seguita ad un certo punto dalla brutalizzazione, la violenza contro di sé o contro gli altri è probabile.   Il Sé alieno è così persecutorio che la sua proiezione è un compito molto più urgente e costante.   Ogni minaccia alla sua autostima provoca questa esternalizzazione, che può a sua volta scatenare un attacco nella speranza di distruggere l’"altro" alieno.

Andiamo a rivedere la sequenza di eventi che sono culminati nell’uccisione da parte di Tony di suo padre.

Nonostante il suo comportamento scontroso, Tony era sollevato dal trovarsi nel repartò per gli adolescenti.   Aveva trovato due donne da cui si sentiva capito.   Il fatto di sentirsi capito portò un inespresso, ma intenso affetto e comparve una speranza.   La loro considerazione per lui suscitava sentimenti d’amore e di bisogno di essere amato, sentimenti che lui non riusciva a gestire- sia internamente che esternamente- appropriatamente alla situazione.   Spesso quando consideriamo il deficit di regolazione degli affetti in questi casi ci concentriamo sulla difficoltà nel contenere gli affetti negativi, dimenticando che la stessa difficoltà riguarda anche i sentimenti positivi quando si presentano.   Perdendo la speranza di un sentimento d’amore lo fece sentire umiliato e questo esperienza di umiliazione a sua volta scatenò la sua aggressione.   L’assalto sessuale alla psicologa fu in un certo modo un gesto di auto protezione.   Era giunto al colloquio sentendosi minacciato e spaventato per la scomparsa di Elaine; il modo con cui lui poteva esprimere il suo amore e il suo bisogno, era esternalizzando dapprima il suo Sé alieno, pieno di paura e disperazione, nella psicologa.   Mentre la teneva in ostaggio il suo affetto e gratitudine potevano essere mostrati.   Una volta che la discontinuità nella sua rappresentazione del Sé era stata fronteggiata, lui fu per un po’ capace di provare affetto ed esprimerlo; purtoppo, ciò si poteva mantenere solo in una posizione di prepotenza.   Lui distrusse la possibilità di essere accettato con la sua disperata manovra difensiva: la psicologa che era stata in grado di vederlo e mostrargli comprensione costituiva ora un’ulteriore umiliazione.   Lei rispose al suo scherno chiamando aiuto e questo fu per lui una doppia perdita.   Dapprima lei perse di vista la parte più gentile e affettuosa di Tony, poi vide solo la posizione minacciosa, relazionandosi a questa posizione come se fosse l’unica realtà almeno in apparenza (proprio come avviene nella modalità della equivalenza psichica).   Al fine di distruggere l’immagine di Sé come cattivo nella mente di lei, era necessario che la psicologa fosse attaccata .

Il resto della storia dimostra con tragica ineluttabilità cosa può succedere quando le instituzioni - sempre propense reagire subito perfino con le migliori intenzioni - tentano di contenere una persona che fa fatica a raggiungere la mentalizzazione.   L’incidente creò un certo panico e molti sensi di colpa per aver esposto una tirocinante a tale pericolo e tutti i presenti risposero mostrando in ritardo il loro supporto per lei, prendendo misure punitive ego-distruttive ed eccessive.   Nessuno, nel caotico periodo successivo all’incidente comunicò una comprensione delle azioni di Tony e i sentimenti di perdita e amore contenuti in tali azioni.   Lui rimase solo con il ricordo della completa umiliazione di fronte ai suoi pari, l’irreversibile perdita della sua speranza di una vicinanza e con il terrore di un ambiente molto più senza senso di quello che già gli appariva straziante.

Possiamo speculare su come questo stato della mente abbia spinto Tony a uccidere.   Lui probabilmente visse il serio tentativo di suicidio di Elaine come una ripetizione degli attacchi di suo padre a sua madre e come il suo fallimento nel salvarla.   Con questi sentimenti rimasti non contenuti, scelse di prendersi l’ultima rivincita la notte successiva.   Doveva ristabilire il suo senso del Sé, che un’umiliazione aveva minacciato con l’annichilimento.   Ospedale e padre divennero una cosa sola; la loro distruzione generò l’illusione di poter arrivare a raggiungere l’identità.

Questi sentimenti non erano molto distanti dalla consapevolezza.   Quando visitato da una psicologa del reparto per gli adolescenti, nel nuovo Ospedale di massima sicurezza, Tony fu in grado di parlare della sua speranza di una (idealizzata) unione con sua madre, ora che il padre era stato eliminato.   Forse un più profondo, inconscio desiderio, comunque, era di raggiungere una separazione da lei, cosa che il gesto dell’uccisione permetteva di ottenere chiaramente.   Proprio come l’autorità dell’istituzione forse rappresentavano il padre, così la possibilità di vicinanza e comprensione gli ricordavano l’esasperante seduttività dell’intimità con sua madre.   Lui può aver sperato di poter ritrovare un coerente senso del Sé, e persino una relazione d’attaccamento genuinamente comprensiva.   Invece trovò un posto in cui quel po’ di mentalizzazione che una persona può avere raggiunto è sistematicamente distrutto, all’interno di una cultura non pensante, che si presenta sotto mentite spoglie della cura.

Discussione di Tony

In che senso la situazione di Tony era tipica dell’adolescenza?

La violenza di Tony, sempre presente, aumentò fino a divenire letale da quando egli raggiunse la pubertà.   La sua “relazione simbiotica” con la madre aveva mascherato quanto egli usasse sua madre come veicolo per sperimentare i propri stati mentali.   Suo padre, con una modalità più distruttiva, recitò la stessa parte nell’impedire a Tony di esternalizzare il suo odio e la sua rivalsa e lo costrinse al ruolo di difensore.   I periodi sempre più lunghi lontano dai suoi genitori resero ciò difficile da sostenere.   I suoi agiti dovevano diventare sempre più drammatici per raggiungere i cambiamenti affettivi nei suoi genitori necessari per sentire il suo Sé coerente.   Proprio come in una conversazione le voci devono alzarsi se gli interlocutori si allontanano.   Paradossalmente ciò diede come risultato una separazione ancora maggiore: la sua collocazione nelle mani dei servizi sociali, cosa che creò l’ansia claustrofobica descritta da Steiner e prima da Rosenfeld.   Si prova terrore al pensiero che la parte aliena del Sé sia intrappolata per sempre, senza più alcuna possibilità per l’esternalizzazione.   Questo guidò Tony alla disperazione tipica dell’adolescente violento.

Rivolgiamoci ora al nostro secondo caso

 



Il caso di Glen

 

Glen iniziò la sua analisi in uno stato profondamente dissociato.   Sebbene avesse quindici anni, ne dimostrava dieci e si comportava come un bambino di cinque.   Stava seduto in una sedia isolato, arrabbiato e depresso, rannicchiato nel suo "cappotto-tenda", troppo grande per la sua piccola statura; talvolta nascondeva la sua faccia tra le mani e di tanto in tanto mi guardava attraverso un buco che apriva tra le sue dita.   C’era un’immensa ostilità nella stanza, un senso di confusione non contenuta.   C’erano sedute in cui era in grado di parlare e in quei momenti si rivelava in maniera desolata e sconvolgente la natura infantile del suo funzionamento mentale.

La diagnosi clinica di Glen era stata di Disturbo Ossessivo Compulsivo, assieme a Depressione maggiore.   Tali classificazioni, però, non possono rendere adeguatamente l’idea del tipo di parola e pensiero magico che si era impadronito della sua vita.   La sua vita era organizzata attorno a rituali dal momento in cui egli si svegliava e ordinava la sua camera, seguendo una particolare sequenza di azioni, dovendola a volte ripetere se avvertiva di aver eseguito la sequenza sbagliata, fino al momento in cui si coricava e doveva collocare i suoi cuscini in certi angoli della stanza e del suo corpo.   Apparentemente desiderava evitare la "mala sorte", ma era facile scorgere che sottostante vi era un terrore connesso a idee intrusive che avevano preso la forma di esseri alieni, ragni e batteri.   Era terrorizzato dal continuo pensiero che la creatura del film "Alien" risiedesse nel caminetto o in giardino.   Era anche oppresso dalle sue fantasie aggressive e dal suo costante timore che una qualsiasi azione spontanea fatta da lui potesse procurare danno a qualcun altro.

C’erano pochi elementi nel background di Glen che giustificassero il suo stato mentale.   Suo padre era un uomo autoritario che sicuramente mancava di empatia, ma che era anche piuttosto preoccupato per suo figlio e si sentiva impotente di fronte al suo strano comportamento.   La madre sembrava anche lei essere una persona premurosa, ma era depressa; negava la natura pervasiva del disturbo di Glen e descriveva il rapporto con il padre di Glen come profondamente difficile.   L’elemento scatenante per i problemi di Glen poteva esser stata una malattia cronica della madre e un conseguente intervento chirurgico.   Era difficile comprendere come fare a capire i problemi di Glen; sembrava relativamente brillante e in certi casi persino dotato, ma internamente sempre in lotta contro una spinta regressiva finalizzata a contenere le fantasie di intensa distruttività.   I suoi sintomi erano peggiorati rapidamente prima della sua richiesta di trattamento ed egli era palesemente spaventato dall’idea di diventare pazzo.

Non sapevo come fare ad aiutare Glen.   Utilizzai il lavoro di interpretazione con scarso successo; mi concentrai sulla sua paura di me confondendolo e facendolo impazzire; sul suo terrore di una mia aggressione nei suoi confronti o viceversa, di una sua aggressione nei miei confronti; sulla sua sensazione di essere stato lasciato a me dai suoi genitori, avendo loro preferito rinunciare; sulla sua disperazione riguardo se stesso e me; sul suo isolamento fuori dall’analisi, che mi mostrava concretamente dentro la stanza dell’analisi; sul suo timore che il parlare potesse fargli perdere il suo già fragile controllo della propria mente, e così via.   Nessuna di queste interpretazioni ebbero un qualche apparente effetto; io non stavo parlando con lui.   Mi arrabbiai e trovai piuttosto arduo resistere alla tentazione di rinunciare con lui.   Incolpai gli altri: l’equipe che aveva formulato la diagnosi per non averlo sottoposto ad un adeguato screening, i suoi genitori perché non avevano riconosciuto le sue difficoltà, ma più di tutti lui per il suo rimanere così inaccessibile e l’avermi fatto sentire impotente.

A circa due mesi e mezzo di trattamento, in occasione dell’interruzione natalizia, decisi di cambiare strategia.   Abbandonai parte del mio stile interpretativo con lui e divenni più vivace, per provare a smuoverlo dalla sua posizione passivo-aggressiva.   Iniziai a fare battute e ad assecondarlo sui suoi sentimenti di rabbia nei miei confronti, sul suo desiderio di uccidermi così avrei finito di disturbarlo "una volta per tutte".   Imitai il suo comportamento, mostrandogli anziché dirgli come lui mi appariva.   Chiaccherai a proposito della mia stanza disordinata e di come pensavo che ciò non gli piacesse, ma che non me lo diceva per paura di offendermi.   Una mattina di pioggia parlammo di come lui fosse seccato per il fatto che si era tutto bagnato solo per poter venire ed essere annoiato da me per 50 minuti.   Gli parlai dell’immenso senso di liberazione che doveva aver provato per l’interruzione dell’analisi a Natale.   In un’altra occasione, quando menzionò uno dei suoi insegnanti che era calvo e inavvertitamente mi lanciò un’occhiata, dissi che piacere doveva provare per il fatto che lui aveva i capelli e io no e quanto ridicolo pensava io sembrassi.

Fortunatamente questo cambiamento di strategia iniziò a portare dei frutti.   Piano piano egli divenne visibilmente più rilassato, la sua posizione cambiò, si tolse il cappotto.   Si aprì verbalmente e mi parlò di ciò che si rivelarono essere le sue preoccupazioni cruciali, in particolare la preoccupazione per lo studio.   Condivise l’ansia riguardo i suoi compiti per casa, il suo desiderio di essere apprezzato dai suoi insegnanti e la paura di deluderli.   Fui in grado di interpretare quella che doveva essere stata una caratteristica dominante del tranfert fino ad allora, il terribile sentimento di deludermi se si permetteva di interessarsi dei miei pensieri e sentimenti per lui.

L’atmosfera mutò.   Glen cominciò a guardarmi e c’erano meno momenti di lungo silenzio.   Iniziò a parlare dei pensieri e sentimenti di quando era stato ritirato: aveva immaginato di lanciare coltelli nel mio corpo o di lanciarli in modo da mancarmi, godendo del sentimento di controllo e di tortura.   Mi diede lo spazio per interpretare che la sua paura del mio potere su di lui poteva allacciarsi al suo desiderio di controllarmi e intimorirmi; che lui desiderava distruggere le persone perché ne era così spaventato, ma la sua rabbia era talmente chiara che ciò stesso lo spaventava e lo faveva sentire terribilmente in colpa.   Fu sempre più grato per le mie interpretazioni e sembrava quasi contento di vedermi.   Alla fine dei sei mesi si era sviluppata un'alleanza terapeutica in cui ero visto utile e, nel complesso, non maleintenzionato.   Il tema del transfert principale, comunque, restò lo stesso – ovvero che io non potevo contenere e tollerare la sua collera e i suoi strani pensieri; il mio più minuscolo e sottile slittamento nella mia posizione poteva condurlo ad un’immensa ansia e poteva provocare il suo ritiro da me.   Sentivo che il nostro lavoro era iniziato.

Durante l’anno successivo egli fece un sempre più buon uso dell’analisi e miglioròda un punto di vista sintomatologico in modo tale che sia lui che i suoi genitori lo notarono chiaramente.   Per esempio, i rituali cessarono di preoccuparlo e i pattern del suo lavoro ossessivo cedettero il passo ad un più rilassato, ma ancora organizzato, comportamento.   C’erano molti punti chiave.   Il primo era il nostro comune riconoscimento del grande significato che aveva il periodo d’inizio della scuola in cui era considerato un bambino che apprendeva lentamente e gli era stato offerto un insegnamento atto a porvi rimediò.   Egli aveva trovato l’esperienza umiliante, non da ultimo per l’eccezionale performance del suo fratello maggiore e per la derisione sottilmente velata di suo padre.   Non appena riconoscemmo che i pattern del suo lavoro ossessivo rispecchiavano il suo conflitto sul desiderio di evitare l’umiliazione scolastica da un lato e la sua rabbia nei confronti di genitori, fratello e insegnanti dall’altro, il suo atteggiamento verso lo studio cambiò.   Smise di forzare se stesso a svolgere lo stesso pezzo di compito una mezza dozzina di volte; decise invece di studiare solo un certo numero di ore dopo il ritorno da scuola e smise di preoccuparsi sull’accumularsi dei compiti.

La sua autostima ebbe un netto miglioramento quando entrarono a far parte del materiale la sua paura per il proprio sadismo.   Questo fu scatenato da una uscita con la scuola per la visione del film "Schindler’s List", uscita che lui voleva evitare.   Era molto sconvolto dal film e alla fine svelò che aveva fantasticato di essere il Comandante in campo che usava dei lavoratori ebrei per il tiro al bersaglio.   Ciò portò ben presto all’elaborazione di quelle fantasie e ad una rivelazione caratterizzata dalla vergogna: fantasticava costantemente di attaccare le persone e ucciderle spietatamente.   Parlammo piuttosto a lungo del divertimento che gli procurava la fantasia di torturarmi e descrisse i vari modi con cui aveva macchinato di farmi male, essendo particolarmente divertito dall’idea di me che chiedevo pietà.   Curiosamente questo correlava con la sua preoccupazione nevrotica circa l’umore di suo padre.   Glen era impensierito dal fatto che suo padre si isolasse dentro il suo studio, specie dopo essere stato oggetto di una presa in giro da parte della sua famiglia.   Egli temeva che suo padre potesse commettere un suicidio e aveva paura di venir incolpato e di sentirsi orribilmente in colpa lui stesso.   Emerse del materiale anamnestico sulla sua esperienza della sensibilità del padre e sui suoi attuali e passati pensieri riguardo la fragilità del matrimonio dei suoi genitori.   Infine venne a galla che la sua preoccupazione era molto maggiore per la depressione di sua madre che per quella del padre.   Sembrava che sua madre lo terrorizzasse col suo ritirarsi andando a letto presto a volte anche alle sei di sera, lasciando i bambini a se stessi senza una supervisione.   Le sue paure circa la mia fragilità improvvisamente divennero più comprensibili per entrambi ed egli mi disse di quanto si era sentito rassicurato quando aveva capito "che si può buttarla sullo scherzo".   Divenne incredibilmente rilassato nelle sedute, sedeva sprofondato nella sedia, rideva di me, si burlava della mia stanza, scimmiottava le mie abitudini, si permetteva commenti sulla mia calvizie e sui miei vestiti monotoni.   Nel transfert sembrava che io fossi diventato la madre pre-depressione e lui si rallegrava visibilmente di ciò.   Altri colleghi che lavoravano al Centro si accorsero del cambiamento in lui: a mia insaputa, egli scendeva le scale fischiettando.

A circa un anno dall’inizio del trattamento Glen cominciò a confidarmi i suoi segreti sessuali.   Emerse che aveva raggiunto la maturità sessuale e aveva iniziato a masturbarsi per avere l’eiaculazione.   Si eccitava davanti a foto di donne nude.   Si vergognava profondamente per questo e si domandava se io mi sarei rifiutato di vederlo dopo la rivelazione delle sue attività.   Parte del suo timore in Alien era chiaramente legata ad un aspetto scisso dei suoi desideri sessuali sadici.La sua aggressività permeava la sua sessualità.   L’eccitamento che gli derivava da fucili, dolore negli altri e piacere sessuale sembravano essere confuse nella sua mente.

L’accettazione da parte mia di queste fantasie lo portarono a un grosso senso di sollievo ed egli cominciò a pensare di chiedere alle ragazze di uscire.

Un estratto da una sessione potrà illustrare il progresso che abbiamo fatto.

Avevo annullato la seduta del precedente venerdì e lui si presentò il lunedì depresso, avendo avuto un brutto finesettimana.   Mi raccontò di una festa della scuola con i fuochi d’artificio durante la quale aveva girovagato sentendosi solo; parlò anche del fatto che si sentiva oberato dall’ammontare dei compiti che doveva fare per casa e terminò dicendo che si sentiva davvero "fottuto".   Provai a collegare la sua solitudine e il suo senso di sentirsi oberato alla seduta annullata e lui rispose che sapeva che avrei detto ciò e si chiedeva aspramente perché prendersi un analista esperto nell’individuare che lui si sentiva dpresso.   Rivendicò che si era divertito in realtà venerdì, specie per non aver dovuto alzarsi presto, ma subito continuò parlando della festa e dei patetici tentativi di suo padre di tirarsi su d’animo.   Il problema reale, però, era che non aveva amici.   Dissi che ritenevo che annullare la seduta da parte mia doveva aver significato per lui come se io in realtà non fossi suo amico e che l’analisi non era nulla di più che un patetico tentativo di provare a tirarlo su d’animo.   Parlò con un tono triste del suo camminare tutt’intorno non trovando nessuno con cui parlare e poi, passando a un tono denigratorio,accennò a dei ragazzi che correvano in giro schizzandosi l’un l’altro con delle pistolette ad acqua; persino i fuochi d’artificio non erano stati all’altezza come lo erano di solito.   Pensava che suo padre aveva passato una bella serata parlando con gli altri genitori.   Lui era stato ad ascoltarli per un po’, ma alla fine si era deciso che erano troppo stupidi.

Ripresi la sua delusione di me e il dolore che l’essere escluso gli aveva immancabilmente procurato di non essere all’altezza proprio come non lo erano i fuochi d’artificio.   Tornò a parlare dei compiti.   Era veramente preoccupato, disse, di non essere abbastanza bravo nei suoi compiti e di prendersi indietro per via del suo perfezionismo.   A questo punto menzionò il clown che c’era alla festa e che lo seguiva dappertutto; era piuttosto afflitto mentre descriveva il suo tentativo di allontanarsi dal clown e dalla baldoria che lo accompagnava.   Dissi che pensavo si sentisse deriso dalla festa, proprio come si sentiva deriso dal preteso interesse nei suoi confronti e deriso dal tentativo di suo padre di tirarsi su d’animo.   Non sentiva niente di tutto ciò genuino e provava davvero la sensazione di essere mandato a quel paese pensando che per tutto il tempo anch’io lo avevo segretamente deriso.   Lui fu d’accordo, disse che si era sentito ridicolo e che non voleva venire a incontrarmi quella mattina.   Ci fu una lunga filippica su un’amata-odiata materia, la fotografia.   Si lamentò che doveva sparare un intero rullino di foto questa settimana e descrisse la fatica nell’eseguire solo un po’ di lavoro per il suo progetto.   Diede un indizio sulla possible natura della sua inibizione a fare le foto quando menzionò il fatto che si era accorto che al suo insegnante di fotografia piaceva solo fotografare ragazze.   Suggerii che forse era spaventato dalla possibilità che lo deridessi o lo prendessi in giro per il suo interesse nelle ragazze, ma forse a lui non interessava fotografare le ragazze se ne ne aveva l’opportunità.   La filippica sull’insegnante di fotografia continuò con sempre più vistosa ferocia, lui era un “vero bastardo lascivo”, lui insegnava bene solo alle ragazze ed era grasso e brutto.   Lo chiamavano "Grasso Sam, l’uomo del pompino".   Dissi che pensavo che era molto duro per lui perché si sentiva colpevole di non riuscire a mettere da parte l’interesse dell’insegnante di fotografare le ragazze e che ogni altro compito inclusa l’analisi gli sembrava soverchiante.

Proseguì col descrivere la lotta con se stesso sul non volere masturbarsi durante il weekend fino a che non aveva finito i compiti per casa; alla fine perse la sua battaglia e cedette, ma si sentiva malissimo per questo.   La cosa però doveva essere diversa per l’insegnante, "lui dovrebbe essere in grado di controllare il suo interesse, lui ha sessant’anni per l’amor di Dio" e questo era il motivo per cui lo odiava.   Dissi che forse lui sentiva che io dovevo riuscire a controllare meglio il mio interesse alla mia età, che forse si era chiesto se per caso non avevo annullato la seduta di venerdì perche non ero capace di collocare il mio lavoro con lui al di sopra il mio interesse per le ragazze.   Rise e disse che forse mi avrebbe chiamato Sam d’ora in poi.   Aggiunse anche che trovava davvero sconvolgente che gli adulti avessero interessi sessuali; parlò a questo punto di suo padre che spesso era lontano ultimamente.   Dissi esitando che forse c’era qualcosa sulla sessualità dei suoi genitori che lo disturbava, ma aggiunsi che lui si sentiva incerto sulla possibilità di portare in seduta questo argomento perchée temeva ancora una volta di venir deriso o messo in ridicolo da me.

Era sollevato e replicò: "sono contento che l’abbia detto lei per primo".   Durante il weekend aveva sentito i suoi genitori discutere riguardo il sesso; gli era sembrato che sua madre non volesse avere più rapporti con suo padre.   Lui era preoccupato che iniziassero a litigare o che sua madre se ne andasse.   Disse che odiava suo padre, che lui riusciva ad essere una nullità qualche volta.   Dissi che ora capivo come doveva essere stato doloroso e perturbante ascoltare la conversazione tra i suoi genitori, che forse lui voleva allontanarsi da ciò proprio come aveva fatto allontanandosi dalle discussioni eccitate di suo padre alla festa e questo era il motivo per cui odiava una parte di sé così tanto.   Volevo aggiungere che talvolta lui temeva di crescere per la eventualità di diventare un uomo come suo padre, ma lui chiese: "pensa che mi trasformerò in una nullità come mio padre quando crescerò?"

Dissi che pensavo che lui stesse descrivendo la terribile trappola entro cui sentiva di trovarsi: era in mezzo fra il sentirsi come un piccolo ragazzo che era isolato e abbandonato, che poteva essere messo in ridicolo perchée aveva solo una pistola ad acqua e non un vero e proprio pene e il sentirsi che era cresciuto e che era come il Grasso Sam, la cui sessualità era pure motivo di scherno, di risentimento e di odio.   Sembrava non ci fossero alternative, nessuna possibilità di essere un uomo normale.   Disse tristemente che pensava che non avrebbe mai avuto una ragazza, che nessuno l’avrebbe voluto.   Aggiunsi che quello era una parte della faccenda, ma che lui era anche spaventato dall’idea che qualcuno potesse volerlo.   Disse che questo era vero.   La seduta terminò con Glen che lasciava la stanza molto rallegrato e che sulla via dell’uscita aggiungeva: "non ti ho ancora perdonato per lo scorso venerdì, comunque".

L’analisi di Glen fu completata in tre anni e mezzo.   Durante questo periodo l’ansia per la performance negli esami, la masturbazione e altri aspetti della sessualitàemersero come ci si può aspettare da un punto di vista dello sviluppo.   I suoi rituali ossessivi o si interruppero o non lo disturbarono più per molto ancora.   La sua performance negli esami era molto buona e ricevette l’offerta di un posto in parecchie università.   Continuò in psicoterapia per altri anni e ha fatto numerosi progressi dalla fine dell'analisi.

Discussione di Glen

I problemi di Glen si risolsero rapidamente, non tanto prestando attenzione ai suoi conflitti inconsci quanto offrendo uno spazio per giocare con sentimenti e idee; il setting analitico gli diede una seconda possibilità di utilizzare assieme le sue due modalità di vivere la realtà interna.   Egli si era sottratto dalla complessità delle relazioni interpersonali ritirandosi nel suo "cappotto-tenda", apparentemente incapace di pensare.   La sua difficoltà era radicata in una iperattività di mentalizzazione causata da un salto nel suo sviluppo.   Il salto l’aveva gettato indietro alla modalità della equivalenza psichica, che faceva dei contenuti della sua mente un qualcosa di terribile per lui, ma che poteva essere alleviato dal sostegno dell’analista.   Glen aveva già capito che i pensieri erano solo pensieri e che i sentimenti erano solo sentimenti, ma la preoccupazione per la complessità dei sentimenti suoi e dei suoi genitori, scoperta nell’adolescenza, lo sconfissero; egli si rifugiò in uno stato mentale che non riconosce la natura della realtà psichica.   Proprio come un bambino di due anni che si rifugia nella finzione per evitare il terrore che l’equivalenza psichica genera, così Glen, similmente a molti adolescenti, si ritirò in uno stato di finzione, la dissociazione.   La sua ossessività era una espressione diretta dell’equivalenza psichica.   Comunque l’ossessività non era un tratto caratteriale e sparì con il ritorno della mentalizzazione.

Ci sono molte differenza fra i casi di Tony e Glen, ma qui ci interessa in particolare una caratteristica.   Mentre sia Tony che Glen sperimentarono una regressione alla modalità di funzionamento duale, solo nel caso di Tony ciò portò allo scoperto il Sé alieno distruttivo e ostile.   Entrambi erano molto vulnerabili all’umiliazione e alla vergogna a causa del ritorno dell’equivalenza psichica.   Solo in Tony, che era stato maggiormente brutalizzato dalle esperienze precoci questa vergogna divenne egodistruttiva.   Il potere dell’esternalizzazione (identificazione proiettiva) era intenso in entrambi i pazienti e questo può essere una caratteristica in molte analisi di adolescenti, dal momento che c’é la forte pressione alla separazione di cui abbiamo parlato precedentemente.   Nel caso di Glen l’esternalizzazione del Sé alieno lasciò una struttura più matura e intatta, che necessitava di un po’ di supporto esterno.

Provare a trattare qualcuno come Tony è una sfida: al terapeuta è richiesto non solo di accettare l’esternalizzazione senza la quale il paziente è incapace di relazionarsi, ma anche, essendo divenuto ciò di cui ha bisogno, di provvedere sostegno e supporto e riconoscimento del Sé vero (e persino affettuoso) del paziente.   E fare questo mentre ci si deve difendere dagli assalti fisici e si sta riflettendo il terrore che il paziente ha bisogno di vedere all’esterno è più di quanto può essere chiesto alla maggior parte dei terapeuti.

E allora come possiamo far fronte a pazienti adolescenti regrediti?

I pazienti di cui stiamo parlando sperimentano un’ansia molto profonda per il proprio Sé che è sopraffatto: motivo di ciò è che il genitore non è più lì con un’immagine arcaica di se stesso proiettata alle sue spalle.   La tecnica deve tener conto di ciò.   Accettare le proiezioni, all’inizio spesso senza interpretare può essere molto importante.   Bisogna lasciarsi considerare figure buone,cattive, apprezzate, odiate per essere trasportati a velocità magiche e in maniera del tutto imprevedibile nel terreno dell’enorem intrapsichico.   C’é una costante ricerca di figure alternative che fungono da ospiti del Sé alieno; una tale ricerca dà origine all’apparente promiscuità di questi adolescenti.   Purtroppo la maggior parte della gente non accetta le loro proiezioni e pertanto questi adolescenti son perseguitati da esperienze di profondo rifiuto.

Una difficoltà tecnica è forse che quanto più una cosa è sentita reale dal paziente, tanto più è duro parlarne: infatti essa sembra un’esperienza primitiva, fisica, che può essere affrontata solo da un punto di vista fisico.   Ciò che sembra reale può essere un’esperienza apparentemente banale, specie nel transfert, che può apparire del tutto insopportabile e, se l’analista si rivolge a una tale esperienza, può esserci una drammatica rottura dell’alleanza terapeutica.   Ci possono essere strane domande per soluzioni concrete, cosa che avviene quando si sta tentando di interpretare il transfert in modo più classico.

L’aiuto analitico deve essere offerto in un modo coerente alle sfide evolutive a questa epoca, facilitando il successivo passo verso la creazione di una identità autonoma.   Ciò avviene attraverso un processo analogo al giocare con un bambino, aiutando l’adolescente a rappresentare ed a fronteggiare i suoi stati mentali psicologicamente più che fisicamente.   Tutto questo deve succedere in concomitanza degli sforzi del paziente di trovare un veicolo esterno, attraverso il transfert, per gli aspetti intollerabili delle sue relazioni precoci.

Note:
[1] Con l'eccezione del fatto che, in accordo con Stern, noi non consideriamo la simbiosi parte di un normale stadio di sviluppo, mentre pensiamo alla madre simbiotica come ad una deviazione molto comune dallo sviluppo normale.
[2] Glen è un paziente di Peter Fonagy e la relazione qui riportata è stata curata da lui stesso.


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