SCUOLA DI PSICOTERAPIA DELL'ADOLESCENZA E DELL'ETÀ GIOVANILE
AD INDIRIZZO PSICODINAMICO


Introduzione

Le ragioni di offrire una formazione psicoterapeutica mirata all'adolescenza sono di vario genere a cominciare dalla domanda dei diretti interessati e degli adulti che di loro si occupano, degli insegnanti e dei genitori che sempre più fanno richieste di sostegno agli operatori dei Servizi Pubblici.

A.S.T.E.R.I.A., Associazione per lo Studio e la Ricerca in Adolescenza, uno dei gruppi promotori di questa Scuola, fin dal 1988 ha organizzato a Firenze Corsi annuali e biennali sulla "Valutazione e sulla Diagnosi in Adolescenza" (con docenti milanesi, fiorentini e romani) destinati ad operatori dei Servizi Territoriali provenienti da tutta Italia (circa 60 operatori ogni anno).

In questa breve premessa all'organizzazione della nostra Scuola daremo dei cenni generali sulle peculiarità dei modelli evolutivi che sottendono le varie concettualizzazioni dell'adolescenza e le loro implicazioni per la formazione degli operatori e per l'impostazione degli interventi terapeutici specifici in questa fascia d'età.

Orientamento teorico generale

Sul piano teorico è dagli anni '60 che, con Erikson, si è restituita importanza alla concettualizzazione e allo studio di tutte le fasi del ciclo vitale ed a considerarle provviste di una loro specificità e significatività.
Sviluppando la sua complessa concezione epigenetica, pur partendo dalle posizioni freudiane sulle fasi psicosessuali, Erikson ha certamente arricchito profondamente il quadro per molti versi convenzionale che Freud aveva dato dell'adolescenza nei "Tre saggi sulla teoria della sessualità". Per l'adolescenza,infatti, mentre la sua fase specifica consisterebbe, rispetto ad altre epoche dell'esistenza, nella "fedeltà" (fedeltà che "conserva un saldo rapporto sia con l'infantile fiducia di fondo, sia col più moderno sentimento di fede" Erikson, 1982.), risulta comunque centrale il problema dell'identità e delle sue distorsioni patologiche nella dispersione identificatoria (identity diffusion).
Questo aspetto è stato successivamente tenuto molto presente, nell'ambito della psicoanalisi americana, da Kernberg, sia per ciò che riguarda la diagnosi e la prognosi, sia per la scelta del tipo di psicoterapia da utilizzare nelle patologie giovanili.
Ma, in generale, l'approccio di Erikson ha molto contribuito a dare nuovi significati a quello che, comunque, è uno dei punti di merito della teoria psicoanalitica e cioè quello di essere oltre una teoria clinica, una teoria del conflitto, della patologia e della tecnica del trattamento anche una teoria evolutiva.

Questo interesse agli aspetti evolutivi ha certamente guidato, ad esempio, i Laufer, che partono dalla tradizione della Hampstead Clinic di Londra, fondata da Anna Freud, nell'osservazione accurata delle patologie adolescenzialie che li ha condotti a valorizzare l'esperienza puberale, l'impatto delle prime eiaculazioni e del menarca, come momento decisivo, al di là delle esperienze della prima infanzia, per il riassetto della personalità oltre che per l'instaurarsi di eventuali patologie. Viene, in tal modo, mantenuto fermo il punto di vista freudiano che l'Io è essenzialmente derivato da sensazioni corporee, e tuttavia si sottolinea che esse, durante la pubertà, sono così radicalmente nuove da non essere assimilabili a quelle già vissute nell'infanzia. Nella posizione dei Laufer che, dal punto di vista del modello di sviluppo, potrebbe essere definita moderatamente "discontinuista", viene valorizzata, come è noto, la classica impostazione freudiana centrata sul mondo intrapsichico: la loro proposta è, infatti, di esplorare il mondo interno dell'adolescente, con la sottolineatura dell'assoluta peculiarità della fantasia masturbatoria centrale in questo periodo.

Ai Laufer e al loro gruppo si deve, tra l'altro, certamente riconoscere il merito di aver sperimentato e indicato varie modificazioni nella tecnica del trattamento a cominciare dalla flessibilità del terapeuta e dalla necessaria attenzione da porre agli aspetti organizzativi delle Istituzioni che si vogliono occupare della terapia degli adolescenti.
Proprio a partire dalla loro esperienza clinica essi hanno per primi potuto non solo definire ingiustificata la riluttanza con la quale gli psicoanalisti, ancora fino agli anni '80, prendevano in trattamento gli adolescenti, maanche ribadire che, rispetto a periodi precedenti o successivi, la psicopatologia in adolescenza ha un significato diverso.

La teoria dello sviluppo adolescenziale più recente, di derivazione kleiniana, e per molti versi la più originale, quella di Meltzer, aveva infatti enfatizzato la poca trattabilità dell'adolescente, descritto in una lotta con gli adulti di tale forza e complessità da lasciare poco spazio alla possibilità di poterlo avvicinare. Questa visione "romantica" dell'adolescente-quasi-psicotico, già ampiamente sottolineata da Anna Freud, (e oggi fortemente ridimensionata dagli studi su campioni non clinici di adolescenti (Offer) e dagli studi epidemiologici e longitudinali di Rutter e di Golombek) portava Meltzer ad enfatizzare l'instabilità emozionale dell'adolescente.
Il suo "continuo malcontento", la considerevole scissione nel Sé e negli oggetti che caratterizza il suo stato mentale, dice come è noto Meltzer, fa sì che il centro di gravità dell'esperienza di identità oscilli, nell'adolescenza, continuamente e spinga il giovane ad utilizzare il gruppo per elaborare il proprio senso di identità. Un punto di vista notevolmente diverso da quello dei Laufer, dunque, con minore sottolineatura delle radici corporee dell'esperienza mentale ma con una decisa valorizzazione del contesto in cui l'adolescente vive.

Questa attenzione al contesto, completamente assente nel lavoro dei Laufer, nella visione meltzeriana dello sviluppo è estremamente articolata: dalla famiglia al gruppo, dal gruppo alla comunità. L'attenzione al mondo interno dell'adolescente rimane certamente in primo piano nelle sue teorizzazioni e questo, tuttavia, non impedisce a Meltzer di tenere a mente la realtà esterna almeno nell'interazione che l'adolescente vive con i gruppi importanti per il suo sviluppo, quello familiare e quello dei pari.

Gli studi etologici hanno, nel frattempo, introdotto profonde modificazioni nel modo di studiare il rapporto tra individui e ambiente e le nuove prospettive indicano con chiarezza l'utilità di considerarli come costituenti un unico sistema e di tenere presente la reciprocità e la cumulatività delle interazioni: gli effetti dunque che i genitori hanno sui figli ma anche quelli che questi ultimi hanno sui genitori. Si delinea con accuratezza crescente, la possibilità di identificare un ciclo evolutivo della famiglia e uno spazio delle relazioni familiari occupato, in un certo periodo, dalla "crisi adolescenziale", ma anche dalla "crisi genitoriale".
Quando i genitori utilizzano i figli adolescenti per agire attraverso di essi conflitti personali non risolti e riattivati dall'adolescenza del figlio, i compiti evolutivi che l'adolescente ha di fronte a sé (ad esempio la graduale separazione dalla famiglia, una tappa certamente indispensabile per realizzare un'identità personale) non risultano facilitati. Specie in famiglie fragili, il processo di separazione e individuazione dell'adolescente, nella misura in cui si presta ad essere sentito come una minaccia, può essere in molti modi rallentato od ostacolato.
Articolare l'esplorazione del mondo della fantasia dell'adolescente con quella del mondo reale in cui egli vive significa, in un certo senso, recuperare l'originaria attenzione di Freud agli eventi della vita reale non limitandosi però a quelli traumatici, inizialmente oggetto della sua prima teoria della nevrosi, ma estendendola a tutto quello che nell'ambiente e nei diversi momenti del ciclo vitale può rendere un adolescente capace di mantenere e di sviluppare una maggiore adattabilità (o al contrario spingerlo a livelli di fragilità e vulnerabilità maggiori).

Il compito centrale della psichiatria dello sviluppo, dice Bowlby, psicoanalista anche attento agli sviluppi dell'etologia, in uno dei suoi ultimi scritti (1988), è proprio quello di studiare l'interazione senza fine tra mondo interno e mondo esterno nonché le modalità in cui il primo aspetto influenza costantemente il secondo, non solo durante l'infanzia, ma anche durante l'adolescenza e la vita adulta. Se è ormai ben acquisito come impostare lo studio del funzionamento normale di un organismo a partire dalla sua patologia, si sta dimostrando altrettanto fruttuoso l'assunto che la stessa patologia può essere meglio compresa se si approfondiscono gli studi sullo sviluppo normale (Cicchetti, 1984).

Questi ultimi vent'anni di ricerche sulla relazione madre-bambino sono stati estremamente fecondi nel rivoluzionare le concezioni sulle prime fasi dello sviluppo: lo studio dei legami affettivi con le figure primarie di accudimento (che ha messo in luce l'importanza della complessità delle configurazioni affettive, al di là dell'angoscia, nello sviluppo della mente), ha confermato la loro importanza e la loro stabilità nel tempo.
Si è anche evidenziato che per stabilire legami con altri esseri umani devono potersi sviluppare sistemi motivazionali altrettanto importanti di quello dell'attaccamento. Ma i sistemi motivazionali, come ad esempio la capacità di saper esplorare l'ambiente, sono influenzati dalla capacità della famiglia di adeguarsi alle nuove necessità evolutive dell'adolescente, a proporsi e ad essere utilizzata come "base sicura" alla quale, periodicamente, l'adolescente può tornare.
Le modalità con cui avviene questa seconda "separazione e individuazione", la ristrutturazione dell'identità in relazione alle modificazioni del Sé corporeo, le modalità con cui vengono rinegoziati i rapporti all'interno del nucleo familiare, come si ristrutturano i confini dell'individuo e del gruppo familiare, tutto ciò deve essere oggetto di accurata indagine per valutare la struttura della personalitàdi un adolescente in conflitto con il suo ambiente sociale e per stabilire quanto sia determinante il contributo della famiglia alla psicopatologia dell'adolescente e per valutare il tipo di trattamento eventualmente proponibile.

I dati provenienti dagli studi longitudinali tendono a confermare la originaria raccomandazione di Anna Freud a non patologizzare l'adolescenza. Gli studi su popolazioni non cliniche, d'altra parte, hanno evidenziato che il modello di sviluppo prevalente non è affatto così "tumultuoso" come lei proponeva e ciò rende ancora più indispensabile affinare gli strumenti necessari per discriminare le vere anormalità delle funzioni cognitive, affettive, comportamentali ed interpersonali dalle normali reazioni di assestamento dello sviluppo, nella consapevolezza che è tuttavia altrettanto necessario saper valutare le capacità dell'ambiente di evolvere insieme all'adolescente.

Consigliabile dunque formare degli psicoterapeuti non solo con un'analisi personale già fatta o in corso, ma con un curriculum formativo e di supervisione che li metta in grado di distinguere le caratteristiche evolutive della prima, seconda e tarda adolescenza, di articolare diversamente le risposte in caso di auto- o di eteroreferenzialità, oltre che di essere in grado di fare quelle diagnosi differenziali indispensabili per le indicazioni prognostiche e terapeutiche.

Orientamento Clinico-Formativo

Prima di passare a descrivere l'organizzazione della Scuola, questa breve nota introduttiva si concluderà con alcune puntualizzazioni sui particolari accorgimenti che gli psicoterapeuti ad indirizzo psicodinamico dovranno imparare a tenere presente nel lavoro con gli adolescenti.

Il lavoro psicoterapico con l'adolescente ha, infatti, somiglianze e differenze rispetto al lavoro psicoterapico in altre fasce d'età, in particolare rispetto all'infanzia e all'età adulta.
Rispetto all'infanzia c'è certamente in comune il fatto che ci si occupa anche dei vari contesti evolutivi del paziente. A quest'età, tuttavia, c'è, tra l'altro, da tenere presente la necessità di favorire, per quel che è possibile, uno dei compiti evolutivi più delicati e cioè quella indispensabile rinegoziazione dei rapporti interpersonali, che da un lato permette un certo distacco e una relativa autonomia dell'adolescente dal resto della famiglia e dall'altra consente quel ri-orientamento dei compiti genitoriali tanto più facile da realizzare quanto più i genitori sono in grado di recuperare una loro dimensione di coppia, autonoma dai compiti di accudimento della prole.

Il semplice percorso di attenta valutazione di un caso clinico e del suo contesto ha spesso effetti terapeutici impensabili in altri momenti del ciclo vitale.
Come in ogni fase di transizione evolutiva rapida c'è, infatti, una grande sensibilità ai nuovi input. Dal punto di vista tecnico occorre dunque allenare l'operatore a una grande rapidità di risposte, ad uno stile interattivo più intenso di quello generalmente utilizzato nella terapia con gli adulti. Ciò va incontro alle necessità, in genere impellenti, che l'adolescente ha di nuove letture dei fenomeniche gli si affacciano alla mente e delle nuove esperienze che vive e soddisfa la "fame" di stimoli intellettuali con cui l'adolescente esercita le sue nuove capacità cognitive. D'altra parte, un comportamento del terapeuta di tipo interattivo si coniuga con le particolari disposizioni dell'Io adolescenziale che, ancora esposto a transitori episodi di non integrazione, può giovarsi di quelle esperienze di contenimento dell'angoscia da parte dell'operatore.

Questa attenzione alla gestione dell'angoscia durante la seduta, la lettura accurata di tutti i sentimenti di volta in volta espressi dall'adolescente (dalla vergogna alla sorpresa, alla meraviglia e alla rabbia), la descrizione dei vari Sé dell'adolescente, per come emergono nei vari momenti della valutazione, se da una parte svolgono un'utile funzione di integrazione dell'identità, assicurano nel contempo anche una notevole diminuzione delle interruzioni del trattamento, perché gli adolescenti sono sì disponibili a cambiamenti rilevanti anche in tempi relativamente brevi, ma altrettanto pronti a troncare, con fisiologica impazienza, un rapporto insoddisfacente.
Gli operatori vanno dunque avvertiti dell'importanza di favorire al massimo l'incontro con l'adolescente e di quanto sia auspicabile che a questo assetto operativo individuale faccia riscontro un'organizzazione dell'istituzione in cui si lavora che sia il più possibile orientata ad essere un "servizio a porte aperte".
La necessità di avere strategie ed obiettivi definiti è altrettanto indispensabile nel lavoro con il contesto in cui vive l'adolescente: dai genitori ai fratelli, dai compagni agli insegnanti, ognuna di queste figure può chiedere (o può avere senso che chieda) di essere sentita durante il percorso valutativo o durante il trattamento di un adolescente. In ogni caso si dovrà avere un quadro di "setting" ipotetico per ogni possibile evenienza, flessibile ma allo stesso tempo chiaro all'operatore dal momento che, soprattutto con pazienti di questa fascia d'età, il rischio dell'"agire" è molto elevato.
La specificità della formazione è, ovviamente, rilevante per tutte quelle situazioni di "assestamento evolutivo" e di iniziale patologia proprio per la relativa facilità e rapidità dei cambiamenti ottenibili.
Oltre a patologie già conclamate e consolidate esistono poi patologie specifiche di questa fascia d'età di tale rilevanza sociale (dai disturbi alimentari ai tentativi di suicidio, dai disturbi dell'apprendimento alle tossicodipendenze), da richiedere una preparazione specifica sia per ciò che concerne le metodologie di intervento sia per gli approcci teorici, soprattutto per ciò che concerne la dimensione evolutiva della patologia.


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