OOPART

(Out Of Place Artifacts)

 

Gli

Oggetti Fuori Posto

 

 a cura del Gruppo Mizar

 

Premessa

Nelle pagine seguenti abbiamo messo a disposizione, in maniera più organica possibile, il materiale raccolto in mailing in due settimane  su quegli oggetti che, per la loro non precisata provenienza o dubbia collocazione storica, rappresentano un vero enigma.

Nostro scopo, in questa prima fase, è solo quello di mettere a disposizione dei soci  informazioni pro e contro che possano servire ad avere una visione più completa possibile di qualcosa che, rappresentando un mistero, deve essere necessariamente  oggetto della nostra ricerca.

All’inizio di ogni documento è indicata la fonte e nella parte conclusiva di questa raccolta sono indicati i siti internet che sono stati consultati.

Segue la lista degli articoli che abbiamo reperito su ogni argomento e che, facendo parte dell’archivio dell’Associazione, possono essere consultati o richiesti dai soci in qualsiasi momento.

Riteniamo che questo modo di operare sia uno dei migliori per diffondere l’informazione e stimolare la ricerca e ci auguriamo che a questa prima opera di raccolta seguirà una più approfondita e doverosa analisi.

Probabilmente infatti il materiale messo a disposizione non comprende tutto ciò che riguarda gli “oggetti fuori tempo”, molti altri potrebbero essere trovati a seguito di ulteriori approfondimenti, come pure limitate sono le “notizie contro”.

Altri lavori del genere seguiranno su altri argomenti ed andranno a costituire, con l’aiuto di tutti, il patrimonio culturale dell’Associazione.

Ci sembra giusto cominciare, per doveroso omaggio, da colui che iniziò l’archeologia spaziale, detta oggi anche paleoastronautica.

 

Da “Non è terrestre” di P. Kolosimo

( ed.ne SUGARCo Edizioni,XXII edizione, 1977)

 

 -Nel 1851 nell’Illinois, a Whiteside Country, venivano tratti da 36,5 metri ca. di  profondità due anelli di rame (pag. 15)

-Nel 1885 fu rinvenuto in una miniera austriaca uno stranissimo cubo metallico, attualmente conservato nel museo di Salisbury. Il letto di carbone in cui fu rinvenuto risale all’ era terziaria (da 70 a 12 milioni di anni fa) e l’oggetto da analisi risultò composto di ferro e carbonio, con una modesta quantità di nichelio. Il cubo ha una delle due facce opposte perfettamente arrotondata (pag. 16)

-Nel novembre del 1869 all’ interno  di una roccia delle cd Gallerie dell’ Abbazia di Treasure City nel Nevada fu trovata l’ impronta di una vite lunga 5,8 cm; gli esperti dell’Accademia delle Scienze di San Francisco dichiararono che la scoperta poteva retrodatare di milioni di anni la storia dell’ umanità (pag. 17) 

-Nel Nevada, in un filone carbonifero del Cow Canyon, 25 miglia ad est di Lovelock, fu rinvenuta l’impronta di un piede umano, stampata nell’argilla in piena metà dell’era terziaria (pag. 17)

-Nel museo di paleontologia di Mosca è esposto il teschio di un bisonte preistorico che  ha un foro

circolare nella fronte; il fossile venne rinvenuto ad ovest del fiume Lena nell’allora repubblica

socialista autonoma della Jakuzia (pag. 18)

 

Da “Italia mistero cosmico” di P. Kolosimo

( ed.ne SUGARCo Edizioni, 1977)

 

-Stendere la lista degli oggetti rinvenuti significherebbe, per il momento, fare solo un bilancio superficiale, poiché Medznamor nasconde ancora parecchie incognite. Tra questi oggetti ve n’è però uno che prende letteralmete alla sprovvista gli storici della metallurgia: si tartta della pinzetta a molla d’acciaio, di cui diversi modelli sono riportati alla luce da strati che risalgono all’inizio del primo millennio (pag. 67)

 

-Nemmeno per quanto riguarda l’Asia mancano reperti sensazionali. Alcuni decenni fa venne

rinvenuta nelle caverne del Bohistan, ai piedi dell’Himalaya, una carta celeste. Gli astronomi

notarono che, pur essendo esatta, non corrispondeva a quelle da noi tracciate. Perché? Perché su

questa carta le stelle erano disposte nella posizione che occupavano 13mila anni fa. Questa carta fu

pubblicata nel 1925 dal “National Geographic Magazine” americano, ma già molto tempo

prima…Jean_Sylvain Bailly…esaminando alcune mappe celesti portate dall’India da missionari,

constatò che dovevano essere vecchie di millenni, ma che, comunque, non potevano essere nate in

India, poiché vi erano segnate stelle non visibili dal presunto luogo di origine. I calcoli

svelarono…la zona dove si stende il deserto di Gobi! (pag. 91)

 

-…rinvenimento di una mummia perfettamente conservata (che gli archeologi fanno risalire con certezza a 2100 anni fa) a Mawangtui…tra il ricco corredo funerario…il sudario nel quale era avvolto il corpo, tanto resistente quanto leggero, quasi impalpabile: malgrado la lunghezza (128 cm) pesa soltanto 49 grammi. I risultati degli esami a cui la stoffa è stata sottoposta sono stati comunicati da Pechino …si tratterebbe di una sostanza simile al nostro chiffon di nailon, che fa pensare ad un prodotto di sintesi realizzato molti secoli prima della nostra èra (pag. 147)

 

Da: http://www.modicaonline.com/Fuoriposto.htm

 

In America li chiamano OOPART, Out Of Place Artifacts, ovvero "manufatti fuori posto". Il termine è stato inventato diversi anni fa da uno studioso "eretico", il naturalista americano Ivan Sanderson (molto mal tollerato negli ambienti scientifici per il suo interesse al mistero del triangolo delle Bermuda). Indica le decine e decine di oggetti anacronistici scoperti in questo secolo e nascosti negli archivi e nelle cantine dei musei. Già; gli OOPART vengono tenuti nascosti al grosso pubblico, insinuava Sanderson, perché la scienza ufficiale ha paura ad ammetterne l'esistenza: mettono in crisi la visione della storia acquisita, ci costringono a retrodatare la vita su questo pianeta all'epoca di Atlantide, il mitico continente scomparso circa diecimila anni fa. A meno che gli OOPART non si debbano attribuire al passaggio di visitatori extraterrestri... Qualche esempio di OOPART? Pile elettriche del tempo dei Sumeri (3500 a.C.), lenti da microscopio trovate in tombe egizie, calcolatrici dell'antica Grecia e persino modellini di aeroplani, vecchi però di cinquecento anni! Tutti reali ed esistenti, ma custoditi al riparo da occhi indiscreti!

Dalla candela d'auto...

Il primo OOPART "ufficiale" fu rinvenuto in America. E' il "geode (blocco di cristallo) di Coso"; una pietra trovata nel 1961 sulle montagne di Coso in California da tre gioiellieri: Mike Mikesell, Wallace Lane e Virginia Maxey. A costoro sembrò un bel minerale che, una volta lavorato, poteva essere venduto... Quando cercarono di tagliarlo, la sega si spezzò. Dopo ripetuti tentativi, il geode venne infine diviso in due; rivelò all'interno un cilindretto di metallo lavorato. C'è da dire che la pietra originale era coperta di incrostazioni fossili, vecchie 500 mila anni. I tre gioiellieri si rivolsero ad alcuni scienziati, vennero fatte delle radiografie dell'oggetto, ancora incastrato nella pietra, e si scoprì che era composto da una molla a spirale, un chiodo ed una rondella. Sembrava la candela di una macchina, ma...di epoca preistorica! I tre misero in vendita il loro tesoro per 25.000 dollari, ma non lo acquistò nessuno, forse perché si pensò ad una frode.  

In Medioriente, culla della civiltà, di OOPART ne sono stati trovati molti: fra questi, una lente molata (un cristallo lavorato in modo da ingrandire la visione: il tipico pezzo di un binocolo o un microscopio) in una tomba egizia, a Heluan. Altre lenti simili sono state scoperte in Irak; forse la buona conoscenza degli astri degli antichi Sumeri era dovuta al fatto che, 5000 anni prima di Galileo, conoscevano il cannocchiale?

...alla pila elettrica.

Irak, 1936. Alcuni operai impegnati nella costruzione di una ferrovia vicino a Baghdad dissotterrano, a Khujut Rabu'a, una tomba coperta da una lastra di pietra. All'interno ci sono diversi oggetti artistici, fra cui un vaso d'argilla contenente un cilindro di rame e un tondino di ferro. Il reperto venne messo nella teca di un museo, con l'etichetta "oggetto di culto". Anni dopo, un archeologo dilettante con il pallino dell'ingegneria, il tedesco Wilhelm Koenig, capì di cosa si trattava veramente: di una pila per l'elettrolisi! Se si versava nel vasetto un qualsiasi liquido acido, come il succo di limone, il rame nel cilindro reagiva e produceva una debole corrente elettrica. Se nel liquido "elettrizzato", poi, si infilava un oggetto di metallo, veniva placcato in oro.

Strumenti di precisione.

Grecia, 1900. Al largo dell'isola di Antikythera un gruppo di pescatori di spugne trova il relitto di una nave. In seguito, spedizioni archeologiche sottomarine recuperano l'imbarcazione ed il suo carico: vasellame, statue e diversi oggetti corrosi dal tempo, come una serie di ruote metalliche dentate la cui funzione risulta totalmente ignota. Passano settantadue anni ed un archeologo dell'università di Yale, Derek J. De Solla Price, esaminandole ha un colpo di genio: è un meccanismo ad ingranaggi. Price riuscì a ricostruire il contenitore di legno: c'erano dei misuratori all'esterno, che rappresentavano lo zodiaco; una manovella e, all'interno, le ruote dentate. Queste ultime erano di per sé una scoperta eccezionale: sino ad allora si riteneva che gli antichi greci non le conoscessero. Quando Price ebbe ricostruito l'intero oggetto, capì che si trattava di una macchina per calcoli astronomici. Ruotando la manopola, le ruote dentate azionavano alcune lancette che segnavano il moto del sole, nonché il sorgere ed il tramontare di astri e costellazioni.. Altri quadranti riguardavano i pianeti ed i fenomeni lunari. Questo reperto è stato spesso "invocato" dai cultori di ufologia come prova dell'incontro con extraterrestri: solo una civiltà aliena avrebbe potuto insegnare agli antichi greci come costruire un simile apparecchio astronomico di precisione. E per rafforzare questa tesi, fanno notare che altri OOPART, cioè una serie di monili d'oro precolombiani rinvenuti in Bolivia, costituiscono un vero e proprio richiamo per il cielo. Scambiati inizialmente per gioielli a forma di uccello, raffigurerebbero in realtà degli aerei o degli shuttle: hanno le ali squadrate, la calotta per l'equipaggio ed il timone verticale posteriore. Il pilota tedesco Peter Belting ha provato a costruirne un modello in scala, munito di motore: e lo ha fatto volare!

Una lampada egizia!

In particolare i tedeschi, che vantano credenze antiche e radicate sull'esistenza di continenti perduti, studiano questi oggetti che potrebbero provare la realtà di Atlantide. Lo scienziato Arne Egghebrecht ha ripetuto in Germania, davanti alle telecamere, l'esperimento di Koenig; un voltometro ha misurato la debole corrente sviluppata dalla "pila di Baghdad". Non solo, con quel procedimento Egghebrecht ha potuto dorare dei monili. "Gli accademici ufficiali", ha poi dichiarato, "non vogliono riconoscere l'importanza di questa scoperta, che gli antichi cioè conoscevano l'elettricità, perché dovrebbero altrimenti ammettere che buona parte dei monili d'oro custoditi nei musei sono solo placcati". Gli antichi, dunque, conoscevano l'energia elettrica? Forse sì. Nel tempio egizio di Dendera, un rilievo mostra quella che alcuni interpretano coma una moderna lampadina. E' un bulbo con una serpentina all'interno e, alla base, uno strano congegno che gli egizi chiamavano "Zed" e che stava ad indicare l'energia. "Di queste insolite e anacronistiche raffigurazioni che, piaccia o meno, esistono e fanno riflettere, non è mai stata data una spiegazione ufficiale soddisfacente", ha dichiarato Laura Pisani, che ha catalogato i principali reperti "anomali" sparsi ai quattro lati del globo. "Ma una cosa è certa, che tutte queste scoperte sono localizzate principalmente in quelle aree caratterizzate... dalla costruzione di piramidi: Egitto e Mesopotamia, Siberia, Cina, Messico e Sudamerica".

Le viti dei dinosauri.

Gli ultimi OOPART sono stati trovati in Russia, fra il 1991 e il 1993, da una spedizione archeologica che stava setacciando il letto del fiume Narada, vicino ai monti Urali. Scavando negli strati preistorici, risalenti al Pleistocene (vecchi cioè due milioni di anni) hanno trovato diverse viti, placche e rondelle microscopiche, grandi dagli 0.003 millimetri ai 3 centimetri. Quasi invisibile a occhio nudo, esaminate al microscopio elettronico sono risultate essere dei manufatti, degli oggetti lavorati con intelligenza! Ma sono assai più antiche dell'uomo. Quale è la loro origine? Atlantidea o extraterrestre? L'analisi dei reperti ha provato che essi sono composti da metalli rarissimi quali il molibdeno ed il tungsteno (lo stesso dei fili delle lampadine elettriche). Sono stati inviati alle Accademie delle Scienze a Mosca, San Pietroburgo e Syktyvka, e anche in Finlandia, ad un istituto di Helsinki. La notizia non ha avuto grande risalto, sino a che uno studioso, Hartwig Hausdorf, ha divulgato in Internet la valutazione dell'istituto di Geologia di Mosca. Per la prima volta la scienza ammette che questi oggetti sono autentici. E, visto che precedono la comparsa dell'uomo, con possono che essere di origine extraterrestre!

 

Da  http://digilander.iol.it/Acam/realtastorica.htm

La realtà storica fra vecchi confini e nuove frontiere.

di Antonio Mattera

 

Mentre ci lanciamo nel futuro e verso spazi illimitati, come è giusto che sia, non manchiamo però di allargare i nostri orizzonti anche retrospettivamente. Così con le nostre ricerche, gli studi e le scoperte ripercorriamo a ritroso quel cammino che è stata la nostra storia, composta da un insieme di scoperte, intuizioni e verifiche che hanno portato l’uomo dalla scoperta del fuoco all’invenzione della ruota, dalla costruzione delle piramidi alle prime esplorazioni geografiche, sino alla nostra epoca, dominata dai computer e satelliti artificiali. La riscoperta dei nostri tempi antichi, usanze, miti e vestigia, fa parte del bagaglio di una branca scientifica, forse antica quanto l’uomo (il quale ha sempre avuto sete di conoscenza) ma riaffermatesi con estremo vigore nel corso degli ultimi secoli: l’archeologia. E’ ad essa che chiunque, dallo studente allo studioso, fa riferimento allorché si vuole estinguere il sacro fuoco della conoscenza della storia antica; è ad essa che tutti i nostri canoni storici, i nostri schemi tradizionali, sono dovuti. Ma è sempre veritiera o, a volte, è foriera di invisibili inganni? Grazie a nuove scoperte e all’uso del carbonio 14 (essenziale per determinare l’età di certi manufatti) si fa sempre più evidente il fatto che la civiltà, nelle sue varie forme, ha avuto origine in un lasso di tempo più antico (nell’ordine delle migliaia di anni) di quello generalmente supposto. Eppure non sempre tali scoperte godono della giusta considerazione, anzi spesso sono confutate con vigore dagli archeologi, oserei chiamarli "dogmatici", se non addirittura ignorate, finendo nel limbo dei cover-up, volendo utilizzare un termine molto in voga nella seconda parte del ‘900. Gli ultimi anni del secolo hanno portato alla nascita di numerosi movimenti, quali la New Age ad esempio, a falsi o improbabili profeti di rinnovamento globale, al rifiorire di dottrine esoteriche, e anche di nuovi fattori che hanno caratterizzato la seconda parte del 1900, qual è stata l’ufologia, tutti elementi che hanno portato al rigoglio il filone fantarcheologo e fanta-storico, creando industrie che tramite libri, video, film ed altro hanno fruttato miliardi e procurato più di un attacco di bile agli studiosi accademici. Non che fosse una novità, infatti anche nei secoli precedenti c’è stato chi, a scadenze più o meno fisse, portasse avanti le tesi più disparate sull’evoluzione storica dell’uomo, basti citare elementi come Platone (forse l’artefice del caso-Atlantide), Proclo, Cantore, Francis Bacon, Athanasius Kircher, Milena Petrova Blavatsky, Ignatius Connelly, Fulcanelli. Edgar Cayce con le sue letture psichiche ed altri, senza dimenticare Charles Darwin il quale, pure non trattando assolutamente il mito atlantideo o di altre civiltà sepolte, darà una spallata considerevole a quelle che erano le credenze ramificate nel corso dei secoli con la sua teoria dell’evoluzione dell’uomo. Ai giorni nostri ecco che la tematica di una diversa evoluzione storica dell’uomo è ripresa con enfasi da autori come Hanckock, Von Daniken, Bauval, West, Wilson, Collins, Sitchin ed altri, i quali asseriscono, fatti alla mano ( o almeno sostengono di possedere tali fatti) che le piramidi e altre strane costruzioni sparse dal mondo, anacronistiche, rispetto al tempo e ai popoli a loro assegnati, per via di tecniche e capacità costruttive, sarebbero da attribuire a una civiltà immensamente più erudita e antica, della quale abbiamo perso il ricordo. Purtroppo non sempre questa ricerca và eseguita con i dovuti canoni e spesso, come nel caso di Von Daniken, il quale pur di piegare a suo compiacimento alcuni elementi non esita spesso a fare solo una grande confusione con evidenti forzature, il lavoro molto farraginoso di alcuni autori và a discapito del lavoro di altri ricercatori, i quali si pongono lo stesso obiettivo ma con argomentazioni diverse molto più sostenibili. Ma tali dubbi sulla nostra cronologia storica hanno ragione di esistere? E come si pone l’archeologia tradizionale rispetto a tali tematiche ? Si potrebbe stare un libro intero a discutere sulle capacità ingegneristiche, tecniche ed astronomiche di popoli quali Maya, Aztechi, Incas, Egiziani, ma alla fine credo che le prove più importanti non siano solo quelle grandi costruzioni tramandateci, ma sono da ben considerare altrettanto importanti argomenti quali le strane mappe nautiche rappresentanti territori sconosciuti all’epoca della loro compilazione, miti e leggende comuni a popoli distanti miglia, mari e monti, ricordi ancestrali e strani manufatti, in arte chiamati O.O.P.A.R.T., non classificabili nei normali canoni storici. Come risponde l’archeologia di fronte a questi fatti? Ebbene non risponde affatto o se lo fa è con molti elementi dubbiosi. In effetti non sentirete su nessun libro di storia, scolastico e non, o su una rivista di archeologia tradizionale, parlare delle Mappe di Pìri Reìs, Buache, Fineo, degli strani oggetti volanti (Vimana) di cui si tratta con descrizione dettagliate di materiali usati per la loro costruzione, combustibile e capacità tecniche, tutte cose riportate in numerosi testi indù, antichi di migliaia di anni e tradotti, nella maggioranza dei casi, in epoche dove tali argomenti avrebbero destato incredulità, poiché non se ne avevano riscontri nella società di allora.Né sentirete parlare delle pile di Baghdad, che stanno lì a dimostrare che qualche concetto di elettricità, anche se molto primitiva e per scopi puramente galvanici, gli antichi sicuramente possedevano; oppure dei monoliti giganteschi di Balbeek; o delle straordinarie capacità astronomiche di popoli, capaci di descriverci non solo il numero ma anche i moti dei pianeti, mentre la " nostra" civiltà ha scoperto gli ultimi pianeti all’inizio del secolo.. Costruzioni megalitiche, conoscenze astronomiche e geografiche, miti e leggende sui luoghi di origine, su diluvi, o su semi-dei giunti da terre lontane, sono elementi comuni in molte parti del mondo, tanto da far pensare a più di una semplice coincidenza. Eppure molte scoperte sono avvenute proprio attraverso la rilettura di miti e leggende. Un esempio? Quando il semi-dilettante archeologo tedesco Heinrich Schielmann si accinse alla scoperta della mitica Troia, fù oggetto di scherno da parte degli studiosi ufficiali, non tanto per non essere, obiettivamente, un vero e proprio addetto al mestiere, ma, bensì, per credere ciecamente a ciò che aveva scritto Omero. Grazie a questa sua " fede" cieca, ecco che oggi gli archeologi discorrono sulle cause del lungo conflitto, percotendosi, a mò di mea culpa, il petto. Il lavoro dell’archeologia è importante ma il trincerarsi dietro i bastioni del dogma archeologico come unico summa di tutta la nostra storia, a volte diventa un arrampicarsi sugli specchi così come lo è in alcuni punti la ricerca di altre civiltà, antiche o, addirittura, aliene. Quanti O.O.P.A.R.T giacciono sepolti sotto la polvere di desolanti magazzini, pure di non decifrare il loro antico messaggio ( è il caso del famoso e presunto modellino di aliante egiziano, il quale ritrovato in un magazzino fù poi esposto in mostra insieme ad altri suoi simili)? La Grande Piramide è di Cheope? Benissimo, portiamo come prova i pochi geroglifici trovati (celati in una camera nascosta) e per di più scritti in forma errata, mentre del piatto di ferro trovato dallo stesso scopritore delle scritte, Vyse, non si trovano più tracce. Eppure se i geroglifici potevano dimostrare l’appartenenza a Cheope di tale piramide, il ritrovamento del piatto, incastonato in un blocco, di ferro (materiale sconosciuto agli egizi) avrebbe procurato più di qualche quesito. Lo stesso Sir W. M Flinders Petrie , vero gigante dell’egittologia e portato ad esempio dagli stessi archeologi di tutti i tempi, ebbe modo di esternare la sua sorpresa, quando nel 1881 potè riesaminare tale piatto metallico: "….Benché siano stati sollevati alcuni dubbi riguardo al pezzo, esclusivamente per la sua rarità, le prove della sua autenticità sono molto precise; vi si può notare un calco di nummulite (protozoo marino fossilizzato) sulla parte arrugginita, il che dimostra che è stato sepolto per intere epoche sotto un blocco di pietra calcarea nummulitica, perciò è sicuramente antico. Non vi può essere dubbio sul fatto che sia un pezzo autentico…". Nessun archeologo vi spiegherà come sono state costruite le piramidi ( la teoria delle rampe può essere facilmente confutata e in quanto alla forza manuale, beh, vi invito a salire sulla cima della Piramide e vi renderete conto); sono state costruite e basta. Tutti gli archeologi, tranne gli "eretici", vi diranno che sono tombe, perché quelle precedenti lo sono state e così è per le altre anche se non vi è mai stata trovata la benché minima traccia di mummie o altro. Zahi Hawass, archeologo e sovrintendente della Piana di Giza, è commovente, e allo stesso tempo irritante, quando cerca di ribadire continuamente l’appartenenza delle piramidi al popolo egizio, come perno principale proprio della storicità di tale nazione. Il problema è che la conoscenza, sotto ogni aspetto, non dovrebbe avere né bandiere né confini di nazionalità, poiché la nostra storia è la storia di tutta l’umanità. Ma evidentemente per il signor Hawass non è così e lo dimostrano le continue "cacciate" di coloro che non seguono i suoi canoni di pensiero, i rifiuti di aiuti (vedi casi Gantenbrick) quando la patata diventa troppo bollente (chissà se sapremo mai cosa c’è dietro quella porta situata in uno dei canali di "ventilazione" nella camera della Regina, nella Grande Piramide!), per arrivare alle trasmissioni tv in diretta dove ci viene spiegato che assisteremo all’entrata in una camera celata della Sfinge e invece ci porta in una tomba di un dignitario di corte. Ma la cosa più importante è quando lo stesso Hawass, per altro stimatissimo archeologo, dà l’impressione di voler prendere per i fondelli chi legge i suo articoli, sperando in una qualsiasi forma di ignoranza dell’argomento. Infatti ecco uno stralcio di un suo articolo uscito sulla rivista "Horus": "….Molte persone sostengono che gli antichi Egizi non avrebbero mai potuto spostare pietre il cui peso si aggirava tra le cinque e le dieci tonnellate) di conseguenza, deve esserci stata una civiltà ancora più antica e civilizzata responsabile di questa struttura monumentale. Nel 1998, Art Bell mi venne a trovare in Egitto. Andammo nell'area dietro il mio ufficio dove gli operai tagliano le pietre per restaurare le tombe. Osservavamo gli operai: essi adoperavano lo stesso metodo utilizzato dagli antichi Egizi: in modo specifico come gli operai tracciavano un linea sulla pietra da una fine ad un'altra; poi nel mezzo di questa linea, essi ponevano un cuneo di ferro contro la pietra. Poi, percuotevano il cuneo con un asse, e in una frazione di secondi, la pietra era divisa in due pezzi .." Sarebbe tutto perfetto se non per un piccolissimo particolare: a quanto ci è dato saperne, o almeno per quanto ne siano a conoscenza gli archeologi stessi, gli egizi non conoscevano il ferro, anzi pare che la lega metallica più resistente a loro disposizione fosse il bronzo!Eppure con il bronzo gli egizi scavavano, trapanavano, modellavano, arrotondavano, limavano elementi durissimi quali il granito di Assuan e la diorite! Un errore di sbadatezza da parte del caro Hawass o voluta negligeranza?  Si respira tanto un clima di santa Inquisizione, con i dovuti paragoni ed effetti diversi, su tale problematica, e d’altronde non potrebbe essere diversamente: sostenere tali tesi di corsi e ricorsi storici significherebbe rimettere in discussione un certo numero di dogmi ai quali la scienza, la storia, la religione ci hanno assuefatto sin dai primi giorni di scuola. Se tali tesi sull’esistenza di nuove civiltà ancestrali venisse provata provocherebbe terremoti e sconquassi nel nostro paradigma storico, così come lo hanno provocato nei tempi passati le teorie di Galileo Galilei e di Darwin (anch’esse ostacolate ma poi veritiere). Così come cambiamo orario al passaggio del fuso, dovremmo riposizionare indietro le lancette dell’ orologio della nostra storia e varie dottrine scientifiche e religiose dovrebbero mettersi in discussione fra di loro e con se stesse, prendendo come esempio una nuova visione storica e religiosa. Niente di più normale che tali argomentazioni, quindi, allorché vengono portate alla luce e si cerca di suffragarle con elementi ( e, badate bene, non è vero che non ne esistano) siano subito ferocemente contrastate e volutamente screditate dalla scienza. In effetti cose del genere sono già successe, nel corso dei secoli, anche se con motivazioni diverse: l’avversione dei Romani verso i Cristiani, la fondazione della Santa Inquisizione da parte di una Chiesa cattolica atta a eliminare chiunque potesse interferire con il proprio potere e via discorrendo. Però alla fine al verità, o la presunta tale, è sempre venuta a galla! Ben vengano quindi gli archeologi con i piedi per terra, come lo stesso Petrie, osannato dagli stessi "dogmatici",il quale di fronte alle meraviglie della Grande Piramide mosse più di un dubbio sulle capacità realizzative del popolo egizio. Ben vengano anche scrittori come Hanckock, Bauval ed altri che danno una nuova chiave di lettura della nostra storia, purchè lo facciano partendo da fatti reali, concreti e non mere illusioni o giochi di prestigio letterario.La "conoscenza" ha bisogno di tutte le frecce del suo arco, poiché spesso essa è come una medaglia che ha sempre due facce, rappresentanti l’una l’incisione raffigurativa, l’altra l’incisione commemorativa.

AUTORE: Mattera Antonio, nato a Roma il 09/10/1968 e residente in Ischia (Na).

Diplomato Capitano di Lungo Corso, e congedatosi dalla Marina Militare con i gradi sergente e qualifica Radiotegrafista-Radiotelescriventista.

 

Da “Antichi astronauti”

di William H. Stiebing Jr

Avverbi Edizioni

 

In questa introduzione invece ci è parso opportuno dedicare un po' di spazio a qualche riflessione di carattere generale e ad alcune avvertenze, utili per meglio orientarsi nel labirinto della paleoastronautica/fantarcheologica, evitando di inciampare nei malintesi, nelle approssimazioni, nei travisamenti e nelle spudorate bugie che sono in agguato ad ogni passo.

Le etichette proposte per definire il fenomeno sono diverse a seconda degli autori: "antichi astronauti", "astronavi sulla preistoria", "clipeologia" (da clipeus: scudo, con riferimento alla forma dei dischi volanti), "archeologia misteriosa", "paleoarcheologia", eccetera.

Al di là di poche differenze marginali, tuttavia, l'ipotesi di partenza è sempre la stessa, e cioè che la vita e la civiltà umana non sono fenomeni autoctoni ma esogeni, iniziate e sviluppate sotto la guida di visitatori alieni, che del loro intervento avrebbero lasciato tracce e  testimonianze evidenti, rimaste però inosservate o erroneamente interpretate per molti secoli. L'ipotesi di partenza si sviluppa poi secondo un copione ben definito. Vediamone i passaggi cruciali.

> Le prove:

· i cosiddetti "manufatti impossibili" o più pomposamente Out of pIace artifacts (OOPArt), cioè i reperti "fuori fase" rispetto alla tecnologia corrispondente alle epoche in cui sono stati prodotti. Come sarebbe il caso della famosa "pila di Babilonia", cioè il vaso di terraglia del III secolo a.C. contenente un cilindro metallico capace di generare corrente elettrica, dissotterrato nel 1936 in un villaggio mesopotamico e rimasto sepolto per anni nel deposito del Museo delle antichità di Bagdad insieme ad altri 612 oggetti provenienti dagli stessi scavi e ritenuti privi di interesse archeologico;

· la documentazione visiva reperibile su antichi monumenti e bassonlievi, nonché su affreschi e dipinti di varie epoche, da "rileggere" nella nuova prospettiva aperta dall'archeologia spaziale (dal famoso "astronauta" di Palenque sino ai "dischi volanti" scoperti nelle tele di Masolino da Panicale, Pinturicchio e Filippo Lippi);

 · i riferimenti a "presenze celesti" rintracciabili in antichi testi religiosi e nella memoria collettiva dell'umanità (dalla Bibbia e gli Apocrifi del Vecchio e Nuovo Testamento al Popol Vuh maya, al Ramayana e al Mahabharata della grande tradizione epica indù, per arrivare infine alle più disparate tradizioni orali provenienti da varie parti del mondo;

· la "rilettura" in chiave tecnologico-spaziale di specifici avvenimenti e personaggi sia storici che leggendari: dai "miracoli tecnologici" di Mosè alla "distruzione atomica" di Sodoma e Gomorra; dalla costruzione del complesso megalitico di Stonehenge alle battaglie aeree tra gli dei della mitologia vedica a bordo dei loro vinana volanti; e via di questo passo;

· il recupero più o meno a (s)proposito dei principali evergreen dell'immaginario pseudo-archeologico popolare; dalla piramidologia ("piramidiozia" come è stata recentemente ribattezzata dal Times Literary Supplement) con annessa Sfinge, al misterioso mondo celtico, ai supposti segreti delle civiltà precolombiane e all'inevitabile terzetto Atlantide-Mu-Lemuria (insieme con le altre "civiltà perdute", di origine più meno romanzesca, sparse qua e là per il mondo).

>         I tempi: dalla più profonda preistoria alla vigilia dell'era moderna.

>         Lo scenario: tutto il mondo dalla Valcamonica all'India, dal Ghana all' Amazzonia, dal Giappone alla Polinesia.

>         I riferimenti di rigore: oltre naturalmente alle "pile di Babilonia" e all'inevitabile antico Egitto, soprattutto le "piste di Nazca" e i monumenti ciclopici di Tianhuanaco in vetta alle Ande; le statuette giapponesi Dogu con i loro "caschi spaziali" e gli "uomini in tuta" sui graffiti delle rocce dei Tassili nel Sahara; le "lampadine a incandescenza" dipinte su una parete del tempio egizio di Dendera e l"'Arca elettrica dell'Alleanza"; i modellini di "aerei precolombiani con ali a delta" del museo di Bogotà e il famigerato "astronauta" alla guida dl. un razzo su una stele funeraria a Palenque; l"'astrocalcolatore" del I secolo, recuperato dal fondo del mare a Anticitera e il "planetario completo del nostro sistema solare" di origine olmeca, per finire con la "mappa aerea" delle coste del Nuovo Mondo firmata da Piri Obn Haji "Reis", ammiraglio della flotta turca al tempo di Solimano il Magnifico nel XVI secolo, "sicuramente (?) anteriore al fatidico 1492". Nonché - tanto per finire in bellezza - il teschio risalente a quarantamila anni fa conservato al Museo naturale di Londra, con un foro di proiettile sulla fronte, e il geode naturale scoperto nelle montagne californiane di Coso, vecchio di almeno mezzo milione di anni ma con un'anima di porcellana e metallo...Per non parlare delle recentissime new entries, per il momento non ancora arrivate alla celebrità: l'antichissimo modulo spaziale" scoperto a Istanbul, le cosiddette "pietre di Ica" con la prova (?) di presenze intelligenti nel Perù del mesozoico, gli "uomini pesce" giunti da Sirio nella Mesopotamia del XII secolo a.C., per citare solo i casi più clamorosi.

Tutto questo per quanto attiene alla tesi di fondo, all'obiettivo dell'indagine, alla cronologia e alla geografia delle ricerche, alle fonti consultate e alle "prove a carico" maggiormente frequentate.

Un menu certamente assai suggestivo (almeno se preso al suo valore facciale e senza star troppo lì a cavillare): ed è su queste basi che la cosiddetta paleoastronautica si è potuta far avanti con grande baldanza passando rapidamente dai semplici "interrogativi scomodi" avanzati persino con qualche lampo d'ironia dal pioniere Kolosimo alle certezze categoriche formulate dal "re degli antichi astronauti" von Daniken in quella che lui ama definire "la mia teoria". Eccola:

·     esseri extraterrestri visitarono la Terra circa dieci millenni fa "probabilmente (?) dopo una "battaglia intergalattica" e furono venerati come dei per le loro straordinarie conoscenze scientifiche;

·     questi visitatori alieni alterarono il Dna dei primati, creando i primi uomini intelligenti per poi fornire loro una tecnologia avanzata andata però perduta dopo la loro partenza;

·     i resoconti dei loro interventi sono riferiti in forma simbolica nei testi sacri dell'antichità e le prove della loro presenza - con un po' di buona volontà - sono ancora reperibili fra i ritrovamenti archeologici.

Nel suo libro Angeli, dei, astronauti. Extraterrestri nel passato, lo stesso capofila dell'ufologia italiana, Roberto Pinotti, è tutt'altro che indulgente nei confronti di von Daniken, al quale attribuisce sia il "merito" di aver promosso la paleoastronautica, sia la colpa di averla "screditata" con la sua "frenesia di interpretare in chiave extraterrestre qualunque mistero o anomalia dell'archeologia", ricorrendo a quella che egli accetta di definire come "una pericolosa mistura di mezzi fatti e mezze verità che talvolta si trasforma in totale menzogna" (Francis Hitching). Scrive infatti Pinotti, ed è bene citarlo per esteso dato il suo atteggiamento certo non sospettabile di scetticismo in campo ufologico:

“Altre presenze sicuramente esistono nell'universo: [ma] una loro possibile manifestazione trova davvero riscontro a livello antropologico, storico, tecnologico e - in questo specifico caso - archeologico? Il puro e semplice 'pezzo' insolito ed evocativo, da solo non basta. Quest'ottica ha il vantaggio di 'scremare' la massa delle 'anomalie archeologiche', prendendo realisticamente in considerazione solo quegli eventi archeologici collegabili al problema che presentino altresì fattori antropologici, storici o tecnologici tali da giustificare un possibile riferimento effettivo a presenze allogene. Il che implica che buona parte del discorso portato avanti finora con emotività ed entusiasmo da parecchi Autori andrà notevolmente ridimensionato”.

Ma a dispetto di ogni presa di distanza anche da parte dell'ufologia ortodossa, gli "antichi astronauti" continuano ad incombere sul nostro passato (e malauguratamente anche sul nostro presente).Come difendersi?

 

 

Da http://digilander.iol.it/Acam/cartografia.htm

 

Antiche mappe - Cartografia Antica, di Antonio Mattera

 

 

Un portolano del XVI secolo. In basso si può notare un particolare della costa antartica

(scoperta solo nel 1818) e dello stretto di Magellano

 

 

1492: siamo su una caravella veleggiante nell’Atlantico; nella cabina del comandante un uomo, dai tratti austeri e decisi, studia per l’ennesima volta le carte in suo possesso. Quest’uomo è Cristoforo Colombo e tra pochi giorni passerà alla storia come lo scopritore del continente americano. Sa che i suoi uomini incominciano ad essere esasperati per questa continua navigazione in un oceano che sembra senza fine, ma dalle carte in suo possesso, in parte ereditate dal suocero, sembra che la fine di quel viaggio sia al termine.

Egli è fin troppo sicuro che quelle carte, così anacronistiche per l’epoca, indicanti luoghi e terre mai visti prima di allora (o almeno così si supponeva), non siano menzognere e per infondersi coraggio rilegge la lettera del suo amico Toscanelli, cartografo del tempo, (il quale aveva sottoposto, prima di Colombo, lo stesso progetto al Re di Portogallo) il quale lo consigliava, nel suo viaggio, di far sosta nelle grandi isole che egli chiamava Antilia, dimostrando così di crederci fermamente.

1513: un famoso ammiraglio turco, Pirì Reis, è chino sul suo tavolo, nella sua casa di Costantinopoli, intento a ricopiare, su una pelle di gazzella, alcune antiche mappe di cui per molti versi alcuni tratti sono a lui sconosciuti, benché come ammiraglio della flotta turca, avesse avuto ben occasione di navigare nei mari sin allora conosciuti. La curiosità, e forse la capacità di concepire prima di altri che quelle coste e terre disegnate non siano semplici frutti di fantasia, ma piuttosto il retaggio di antiche conoscenze, fanno in modo che egli persegua un fine che alla vista di molti, allora, sembrava da visionario, ma che ai nostri occhi, oggi, diventa uno dei più grandi quesiti, ancorché spesso ignorato dalla scienza dogmatica.

1737: quasi due secoli dopo Pirì Reìs, troviamo, questa volta in Francia, un eminente geografo francese, Philiph Buache, intento a ricopiare alcune antiche mappe, che tracciano il profilo di un continente fino allora ( e sino al 1818) ancora sconosciuto: l’Antartide. Quello che non può sapere Buache è che il continente di cui sta tracciando il profilo esiste ma che tali tratti territoriali sono stati i suoi confini all’incirca 13000 anni prima, allorché tale terra era libera dai ghiacci che ora la ricoprono.

1959: un anziano professore di Storia delle Scienze, Charles Hapgood, sta studiando, davanti al fuoco del camino del suo studio, nella sua casa nel New Hampshire, alcune antiche mappe; tra le sue mani si trovano infatti le carte di Pirì Reìs, Buache, Mercatore, Oronzo Fineo, ed altre ancora. Ai suoi occhi balza subito la medesima discrepanza presente in tutte questi documenti: esse sono foriere di conoscenze geografiche e cartografiche apertamente in contrasto ai periodi a cui fanno riferimento: le nozioni che rappresentano precorrono di molto il normale progresso geografico e cartografico, così come noi lo conosciamo!

Ho voluto lavorare un po’ di fantasia per rappresentare quelli che potrebbero essere alcuni passi importanti nella conoscenza di alcuni dei più straordinari reperti "fuori posto" che spesso sbucano all’improvviso, quasi a voler sconvolgere l’ordine naturale delle cose e della storia così come noi la conosciamo.

Ma tengo a precisare che i personaggi da me menzionati e le date sono veritiere ( ho lavorato di fantasia sulle ambientazioni) così come sono assolutamente veritiere,ancorché ignorate dalla scienza, le mappe e i documenti da me citati, e che saranno l’argomento di questo trattato, ovvero le mappe " impossibili".

Perché impossibili? La motivazione di questa terminologia credo di averla già chiarita nelle righe precedenti, quindi credo che sia molto più semplice affrontare questo argomento scendendo nei particolari di alcune di queste carte.

Sembra ormai accertato che le Americhe siano state raggiunte, prima di Colombo, dai Vichinghi, le cui tracce risulterebbero in un insediamento sull’isola di Terranova, e lo stesso Heydal, un avventuroso esploratore dei giorni nostri, ha dimostrato che le antiche navi potevano

benissimo intraprendere un viaggio oceanico. Sembra anche che, molto probabilmente, Fenici e Cartaginesi ( e persino i Greci) conoscessero tali rotte e intraprendessero rapporti commerciali con i popoli di tali terre (potrebbero essere così spiegate le tracce di cocaina, prodotto originario del America meridionale,. su alcune mummie egizie (altro cover-up)) e che per difendere tali conoscenze procedessero all’affondamento di tutte le navi straniere che osavano attraversare l’allora confine del mondo conosciuto, le famose Colonne di Ercole (lo stretto di Gibilterra), o addirittura, allor quanto si accorgevano di essere seguiti, arrivassero all’autoaffondamento. In più,numerose leggende di mari impraticabili e mostri orrendi scoraggiavano vieppiù gli altri ardimentosi.

L’ammiraglio cartaginese Imilcone parla di un :" mare impraticabile, pieno di alghe et immoto…dove vento non soffia e le navi diventano putride ( forse un allusione al Mar dei Sargassi, noto per le alghe che coprono la sua superficie e da cui prende il nome, e per le sue bonacce interminabili?)…mentre mostri marini nuotano intorno alle nostre navi…".

Questo potrebbe spiegare come mai il continente americano ed alcuni gruppi di isole (le Antilie, identificabili con Cuba,Haiti,Bermuda etc) fossero di dominio pubblico su alcuni portolani antecedenti la scoperta di Colombo.

Ci sono tuttavia altri elementi che sembrerebbero provare la possibilità che queste rotte fossero conosciute e battute da una razza di navigatori assai più antica e noi completamente sconosciuta Uno dei punti in discussione è la capacità, da parte dei compilatori di tali mappe, di rappresentare un continente , l’Antartide, sconosciuto sino al 1818, ed in condizioni di disgelo, effettuatisi per l’ultima volta non meno del 4000 a.C., agli albori della storia a noi conosciuta.

La capacità rappresentativa di tali terre e il loro posizionamento preciso, dovuta ad un’effettiva conoscenza dei concetti di latitudine e longitudine, qual cosa che implica una conoscenza scientifica e strumentaria cui noi siamo arrivati negli ultimi tre secoli, implica un’altra domanda: se l’Antartide è stata rilevata e cartografata tra il 13000 e il 4000 a.C., quale popolo è stato capace di codesta impresa, allorché i popoli più evoluti da noi conosciuti ( Egizi, Sumeri, Babilonesi, Greci e Romani) erano allora in uno stadio che definire primitivo è molto riduttivo?

Ma andiamo ora all’esame di queste carte.

 

La carta di Pirì Reis.

 

 

particolare della mappa di Pirì Reìs.

In essa si possono notare dei particolari del continente sud americano e del rilevo Andino

ancora sconosciuti all'epoca della sua compilazione (le successive spedizioni di Pizarro metteranno in luce tali particolari)

 

Il 2 novembre 1929, durante il lavoro di catalogazione degli oggetti appartenenti al Museo Topkapi di Istanbul, venne ritrovata una carta geografica, in due pezzi, che lasciò esterrefatti gli studiosi. Quella carta è oggi nota come "carta di Pirì Reis", dal nome del suo autore, Pirì Reis Ibn Haja Mehemet. Pirì era un uomo di incredibile cultura (conosceva il greco, l’italiano, lo spagnolo ed il portoghese) ed uno stimato cartografo. Disegnò la mappa in questione nel 1513, collezionando numerose carte antiche, tra cui una venuta in possesso tramite un marinaio di Colombo, catturato da Kemal Rais, zio di Pirì. Ma che cosa ha di tanto speciale questa mappa? La carta di Pirì ha suscitato l’attenzione di molti ricercatori, poiché è forse la più strana ed incredibile delle cosiddette "mappe misteriose", cioè carte geografiche che raffigurano territori inesplorati ai tempi in cui vennero disegnate. La carta di Pirì raffigura gran parte della penisola iberica, una piccola porzione della Francia, una vasta parte dell’Africa nordoccidentale, le coste dell’america centromeridionale ed un tratto del litorale antartico. Ebbene, nel 1513, molte di queste regioni erano completamente sconosciute, come mostra un esame della cartografia coeva. Dell’Antartide, la carta di Pirì rappresenta la Penisola di Palmer, la Terra della Regina Maud e parecchi picchi subglaciali, al largo delle coste, riconosciuti come tali solo nel 1949 da una spedizione organizzata da Norvegia, Svezia e Gran Bretagna. Lo stesso continente antartico fù scoperto solo durante il XIX secolo (1820). La carta raffigura inoltre, con relativa precisione, altre regioni dell’Antartide che non potevano essere in alcun modo note nel ‘500, poiché ricoperte da ghiacci, e che fu possibile cartografare solo nel 1958 nel programma di ricerche organizzato dall’Anno Geofisico Internazionale:. Tra le diverse miniature che corredano la mappa,è possibile distinguere, accanto alla Cordigliera delle Ande, un lama ed un puma. Questi animali e la stessa Cordigliera dovevano essere, all’epoca di Pirì, completamente sconosciuti, poiché l’esplorazione del sistema andino iniziò soltanto dopo il 1531, quando Pizzarro mosse alla conquista dell’impero Inca. Tutto questo sarebbe spiegabile solo ammettendo che l’America e le coste dell’Antartide fossero già state esplorate in tempi remoti e che antichi cartografi ne avessero realizzato mappe dettagliate. Ma ciò non fa che infittire il mistero: l’ultima volta che l’Antartide sarebbe stata possibile rilevarla e cartografarla priva di ghiacci, risalirebbe a circa 15000 anni fa: Quale civiltà poteva esistere a quell’epoca, in cui storicamente si colloca l’uomo di cro-Magnon? In un suo memoriale, intitolato Bahriye, Pirì afferma che Colombo conosceva l’esistenza dell’America ancora prima di esserci stato, poiché in possesso di antiche mappe che la mostravano, e che avesse usato queste stesse mappe per convincere la regina di Spagna a finanziare la sua impresa. Pirì aggiunge che Colombo vi giunse portando perline di vetro poiché sapeva che gli indiani erano attratti da questo genere di ninnoli. Sempre secondo Pirì, non solo Colombo aveva raggiunto l’America, ma anche i Vichinghi, S. Brindano, Nicolas Giuvan, Antonio il Genovese, ed altri ancora. La carta fu oggetto di studio, nel XX secolo, da parte dello studioso Charles Hapgood, la quale per confermare le proprie impressioni, la sottopose allo studio dell?USAF, l’ente aeronautico militare degli USA. La loro risposta fù strabiliante in quanto essi stessi asserivano, in una nota inviata ad Hapgood, che era inspiegabile l’esistenza di tale mappa, in quanto riportante elementi non conosciuti all’epoca di Pirì Reis o di qualunque altra civiltà, a noi conosciuta, di epoca antecedente. Ciò costrinse Hapgood a rigettare l’idea che la mappa derivasse da sunti Vichinghi, in quanto, seppur essi fossero mai giunti, prima di Colombo, nelle Americhe, non avrebbero potuto rilevare il continente Antartico, in un’ eventuale altra spedizione, così come era stato disegnato, cioè senza ghiacci. Non è nemmeno possibile che sia stato il marinaio di Colombo, catturato dallo zio di Pirì Reis, ad informare lo stesso Pirì in maniera tanto dettagliata, poiché, al ritorno della sua quarta spedizione (1504) Colombo aveva esplorato soltanto le coste dell’Honduras, Costarica, Nicaragua e Panama. Hapgood conclude che doveva esserci stata un’antica civiltà di re dei mari, con conoscenze marittime, geografiche et astronomiche, estremamente sviluppate e poi andate perdute.

 

La carta di Oronzo Fineo

 

 

 

 

 

Charles Hapgood nella sua ricerca di portolani antichi,oltre alla carta di Pirì Reìs, si imbattè in unaraffigurazione del 1531, opera di Oronzio Fineo chiamata, appunto, "Mappamondo di Oronzio Fineo". Tale mappa è il risultato di copiature di numerose carte "sorgenti" e rappresenta la parte costiera del continente antartico priva di ghiacci. In essa il continente antartico è fedelmente riprodotto e posizionato , geograficamente, perfettamente. Su di esso vengono annotate catene montuose e fiumi, quali effettivamente abbiamo scoperto siano esistiti, ora coperti dalla coltre di ghiacci. La parte interna invece e priva di raffigurazioni fluviali e montuose, il che ci indica che tale parte, a differenza di quella costiera, era già ricoperta di ghiacci.Il mappamondo di Fineo sembra essere un'altra prova convincente riguardo alla possibilità di una remota colonizzazione del continente australe e lo ritrae in un'epoca corrispondente alla fine dell'ultimo periodo glaciale. La carta mostra anche numerosi estuari, insenature e fiumi, a sostegno delle moderne teorie che ipotizzano antichi fiumi in Antartide in punti in cui sono oggi presenti ghiacciai come il Beardmore e lo Scott. I vari carotaggi effettuati negli ultimi tempi sono a sostegno della tesi che l'Antartide era un tempo abitabile: i campioni sono ricchi di sedimenti che rivelano condizioni differenti di clima, ma soprattutto si nota una rilevante presenza di grana fine, come quella che viene trasportata dai fiumi. Inoltre, i carotaggi rivelano che solo intorno al 4000 a.C. l'Antartide venne completamente ricoperto dai ghiacci.

 

 La mappe di Mercatore e Buache

 

 

il mappamondo di Mercatore: in basso si può notare la famosa terra Australis,

a lungo creduta una leggenda finché non fu scoperto il continente antartico nel 1818.

 

Chi erano Gerardo Mercatore e Philiphe Buache?  Mercatore, conosciuto ancora oggi per la proiezione cartografica che porta il suo nome,fu un insigne studioso della sua epoca, tanto che la sua voglia di sapere lo portò, nel 1560, ad avventurarsi in Egitto per visitare la Grande piramide e ad accumulare testi antichi per la sua biblioteca personale.Nel suo "Atlante" rappresentò il continente australe, (questo nell’anno 1569, e ricordiamo che il continente antartico fu scoperto solo nel 1818): alcune parti identificabili di tale continente sonoCapo Dart, il Mare di Amundsen, l'isola Thurston, le isole Fletcher, l'isola di Alexander I, la penisola Antartica di Palmer, il Mare di Weddel, la Catena Regula, la Catena Mühlig-Hoffman, la costa Principe Harald, e la Costa principe Olaf. Buache era un geografo francese del XVIII secolo.La sua carta ha una peculiarità unica: rappresenta, perfettamente, il continente antartico completamente privo di ghiaccio. Ricordiamo che la topografia subglaciale di tale terra fù possibile solo nel 1958. Il canale navigabile che sembra dividere in due il continente esisterebbe realmente se non fosse ricoperto dai ghiacci eterni, quindi dovremmo dedurre che le carte originali, cui dovette fare riferimento Buache per la compilazione della sua mappa, erano antecedenti di millenni rispetto alle fonti a cui avevano attinto Mercatore, Fineo, Pirì Reìs.

  

 

 

la mappa di Buache, in cui si può notare il canale che divide

in due il continente antartico, se questi fosse libero dai ghiacci.

 

 

Conclusioni.

Cosa aggiungere di più a quanto già detto? Le vicissitudini che hanno passato i documenti antichi nel corso dei secoli (basti ricordare che uno sceicco usò i testi della biblioteca di Alessandria, forse la più importante e fornita, nell’antichità, per fornire di combustibile i bagni pubblici della città, sostenendo che se quei testi contenevano insegnamenti contrari a quelli del Corano, erano da condannare per empietà, mentre se tali testi si confacevano al Corano, inutili in quanto bastava lo stesso Corano. Oppure ricordiamo le distruzioni di testi maya, perpretati, in nome della fede cattolica, dal vescovo Landa in Messico.), bastano a spiegare la mancanza di documenti risalenti ad un’antica civiltà, precursore di tutte le altre. Inverosimilmente vi sono testi che citano tali documenti. Ecco, queste strane mappe, ricavate da documenti originali molto più antichi, potrebbero essere l’unica prova, tangibile, di un passato, di una storia, di una gloria, che fù, e a cui la scienza dogmatica, intransigente, nega l’opportunità di rivelarsi appieno, celandosi dietro un imperioso no-comment o addirittura ignorando impassibilmente questi frammenti di storia antica che ogni tanto si riaffacciano, quasi a voler sfidare la stessa scienza, beffardamente, ponendoci nuovi quesiti e attendendo nuove risposte.

Antonio Mattera, nato a Roma il 09/10/1968, residente in Ischia (Na), diplomato Capitano di Lungo Corso,e congedato dalla Marina Militare con i gradi sergente, categoria Radiotelegrafista Radiotelescriventista.

Indirizzo e-mail: cojmat@tin.it

 

 

 

Da “Focus Extra”

 Numero speciale inverno 2001

 

 Etichette di comodo.

E gli Opa? Molti si sono rivelati falsi misteri.

La pila di Baghdad potrebbe effettivamente funzionare come tale, ma gli esperti hanno dimostrato che genererebbe circa mezzo volt di corrente: una quantità appena sufficiente a placcare qualche oggetto in metallo.

La colonna di Delhi non arrugginisce semplicemente perche' composta di ferro talmente puro che il sottile strato di ossidazione formatosi in superficie la protegge da ogni ulteriore corrosione. L'impossibile geode di Coso - hanno scoperto nell'autunno scorso Pierre Stromberg e Paul Heinrich - non è affatto un geode,ma un blocco di argilla indurita che racchiude una candela per auto, marca Champion, degli Anni '20.

Altri manufatti,invece, sono davvero stupefacenti, ma rapportabili alle tecnologie coeve. Come il meccanismo di Antikythera, costruito nel tardo periodo ellenistico,quando i Greci avevano raggiunto conoscenze astronomiche molto avanzate e una grande abilità nel realizzare congegni meccanici.

Quanto sin qui detto, però, non elimina il fatto che nei musei di tutto il mondo continuino a essere esposti, spesso sotto la pigra e ingannatrice etichetta di "oggetti di culto", molti reperti che mettono in dubbio le nostre certezze circa le conoscenze e il livello tecnologico raggiunto da questa o quella antica civiltà.

 Sergio De Santis e Marco Casareto

  

 

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html :

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

Antichi utensili

Antichi utensili. In una cava di calcare nel 1786, i lavoratori, dopo aver scavato per circa 20 metri sotto il livello della cava arrivarono fino ad uno strato di sabbia, dove trovarono resti di colonne di pietra e frammenti di rocce semilavorate. Scavando ancora più in basso rinvennero monete, alcuni manici in legno di martelli, ormai pietrificati, e resti di altri utensili in legno, pure pietrificati. Lo strato di sabbia dove è avvenuto il ritrovamento era coperto da uno spesso strato di calcare datato 300 milioni di anni.

 

Tratto da http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm :

 

Chirurgia avanzata nell'antico Egitto

 

 

Il museo Rosacruciano di San Josè in California conserva una delle collezioni di mummie piu' straordinarie del mondo. Le sue sei mummie, nell'Agosto 1995, hanno richiamato un team di scienziati dalla Brigham Young University per studiarne il DNA. Durante i test radiografici la mummia di Usermontu, sacerdote vissuto durante la 26° dinastia ( 656 - 525 a.C. ) ha rivelato una caratteristica sorprendente. La sua gamba sinistra, all'altezza del ginocchio, presentava alle lastre una protesi metallica di 23 centimetri inserita tramite una complessa operazione chirurgica. Il Dr. Wilfred Griggs a capo del team di scienziati della BYU e già noto per avere analizzato le mummie reali del Museo del Cairo e alcune mummie del Fayum, affermò "quando vidi per la prima volta le lastre radiografiche faticavo a crederci. Pensai si trattasse di una protesi moderna, inserita circa 100 anni fa per fissare la gamba della mummia, in quanto non avevo mai visto una cosa del genere ". Ma ad una sucessiva analisi svoltasi il novembre successivo Griggs sembrò sempre piu' convinto che si trattasse di un'operazione antica quanto la mummia. Nel febbraio 1996 il Dr. Griggs ritornò al Museo Rosacruciano per ulteriori analisi e per determinare se ci si trovasse di fronte alla piu' antica forma conosciuta di chirurgia al ginocchio. Le analisi confermarono l'ipotesi. Ecco cosa scrive il Dr. Griggs "con nostra sorpresa non vi erano piu' dubbi che si trattasse di un antico intervento chirurgico. Mai prima di allora una mummia aveva presentato una tale caratteristica". Ancora piu' sorprendente è  risultato che il profilo della protesi fosse molto avanzato. Il Dr. Richard Jackson, chirurgo ortopedico della Brigham Young University che ha analizzato le radiografie ha assicurato che "siamo davanti a una protesi dal progetto molto moderno e che noi impieghiamo oggi in chirurgia per stabilizzare correttamente le ossa ". Le analisi sulla protesi hanno determinato che è costituita da puro ferro e che fu inserita quando Usermontu era ancora in vita. Trapanazioni dalla parte posteriore del ginocchio hanno permesso di inserire una piccola sonda che ha rivelato la presenza intorno alla protesi di una resina impiegata come cementificante. Una tecnica avanzata che permetteva anche di stabilizzare la rotazione della gamba. " Sono tecniche biomeccaniche attuali che mai immaginavamo potessero essere maneggiate dagli antichi egizi " ha affermato Riggs. La scoperta fatta sulla mummia di Usermontu è segno ancora una volta della presenza di una scienza avanzata nell'antichità, di cui i  sacerdoti egizi custodivano i segreti. Un indizio in piu' di un'eredità culturale molto avanzata e poi dimenticata.

 

Tratto da http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm :

 

La Colonna di Ashoka

 

La cosiddetta colonna di Ashoka è una testimonianza dell'antica metallurgia a Dheli, India. E' alta oltre sette metri, per circa 40 cm di diametro e pesa sulle sei tonnellate. Sulla base vi è un'iscrizione quale epitaffio per il re Chandra Gupta II che mori' nel 413 d.C. . La colonna è mirabilmente conservata; la superficie liscia sembra ottone lucidato e il mistero si infittisce, visto che qualsiasi altra massa di ferro soggetta alle piogge e ai venti dei monsoni indiani per 1600 anni si sarebbe ridotta in ruggine molto tempo fa. La produzione del ferro e le tecniche di conservazione superano di gran lunga quelle del quinto secolo; è probabilmente molto piu' antico, di molte migliaia di anni. Chi erano i tecnici metallurgici che produssero tale meraviglia, e che fine ha fatto la loro civiltà ?  I cavi partono dalla scatola e corrono su tutto il pavimento, arrivando alle basi degli oggetti tubolari, ciascuno dei quali poggia su un sostegno chiamato djed ( lo Zed ) che Bielek identificò con un isolatore ad alto voltaggio. Ulteriori immagini trovate all'interno della cripta mostrano quelle che potrebbero essere altre applicazioni del congegno: sui bassorilievi si vedono uomini e donne assisi sotto i tubi, come in una postura per creare una modalità ricettiva. Che tipo di trattamento irradiante vi si stava svolgendo ?

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

 

Dischi Dropas

 

Tra sperdute ed inaccessibili montagne al confine tra Cina e Tibet sono stati ritrovati alcuni dischi, antichi di almeno 12.000 anni, con una tecnica di registrazione delle informazioni scritte, simile a quella utilizzata oggi sui dischi LP in vinile. Questi dischi sono curiosamente collegati con una tribù locale dalle caratteristiche morfologiche quantomeno singolari e non classificabile in alcun gruppo etnico razziale conosciuto.

Nel 1938, un team di archeologi, guidati dal Prof. Chi Pu Tei dell'Università di Beijing, condusse un esame molto dettagliato in una serie di caverne comunicanti a Balan Kara-Ula, un distretto sul confine tra Cina e Tibet. Il gruppo trovò degli scheletri di piccoli esseri con un'ossatura delicata, ma con un cranio piuttosto ampio. Uno degli assistenti avanzò l'ipotesi che le caverne potessero aver costituito l'abitazione di una, fino ad allora sconosciuta, specie di scimmia. Ma, come evidenziò il Prof. Chi Pu Tei "qualcuno ha mai visto delle scimmie che seppelliscono i propri morti?". Sulle pareti di queste caverne vennero scoperti disegni di uomini che indossavano un elmetto rotondo. Incisi nella roccia si trovavano anche disegni del sole, della luna, della terra e delle stelle, connessi a gruppi da una serie di punti.

Fu proprio durante lo studio degli scheletri, che uno dei ricercatori inciampò su un disco di pietra, largo e rotondo, dello spessore di circa 2 cm, che giaceva quasi sepolto nella polvere della caverna. Il team si mise a studiare l'oggetto, tentando di dargli un senso. Esso appariva, assurdamente, come una specie di disco di pietra per un grammofono. Era dotato di un foro al centro e di un sottile solco a spirale sulla superficie, che andava dal centro verso il margine. Ad un'analisi più approfondita, il solco spiraliforme, risultò essere un'inscrizione formata da una doppia riga di caratteri molto compressi. Dopo un esauriente ricerca nelle caverne, vennero rinvenuti ben 715 dischi con le stesse caratteristiche! Ogni disco aveva le stesse dimensioni: 22,7 cm di diametro e 2 cm di spessore; inoltre ogni disco aveva al centro un foro perfettamente circolare di 2 cm di diametro. Il bordo esterno era dentellato per tutta la circonferenza. Infine ogni disco aveva un doppio solco che, iniziando dal centro, si muoveva in senso antiorario verso il bordo esterno, esattamente come un disco di un fonografo. Quanto al messaggio inscritto, nessuno fu in grado di decifrarlo.

Molti esperti hanno tentato di tradurre le inscrizioni, durante i due decenni nei quali i dischi non si trovavano a Beijing, ma senza successo. Fino a quando un altro professore cinese, il Dr. Tsum Um Nui riuscì a comprendere il codice ed iniziò a tradurre i messaggi. A questo punto, egli si rese conto che sarebbe stato meglio divulgare il messaggio solo a poche selezionate persone. Il mondo esterno rimase quindi all'oscuro, mentre le conclusioni sul significato dei dischi erano talmente eccezionali che furono ufficialmente soppresse. Il Dipartimento di Preistoria dell'Accademia di Beijing gli proibì di pubblicare le sue scoperte.

Con la collaborazione di geologi, e dopo un'analisi spettrografica, si scoprì che i dischi possiedono un alto contenuto di cobalto e di metallo (non viene riferito di quale metallo si tratta). Questo implica un origine artificiale dei dischi. Precedentemente si pensava che fossero di diorite. La durezza del materiale, comunque, è paragonabile alla diorite.

Gli scienziati russi chiesero di poter esaminare i dischi e diversi furono spediti a Mosca per essere analizzati

Essi furono ripuliti dalle particelle di roccia che, nel tempo, avevano aderito alla superficie e successivamente sottoposti ad analisi che confermarono quanto dichiarato dagli scienziati cinesi. Ma non era tutto. Posti su una speciale piattaforma girevole, essi generavano un suono ad alta frequenza e questo fece pensare che fossero stati sottoposti ad un'alta tensione; o, come dichiarò uno degli scienziati, "come se facessero parte di un circuito elettrico".

Nel 1963 il Dr. Tsum Um Nui decise di pubblicare la sua scoperta, nonostante il divieto dell'Accademia. La pubblicazione apparve con un titolo prolisso ma destinato a sollevare curiosità ed interesse: "I manoscritti incisi riguardanti le navi spaziali arrivate sulla Terra 12.000 anni fa". In occidente non venne preso seriamente e, in poco tempo, l'intera vicenda sembrò svanire nell'oblio.

Questo silenzio durò fino al 1967, quando il filologo russo Dr. Viatcheslav Zaitsev pubblicò un estratto della storia contenuta nei dischi sulla rivista Sputnik. Presumibilmente, l'intera "storia" viene conservata all'Accademia di Beijing e negli archivi storici di Taipei, R.O.C.. La traduzione dei dischi contiene un messaggio che può sembrare assurdo per alcuni, e bizzarro ad altri. La storia riporta la registrazione di una navetta spaziale con abitanti di un altro pianeta, costretti ad un'improvvisa fermata sulle montagne di Bayan Kara-Ula. Le scritture dei dischi spiegano come le intenzioni pacifiche dei "visitatori" furono fraintese e quanti di essi furono catturati e uccisi dai membri della tribù di Kham, che viveva nelle caverne limitrofe. Secondo il Prof. Tsum Um Nui, una delle linee incise dice: "I Dropas vengono dalle nuvole con il loro velivolo. I nostri uomini, donne e bambini si nascosero nelle caverne dieci volte prima dell'alba. Quando alla fine essi (i Kham) compresero il linguaggio mimico dei Dropas, si resero conto che i nuovi venuti avevani intenzioni pacifiche". In un altro disco si esprime rammarico da parte della tribù dei Kham che la navetta aliena sia precipitata su quelle montagne remote e inaccessibili e che non ci sia possibilità di costruirne una nuova, in modo che i Dropas possano ritornare al loro pianeta.

Negli anni successivi alla scoperta degli scheletri e dei dischi, archeologi ed antropologi hanno appreso molte informazioni riguardo l'area isolata di Bayan Kara-Ula. E questi studi sembrano convalidare la sorprendente storia registrata sui dischi. Le leggende ancora vive presso le tribù del luogo, parlano di persone piccole, con visi gialli, venuti dal cielo, tanto tempo fa. Queste persone avrebbero teste grosse e prominenti e un corpo esile, ed il loro aspetto era così sgradevole e ripugnante che furono cacciati dalle tribù locali. Curiosamente, la descrizione degli alieni, concorda con il ritrovamento degli scheletri fatto dal Prof. Chi Pu Tei. Sia i dischi, sia i graffiti nelle caverne e gli scheletri sono stati datati intorno al 10.000 a.C.!

Al tempo della scoperta, alcune delle caverne erano ancora abitate da due tribù conosciute come Khams e Dropas, i cui membri, peraltro, avevano un'apparenza quantomeno singolare. Semplicemente le due tribù non corrispondevano ad alcuna categoria razziale stabilita dagli antropologi. Entrambi avevano una statura simile ai pigmei; la loro statura andava dal metro e 15 al metro e 40 cm., ma la statura media era di 1,25 m. La loro pelle tendeva al giallo e le loro teste erano sproporzionatamente grandi e con pochi capelli sparsi; i loro occhi erano grandi, ma non di tipo orientale, di colore blu chiaro. La struttura del viso era ben formata, simile alla razza Caucasica, e i loro corpi erano estremamente sottili e delicati. Il peso degli adulti oscillava tra i 17 e i 24 Kg.

Nel 1955 giunse uno starordinario report dalla Cina: nella provincia di Sichuan, al limite orientale delle montagne di Baian Kara-Ula, furono scoperte, appartenenti ad una tribù locale, 120 persone etnologicamente non classificabili. L'aspetto più importante di questa nuova tribù era la statura dei suoi membri: non più alti di 1,2 metri. L'adulto più piccolo misurava solo 63 centimetri! Questa scoperta è la prima prova concreta dell'esistenza dei Dropas, un popolo i cui antenati, si dice, sono venuti dallo spazio.

Nello schizzo accanto, eseguito nel 1947, sono raffigurati due capi della tribù Dropas: Hueypah-La (alto 1,2 m) e Veez-La (alto 1 m).

Qualunque sia la loro vera natura, origine o significato, i dischi Dropas rappresentano un affascinante enigma per archeologi ed antropologi. Possono forse essere considerati la prima registrazione della venuta di una civiltà aliena sul nostro pianeta? Per ora, i dischi dei Dropas rimangono privi di una spiegazione definitiva.

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

 

Elicotteri egiziani

 

Alcuni anni fa, nel Tempio di Abydos, uno dei pannelli in pietra recante dei geroglifici, a circa 6 metri di altezza, si distaccò dal muro e cadde a terra frantumandosi. Ma questo pannello fungeva da copertura per uno più vecchio (Figura 1) che recava immagini in rilievo che hanno un'insolita somiglianza con velivoli moderni.

 

Nella figura  è rappresentato il particolare del pannello scoperto nella struttura originale, dove le forme di questi strani oggetti sono ben visibili.

 

(1):un elicottero? (2): un oggetto volante? (3): un antico velivolo? (4): un altro velivolo?

 

Vale la pena ricordare che tra gli antichi reperti egizi, è esposto al Museo del Cairo (nel quale non è possibile fare foto o riprendere con la videocamera, se non sborsando cifre assurde - scusate la polemica) un modello del cosiddetto "aliante", lungo 15 cm e con un'apertura alare di circa 20 cm. Costruito con leggero legno d'acero, se lanciato con una mano è in grado di planare agevolmente ad una certa distanza. Altri modelli di antichi aerei sono stati ritrovati in Egitto e in Sud America.

Nell'antica letteratura dell'India ci sono innumerevoli riferimenti alle macchine volanti. I testi sanscriti sono ricchi di riferimenti agli dei che combattevano battaglie nei cieli usando i "Vimana" equipaggiati con armi ben più mortali di quelle che noi "evoluti" possiamo concepire. Ad esempio, si legge nel Ramayana:

"La macchina Puspaka che assomiglia al Sole e appartiene a mio fratello fu portata dal potente Ravan; questa eccellente macchina volante può andare dappertutto a piacimento.... questa macchina pare una nuvola luminosa nel cielo."  "...e il Re Rama salì a bordo e la macchina eccellente, al comando di Raghira, si sollevò nell'atmosfera più alta."

 

Nota (Gruppo Mizar)

Durante una puntata televisiva del 2000 di Stargate Linea di confine è stato spiegato che probabilmente le immagini di  “macchine volanti” sono dovute ad una serie di sovrapposizioni di cartigli.  

 

 

Tratto da :  http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

 

Il chiodo più antico

Il chiodo più antico. Nel 1851 The Illinois Springfield Republican riporta il caso di Hiram de Witt, un uomo d'affari che, durante un viaggio in California, aveva trovato un blocco di quarzo aurifero delle dimensioni di un pugno. Quando accidentalmente gli cadde dalle mani, si ruppe e rivelò al suo interno un chiodo intagliato nel ferro. L'età del quarzo è di circa 1 milione di anni fa.

  

 

 

Tratto da http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm

 

Un Jet dal Sud America

 

 

Nel 1954 il governo della Colombia mandò parte della sua collezione di antichi oggetti d'oro in un tour negli Stati Uniti.  Fra i monili un pendente dorato che riproduceva un modello di velivolo ad alta velocità databile ad almeno 1000 anni fa, identificabile come una parte della cultura pre-inca Sinu. La conclusione degli studiosi è che non rappresenti un animale, in quanto le ali sono molto rigide e a delta. Il timone è di forma triangolare, e la superficie piatta e rigidamente perpendicolare alle ali. A rendere piu' fitto il mistero, sulla parte laterale sinistra del timone appare un'insegna, esattamente dove si pone nei velivoli odierni. L'insegna è ancora piu' fuori posto di tutto l'oggetto in quanto si tratterebbe della lettera aramaica beth o B. Questo starebbe ad indicare che l'oggetto non è originario della Colombia ma antecedente, appartenente a qualche popolazione del Medio Oriente che conosceva il segreto del volo.

 

Tratto da http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm

La Pila di Bagdad

 

 

Nel 1938 l'archeologo australiano, dott. Wilhelm Koing, fece una scoperta che avrebbe alterato drasticamente tutti i concetti di scienza. Nei sotterranei di un museo rinvenne un vaso alto 15 centimetri e mezzo di argilla gialla, risalente a due millenni fa, contenete un cilindro in rame di 12 cm per quattro. La sommità del cilindro era saldata con una lega 60-40 di piombo-stagno paragonabile alle migliori saldature di oggi. Il fondo del cilindro era tappato con un disco di rame e sigillato con bitume o asfalto. Un altro strato di asfalto isolante sigillava la parte superiore e teneva anche a posto un'asta di ferro sospesa al centro del cilindro di rame. L'asta mostrava di essere stata corrotta dall'acido. Con il suo background in meccanica il dottor Koing intui' che la configurazione non era dovuta ad un caso fortuito, ma che il vaso di argilla altro non era che un'antica pila elettrica. Questa batteria, insieme alle altre trovate in Iraq, si trova nel museo di Bagdad e risale all'occupazione parto-persiana, tra il 248 a.C. e il 226 d.C.

 

 

 

Tratto da http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm

Le Lampade di Dendera

 

 

In diversi luoghi all'interno del tempio tardo Tolemaico di Hathor a Dendera, in Egitto, strani bassorilievi sulle pareti intrigano da anni gli studiosi. Difficile, infatti, per loro spiegarne la natura, sulla scorta di temi mistico-religiosi tradizionali, ma nuove e piu' moderne interpretazioni ci giungono dal campo dell'ingegneria elettronica. In una camera, il numero 17, il pannello superiore, mostra alcuni sacerdoti egiziani che fanno funzionare quelli che appaiono come tubi oblunghi che compiono diverse funzioni specifiche. Ogni tubo ha all'interno un serpente che si estende in tutta la sua lunghezza. L'ingegnere svedese Henry kjellson, nel suo libro "Forvunen teknik" ( tecnologia scomparsa ) fece notare che nei geroglifici quei serpenti sono descritti come seref , che significa illuminare, e ritiene che si riferisca a qualche forma di corrente elettrica. Nella scena, all'estrema destra, appare una scatola sulla quale siede un'immagine del Dio egiziano Atum-Ra, che identifica la scatola quale fonte di energia. Attaccato alla scatola c'è un cavo intrecciato che l'ingegner Alfred D.bielek identifica come una copia esatta delle illustrazioni odierne che rappresentano un fascio di fili elettrici.

 

 

 

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

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Meccanismo di Antikythera

 

 

 

In una teca del museo Nazionale di Atene si trova un curioso oggetto che probabilmente rappresenta il più complesso oggetto scientifico dell'antichità. Il "meccanismo" fu rinvenuto, nel 1900 in una nave affondata nel primo secolo a.C. al largo dell'Isola di Antikythera (tra Creta e la terra ferma). Il meccanismo, una volta studiato, oltre a costituire una prova della sofisticata conoscenza astronomica dell'epoca, ha rivelato soluzioni tecniche adottate "ufficialmente" più di 1000 anni più tardi.

Il meccanismo di Antikythera costituisce una delle più interessanti e affascinanti scoperte effettuate agli inizi del secolo, per opera di alcuni pescatori di spugne, in un relitto affondato vicino l'isoletta greca di Antikythera da cui prende il nome. E' costituito da un treno di ingranaggi in bronzo a denti triangolari risalente al primo secolo a.C. racchiuso in un contenitore in legno che serviva da telaio e su cui erano fissati i quadranti anteriori e posteriori. Il meccanismo era azionato da una manovella e poteva servire sia come strumento per la navigazione sia come strumento per indagini astronomiche. Azionando la manovella il rotismo era in grado di descrivere il moto del sole e della luna attraverso le costellazioni dello zodiaco la durata del mese sinodico e la durata dell'anno lunare. Il "mistero" consiste nel fatto che nel primo secolo a.C., simili apparecchi "non avrebbero dovuto esistere": gli studiosi di cose antiche concordano infatti nell'affermare che in quel tempo la tecnologia non era in grado di produrre apparecchiature di tale precisione. Del resto non ne avrebbe prodotte per altri sedici secoli: si pensi che bisogna aspettare fino al 1575 per ritrovare un rotismo differenziale! Nella figura 1 è rappresentato il layout basato sulle ipotesi del prof. Derek De Solla Price [1], professore di Storia della scienza presso la Yale University, mentre la figura 2 ne rappresenta la vista assonometrica. Lo scopo del cinematismo non è ancora perfettamente noto; questi potrebbe essere stato realizzato sia per ricostruire fenomeni astronomici relativi al passato e al futuro, sia per descrivere l'evolvere del moto degli astri giorno per giorno.

Dall'analisi dei reperti, dopo una ventina di anni di lavoro, il prof. Derek De Solla Price e' riuscito, a ricostruire quasi interamente l'astrolabio, ma si e' dovuto arrendere di fronte alla totale assenza di reperti caratterizzanti una piccola zona interna del meccanismo. Il meccanismo di Antikythera è contenuto in una scatola di legno costituente il telaio e che presenta tre quadranti: uno sulla facciata anteriore e due sulla facciata posteriore. Il quadrante presente sulla  facciata anteriore riporta la posizione del sole e della luna rispetto alle costellazioni dello zodiaco; sulla facciata posteriore un quadrante riporta la durata del mese sinodico e dell'anno lunare mentre dell'altro, posto proprio in corrispondenza della zona da ricostruire, non si sa praticamente nulla. I resti relativi a questa zona sono talmente scarsi da non consentire di ricostruire con esattezza le indicazioni astronomiche in essa contenute; ciò nondimeno, analizzando astrolabi realizzati nello stesso periodo e tenendo conto delle conoscenze astronomiche proprie dei popoli occupanti le zone limitrofe a quelle del ritrovamento, si può ragionevolmente supporre che nel quadrante in questione siano racchiuse informazioni relative al moto di Marte Giove e Venere rispetto alla terra, oppure relative al periodo di 18 anni e 11 giorni (223 lunazioni) proprio del ciclo delle eclissi.

 

 

 

 

Tratto da http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm

 

Il Computer di Antikythera

 

Pochi giorni prima della domenica di Pasqua del 1900 alcuni subacquei greci della piccola isola di Antikythera scoprirono il relitto di un'antica nave piena di statue di marmo e bronzo e artefatti vari, datati tra l' 85 e il 50 a.C.  Tra i reperti spiccava un frammento informe di bronzo corroso e legno marcio che fu mandato insieme agli altri oggetti al Museo nazionale di Atene per ulteriori studi. I frammenti di legno, nell'asciugarsi si spaccarono, rivelando al loro interno lo schema di una serie di ingranaggi simili a quelli di un moderno orologio. Nel 1958 il dottor Derek J. De Solla Price riusci' a ricostruire con successo l'aspetto e l'impiego della macchina. Il sistema di rotelle calcolava i movimenti annuali del Sole e della Luna e si poteva muovere facilmente da dietro a qualsiasi velocità. L'apparecchio quindi non era un orologio, ma piu' verosimilmente una sorta di calcolatore, che poteva mostrare le posizioni passate, presenti e future del cielo.

Come spesso accade, una delle più spettacolose scoperte scientifiche della storia è stata fatta per puro caso. Poco tempo prima della Pasqua del 1900, un gruppo di pescatori di spugne greci s’imbatté in una terribile tempesta e la loro barca venne spinta alla deriva. Il capitano, Demetrios Condos, si rese conto che l’unica possibilità di sopravvivenza era quella di fuggire dai pericolosi stretti della zona di Creta e trovar riparo in acque più tranquille, oltre la punta settentrionale dell’Isola di Andikithira. L’uragano continuò a imperversare per una settimana e il capitano, per mantenere la disciplina e tenere occupato l’equipaggio, mandò i tuffatori a cercare spugne. Uno dei suoi uomini più esperti, Elias Stadiatis, si tuffò fino a una profondità di 42 m, tenuto giù dai pesi di piombo attaccati alla sua persona con funzione di zavorra. A un tratto il tuffatore diede uno strattone alla fune che lo legava alla barca, per avvertire che voleva risalire immediatamente. Stadiatis riemerse in stato di choc. Borbottò qualcosa su "donne nude e cavalli", ma non seppe dare altre spiegazioni. Il capitano Condos s’era molto incuriosito e cosi decise di risolvere il mistero. Scese sul fondo e li trovò un’antica nave, ch’era naufragata intorno all’80 a.C., con un importante carico di statue e altri oggetti ancora perfettamente visibili. Alla fine del novembre del 1900, cominciò l’opera di recupero del relitto, che continuò per nove mesi. Il governo greco forni una nave per appoggiare le operazioni, ma le condizioni atmosferiche erano talmente proibitive e le tecniche subacquee cosi rudimentali che un tuffatore mori e altri due riportarono gravi ferite. Otto mesi dopo, però, tutto il tesoro era finalmente sistemato nel Museo Archeologico Nazionale di Atene. Fu allora che un attento archeologo del museo, Valerios Stais, individuò un oggetto di grandissima importanza. Trovò i resti di un meccanismo in bronzo, somigliante a un orologio, a cui diede il nome di "meccanismo di Andikithira". Quell’oggetto era rimasto fino allora ignorato in mezzo a un mucchio di pezzi di bronzo e di marmo non catalogati. Un frammento del meccanismo portava un iscrizione che risultò, in seguito, essere stata scritta nel I secolo A.C.; la parte più completa dell’iscrizione era simile a un calendario astronomico, datante intorno al 77 a.C. Nel 1902, Stais diede l’annuncio della sua scoperta: egli sosteneva che si trattasse di un antico congegno astronomico greco. La cosa provocò delle controversie, che rimasero irrisolte per quasi 70 anni. Infatti, gli storici avevano pensato, in un primo tempo, che l’esistenza di un meccanismo così complesso fosse impossibile, e che gli antichi Greci, nonostante il loro brillante ingegno matematico, non possedessero in pratica la minima tecnologia meccanica. Ciò era dovuto in parte alla loro dipendenza dagli schiavi e in parte alla pessima considerazione in cui tenevano le occupazioni meccaniche. Ora, tuttavia, la scoperta del meccanismo di Andikithira — la prima grande scoperta dell’archeologia subacquea — sembrava mettere fine a tanto discredito. Ciononostante, bisognava ancora stabilirne lo scopo e la funzione, e gli anni successivi videro spuntar fuori tutta una serie di teorie. Si pensò che il meccanismo, che era grande circa la metà di una macchina per scrivere portatile, fosse un astrolabio, uno strumento usato dai naviganti per misurare l’altezza angolare di un corpo celeste sull’orizzonte. Alcuni pensarono che potesse trattarsi di un piccolo planetario, sul genere di quelli che si diceva facesse il matematico Archimede: altri sostenevano ch’era troppo complicato per essere sia l’uno sia l’altro. Alcuni accademici più conservatori insinuarono addirittura che fosse stato buttato in mare da qualche altra nave di passaggio sopra il relitto, secoli dopo. Finalmente, nel 1975, lo strano mistero di Andikithira fu risolto, quando Derek de Dolla Price, dell’Università di Yale, annunciò la conclusione dei suoi lunghi studi su quel meccanismo. Per tale impresa s’era valso della collaborazione della commissione greca per l’energia atomica, e, con l’uso dei raggi gamma, aveva potuto, dai frammenti, studiare il sistema interno del meccanismo, che comprendeva più di 30 ingranaggi in bronzo. Era un meccanismo, affermò lo studioso, realizzato intorno all’87 A. C., che serviva a calcolare i movimenti del Sole, della Luna e dei pianeti. La complessità del meccanismo, con tutte le sue sofisticate ruote dentate, i quadranti, le piastre incise, era talmente sorprendente che, secondo lui, l’aver scoperto quell’antico relitto equivaleva ad <aver trovato un’aereo a reazione nella tomba di Tutankhamon ". Infatti i risultati erano cosi sensazionali, che ci fu persino qualcuno il quale giunse a sostenere che i creatori del meccanismo non potevano essere stati gli antichi Greci, ma piuttosto degli extraterrestri, venuti dallo spazio. Il recupero del meccanismo di Andikithira sovvertì l’opinione popolare in merito all’evoluzione tecnica degli antichi Greci. Oggi gli esperti riconoscono che la meccanica era un importante elemento della scienza di quel popolo, e che il meccanismo trovato è un precursore delle moderne apparecchiature scientifiche.

UN PRECURSORE DELL’ERA DEL COMPUTER

Il meccanismo di Andikithira (o Anticitera), chiamato anche il calcolatore di Rodi, era una specie di computer a ruote per calcolare i movimenti degli astri. Probabilmente venne costruito da un discepolo del filosofo Posidonio di Rodi, versol’87 a.C. Oppure avrebbe potuto essere opera dell’astronomo, matematico e filosofo Gemino, contemporaneo di Posidonio. Il meccanismo simulava meccanicamente i movimenti dei corpi celesti, in un’epoca in cui molti Greci credevano ancora che la Terra fosse un disco circolare sostenuto da un immenso oceano, sopra al quale c’era l’emisferica coppa del cielo. Si credeva che i pianeti e la Luna si muovessero lungo certi piani geometrici. Lo scopo del meccanismo era di riprodurre meccanicamente i loro movimenti, senza bisogno di laboriosi calcoli. L’evidenza porta a dire che si tratta di un congegno astronomico, anche se il meccanismo poteva aver l’apparenza di un moderno orologio meccanico e i suoi meccanismi possono essere stati adattati in seguito per creare un orologio meccanico. Alcuni esperti sostengono che coloro che lo usavano, più che astronomi, dovevano essere astrologi, desiderosi di conoscere l’aspetto dei cieli in un tempo prestabilito, passato o futuro. Il meccanismo aveva tre sistemi di ruote dentate: uno davanti e due dietro. Quello davanti conteneva due fasce concentriche. Su una fascia erano incisi i nomi dei segni dello zodiaco; sull’altra, mobile, c’erano i nomi dei mesi in greco. Una lancetta indicava la posizione del Sole nello zodiaco, per ogni giorno dell’anno. I sistemi di ruote sul dietro sembra indicassero i moti della Luna e dei pianeti. Una manovella, girata ogni giorno, caricava il meccanismo. La raffinatezza del congegno di Andikithira è veramente straordinaria se si pone quest’oggetto sul piano delle meridiane, degli orologi ad acqua e dei vari strumenti astrologici di quel tempo. 

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

 

Micro-tecnologia antica

 

Tra il 1991 ed il 1993 dei cercatori d'oro sul del fiume Narada, sul versante orientale degli Urali in Russia, trovarono dei minuscoli oggetti con forma a spirale. Il più piccolo di questi misura addirittura meno di 1/100 di mm. Gli oggetti sono costituiti da rame e da metalli rari, tungsteno e molibdeno. Le misurazioni hanno mostrato che l'età di questi oggetti si aggira tra i 20.000 e i 318.000 anni fa.

Microtecnologia antica

Negli ultimi anni in Russia sono stati ritrovati decine di reperti sicuramente opera dell'uomo ma incompatibili con le datazioni ortodosse dell'uomo sulla terra. Quello che segue è il primo rapporto pubblicato di tali scoperte.

A partire dalle teorie di Zecharia Sitchin, alcuni studiosi di rilevanza internazionale hanno raccolto numerose prove che esperimenti di manipolazione genetica sono stati eseguiti centinaia di milioni di anni fa da esseri extraterrestri, che culminarono nella "creazione" dell'uomo. Uno dei principali studiosi è il Dr. Johannes Fiebag (1, 2).  Purtroppo la scoperta di manufatti tecnici risalenti ad un tempo così remoto sembra piuttosto improbabile. Pensiamo solo ai resti della seconda Guerra Mondiale; armi, munizioni e persino reperti di maggiori dimensioni, divenuti ormai arrugginiti e già in via di disgregazione.

 

 

A maggior ragione i reperti ritrovati negli ultimi anni negli Urali sono ancora più sorprendenti.
Nel periodo 1991-1993 alcuni cercatori d'oro operanti sul piccolo fiume Narada, sul versante orientale degli Urali, trovarono molti strani oggetti a spirale. La dimensione di questi oggetti va da un massimo di 3 cm ad un minimo di 0,003 mm!  Di questi incredibili manufatti ne sono stati recuperati migliaia in vari siti, lungo i fiumi Narada, Kozhim e Balbanyu e su due affluenti minori, il Vtvisty e il Lapkhevozh, la maggior parte a profondità fra i 3 ed i 12 metri.

Gli oggetti a forma di spirale sono composti di vari metalli: i più grandi di rame ed i più piccoli di tungsteno e molibdeno. Il tungsteno possiede un alto peso atomico, avendo una struttura molto densa, con un punto di fusione a 3.410 °C. Attualmente viene usato per aumentare la resistenza di acciai speciali, ed in forma pura, per costruire i filamenti delle lampade ad incandescenza. Anche il molibdeno possiede un'alta densità ed un punto di fusione a 2.650 °C. Questo metallo è pure usato per rendere i metalli resistenti alla corrosione e per costruire parti meccaniche sottoposte ad usi gravosi, nonchè armature per veicoli.

Attualmente questi misteriosi oggetti sono esaminati con attenzione dalla Russian Academy of Sciences di Syktyvka (la capitale dell'ex Repubblica Sovietica di Komi), di Mosca, di San Pietroburgo e anche da un istituto scientifico ad Helsinki in Finlandia.  Dopo un'attenta misurazione di questi oggetti, spesso microscopici, si è scoperto che la dimensione della spirale è stata costruita secondo il Rapporto Aureo (phi). In tempi remoti questo speciale rapporto era costantemente usato in architettura e nella geometria. Oltre a rappresentare un rapporto sacro, l'utilità di questo sistema risiede nel fatto che se una certa lungheza viene divisa in due usando questo rapporto, la lunghezza originale sta al pezzo più grande, come il pezzo più grande sta al più piccolo.

Oltre a questa sofisticazione, questi oggetti rappresentano ovviamente il prodotto di una tecnologia inesplicabile ma altamente avanzata. Essi hanno infatti una considerevole somiglianza con elementi di controllo usati in dispositivi miniaturizzati dell'ultima generazione, i cosiddetti nanomeccanismi. Una delle applicazioni di questa tecnologia è di rendere possibile la costruzione di micro-sonde per usi chirurgici che consentano di effettuare operazioni all'interno dei vasi sanguigni; cosa attualmente impossibile con le attuali tecniche chirurgiche.

Quale era lo scopo di questi oggetti? La figura 1 mostra tutte le parti di uno degli oggetti fotografati insieme ad una barra-campione larga 200 micron! Tutti i test eseguiti sugli oggetti forniscono un'età stimata tra i 20.000 e i 318.000 anni, a seconda della profondità e delle condizioni del sito dove sono stati recuperati (3, 4).  Ma anche nel caso più prudente, cioè se gli oggetti avessero 20.000 anni, la domanda inevitabile è: chi, fra tutti i popoli della terra, era a quel tempo in grado di costruire oggetti così sofisticati e miniaturizzati, simili a quelli che la nostra attuale tecnologia "moderna" sta solo iniziando a realizzare?

Bibliografia

1.      FIEBAG J., Das Raetsel der Ediacara-Fauna (The puzzle of the Ediacara Fauna) in:  Daeniken E.v. (Ed.) Kosmische Spuren, Munich, 1988. 

2.       FIEBAG J., Das Genesis-Projekt, in: Dopatka, U. (Ed.) Sind wir allein?  (Are we alone?), Duesseldorf 1996 

3.       HAUSDORF H. Wenn Goetter Gott spielen (When Gods play God), Munich, 1997 

4.       OUVAROV V. Personal letter to H. Hausdorf of 2 October 1996.

 

Da  http://www.ticino.com/cusi/Redaz/Attualita/scheda063.htm

 

 

16 Maggio 2000 - Trovati OOPART in Russia

Estratto (ridotto) da 'Oltre la conoscenza' n.42: "Ci sara' senz'altro da scrivere la storia ufficiale e conosciuta dell'umanita'. Un paio di eccezionali scoperte ci costringono difatti a riconsiderare le nostre origini. la prima riguarda gli OOPART, Out Of Place Artifacts, ovvero reperti fuori posto, secondo la dizione americana. Fuori posto perche' si trovano in tombe egizie e sumere, nei letti di fiumi preistorici o nei fondali greci, e pur avendo migliaia e migliaia di anni, sembrano frutto di una civilta' tecnologica molto evoluta, quale la nostra. Il termine di artefatti fuori posto e' stato inventato diversi anni fa da uno scienziato eretico, il naturalista americano Ivan Sanderson (molto mal tollerato negli ambienti scientifici per i suoi studi sul mistero del triangolo delle Bermuda); con esso Sanderson intendeva indicare le decine e decine di oggetti anacronistici scoperti in questo secolo dagli archeologi e dagli stessi prontamente fatti sparire negli archivi dei musei perche' mettevano in crisi la visione della storia acquisita e ci costringevano a retrodatare la vita su questo pianeta all'epoca di Atlantide. La notizia recente e' che gli ultimi OOPART sono stati trovati in Russia, fra il 1991 ed il 1993, da una spedizione archeologica che stava setacciato il letto del fiume Narada, vicino ai monti Urali. Scavando negli strati preistorici, risalenti al Pleistocene (vecchi cioe' due milioni di anni) gli studiosi hanno trovato diverse viti, placche e rondelle microscopiche, grandi appena dagli 0.003 millimetri ai 3 centimetri. Quasi invisibili ad occhio nudo, studiate al microscopio elettronico sono risultate essere dei manufatti, degli oggetti lavorati da una mano intelligente! Ma sono assai piu' antiche dell'uomo. Quale e' la loro origine? Atlantidea o extraterrestre? L'analisi dei reperti ha provato che essi sono composti da metalli rarissimi quali il tungsteno (lo stesso materiale che compone i fili delle lampadine elettriche) e il molibdeno. Sono stati inviati alle Accademie delle Scienze a Mosca, Syktyvka e S.Pietroburgo ed anche ad un Istituto di Helsinki, in Finlandia. La notizia non ha avuto un grande risalto, sulla stampa, sino a che uno studioso tedesco, Hartwig Hausdorf, ha pubblicato in Internet i risultati avuti, attraverso alcuni colleghi russi, dall'Istituto di Geologia di Mosca. Il verdetto e' stato sorprendente: per la prima volta la scienza ha ammesso che questi oggetti sono autentici e che, vista l'eta' anteriore alla comparsa dell'uomo sulla Terra, non possono che essere di origine extraterrestre! (omissis)... Circa i ritrovamenti di statuette dai tratti tipicamente europei, nel 1975 l'equipaggio della spedizione Tai Ki, che attraverso' in giunca l'Oceano Pacifico diretto in America (sulla rotta degli antichi cinesi), documento' fotograficamente il ritrovamento - opera di Alexander Von Wuthenau - di otto terrecotte messicane, precolombiane, ognuna delle quali raffigurante una tipologia planetaria: un greco, un fenicio, un africano bianco, un africano nero, un cinese, un giapponese, un eskimese, una donna tracia. In pratica la gamma completa degli abitanti del Vecchio Mondo, nel Nuovo Mondo, ancora non scoperto da Colombo! Il dato stupefacente e' che questa incredibile sequenza e' stata completamente ignorata dai dall'archeologia ufficiale, che continua a ribadire che la strabiliante galleria di ritratti e' solo "il prodotto della fantasia di un anonimo artista indio"!".

La Rete 234 - aperiodico telematico realizzato in proprio senza fine di lucro dalla Segreteria Generale del CUN

 

Da http://digilander.iol.it/Acam/acampietre.htm

I PETROGLIFI DI ICA

 

Nella minuscola città di Ica, in Perù, vive un insolito personaggio, il medico Javier Cabrera Darquea; quest’ultimo custodisce religiosamente, nel suo museo personale, oltre 20.000 pietre di andesite di diverse forme e proporzioni, alcune piccole e piatte e color grigio-ocra e altre  pesanti sino a 200 chili. Tutte hanno una curiosissima caratteristica, sono interamente coperte da elaboratissimi disegni preistorici che raffigurano tecnologie perdute o sconosciute! "Ho incontrato Cabrera nel 1991 - ha dichiarato il giornalista americano Brad Steiger - e ho esaminato le pietre trovate a Ica. Sopra di esse gli uomini preistorici avevano disegnato degli indigeni che volavano su uno pterodattilo ed osservavano con un cannocchiale uno stegosauro, il che mi stupiva non poco, visto che ufficialmente i dinosauri si sono estinti molto prima della comparsa dell’uomo sulla Terra. E c’erano anche figure di animali bizzarri, sconosciuti, e rappresentazioni dettagliate di chirurgia moderna, come un’operazione a cuore aperto la cui conoscenza non era possibile nell’antichità; in una pietra era poi descritta nientemeno che la deriva dei continenti... Nessun uomo preistorico poteva essere al corrente di simili informazioni sia del passato che del futuro. Nelle pietre più grandi c’era tutta la mitologia e l’astronomia, basata su un calendario di tredici mesi, di un popolo vissuto 230 milioni di anni fa, nell’era Mesozoica. Questa antica popolazione discendeva da una razza extraterrestre che aveva visitato la Terra 400 milioni di anni fa. Tutto questo si ricava dallo studio delle pietre...". Per avere conferma di queste incredibili asserzioni, Cabrera ha sottoposto alcuni reperti al geologo americano Ryan Drum, che ha dichiarato: "Ho studiato le rocce a 30 e 60 ingrandimenti con uno microscopio elettronico e non ho trovato, nelle incisioni, tracce di manipolazioni. Se le pietre sono genuine , allora hanno un incredibile valore; se sono uno scherzo, per il loro numero, la mole e l’accuratezza dei dettagli dovremmo studiare antropologicamente il loro autore...". E Joseph Blumrich, un ex-esperto della NASA convinto che in passato la Terra sia stata visitata da alieni, ha commentato: "Sono rimasto profondamente impressionato da ciò che ho visto. E sono molto felice di avere trovato un’evidenza così diretta di ciò in cui credo. Non ho alcun di dubbio sull’autenticità di queste pietre". "In molte di queste pietre - ribadisce Steiger - si vedono i progenitori dell’homo sapiens, esseri prima anfibi, poi rettili ed infine mammiferi, comunque anteriore alle scimmie. Cabrera è convinto che questi esseri siano stati manipolati geneticamente da una razza proveniente dalle Plejadi, che aveva una base esplorativa su Venere. Questi alieni seguivano un ben preciso piano scientifico. Sfortunatamente le loro creature vennero annientate dallo stesso cataclisma che ha sepolto sotto tonnellate di roccia le pietre di Ica". "Ho raccolto 20.000 pietre- ha dichiarato Cabrera - ma ne esistono molte di più, almeno 50.000.  É necessario che si crei una commissione di studio e che il governo peruviano istituisca un sistema di vigilanza permanente per proteggere questa ricchezza nazionale".

E SE FOSSE UNA TRUFFA COLOSSALE?

La scienza ufficiale non condivide l’entusiasmo del dottor Cabrera, ma anzi si dice sicura che le migliaia di pietre non siano nulla di più che dei falsi che gli indigeni del posto rifilano ai turisti creduloni. Federico Kauffmann Doig, uno dei più prestigiosi archeologi peruviani, ha commentato: "A livello scientifico il problema delle pietre di Ica non andrebbe neppure discusso. Mi limiterò a dire che già nel 1967 venne rintracciato uno degli autori di queste pietre: si chiama Basilio Uchuya e ha confessato di essere l’autore delle incisioni sulle pietre laviche. Non credo che l’argomento meriti più indagini di quante non ne siano state già fatte". E Viviano Domenici, responsabile delle pagine scientifiche del Corriere della Sera, ha ribadito: "Gli esseri raffigurati sulle pietre fanno cose strabilianti: trapiantano cuori, fegati e cervelli con coltellacci da cucina poco consoni al loro altissimo livello tecnologico, ma del tutto uguali a quelli che i contadini peruviani, i falsari, usano ogni giorno. La stessa incongruenza la si riscontra nelle cavezze che imbrigliano gli animali fantastici, che sono identiche a quelle dei moderni asinelli. Anche nella strumentazione astronomica gli extraterrestri di Ica rivelano poca fantasia e rimirano il cielo stellato con cannocchiali che sembrano usciti da un film di pirati. Quanto ai dinosauri e alla deriva dei continenti, queste immagini sono copiate di sana pianta dai libri di scuola...". Di diverso parere era lo studioso francese Robert Charroux che, nel 1977, commentava: " Ho esaminato le pietre false incise da Uchuya e la differenza è palese, il tratto è pesante e grossolano. Non è possibile confondere questi disegni così maldestri con le magistrali incisioni autentiche. Vorrei sapere poi come ha fatto Basilio a realizzare, dal 1960 al 1967, ben 11.000 pietre. Esiste poi una collezione analoga, in Colombia. L’archeologo dilettante Jaime Gutierrez Lega ha raccolto un centinaio di piccole pietre, la più interessante delle quali, ribattezzata il disco genetico, è larga 22 centimetri e riporta, finemente incisa, quella che Gutierrez ritiene la struttura microscopica dei geni e dei cromosomi...".

LINEE DI NAZCA, PIETRE DI ICA

Il giacimento delle pietre di Ica si trova a Sallas ed è stato messo a nudo da un terremoto. "Molte altre pietre - conferma lo studioso Yves Naud - arrivano da una zona ad una trentina di chilometri a sudovest di Ica, accanto il fiume omonimo, verso Ocucaje. Le pietre vengono perlopiù trafugate da tombe dagli indios, che le vendono a Cabrera o ai turisti. A Ocucaje non c’è famiglia contadina che non ne conservi almeno una. E sebbene gli scettici continuino a parlare di un falso, è certo che i graffiti sono noti almeno dal XVIIº secolo, come testimoniano i documenti dell’epoca. Se le pietre non hanno attirato l’attenzione degli archeologi, è perché la zona è estremamente ricca di reperti molto più preziosi ed interessanti, dai vasi Paracas alle selci lavorate. Un’eredità preistorica troppo abbondante ha reso i peruviani indifferenti alle pietre di Ica". Cabrera è convinto che i disegni di Ica siano collegati alle linee di Nazca. Sia sulle rocce di Ocucaje che nella pampa andina comparirebbero difatti i medesimi disegni. A detta di Cabrera, i tracciati andini sarebbero stati ricoperti, in passato, da un materiale sconosciuto, superconduttore e resistente alle alte temperature, che permetteva alle navi spaziali dei Plejadiani di atterrare in caduta libera senza alcun danno. Conferma a queste opinabili teorie venne nel maggio del 1975, quando il geologo Klaus Dikudt dell’Università di Lima disse di avere rintracciato, lungo le linee, " frammenti di un materiale scuro, traslucido, infrangibile, leggero ma estremamente duro, tanto da rigare il quarzo. Il materiale analizzato aveva reagito in modo anomalo a tutti gli esami, ed era rimasto intatto perfino sottoposto ad una temperatura di 4000 gradi. Non si trattava di frammenti di meteoriti. La composizione e la provenienza di questo materiale resta ignota...

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

 

Nel 1966 il Dr. Javier Cabrera, un fisico peruviano professore di biologia, ricevette in regalo una pietra da un contadino locale. Su di essa una figura di un pesce presumibilmente incisa migliaia di anni fa. Dopo ulteriori studi, Cabrera si rese conto che il pesce apparteneva ad una specie estinta da milioni di anni. Cabrera indagò sulla provenienza di questa roccia e ne trovò molte altre (migliaia) ad Ica in Perù. Le incisioni rappresentavano scene impossibili: telescopi, operazioni chirurgiche a cuore aperto, uomini che combattono contro i dinosauri, ecc. L'analisi petrografica colloca le pietre (dal peso specifico anomalo) tra i 65 e i 230 milioni di anni fa.

 

 

 

 

Tutti conoscono le celebri linee di Nazca, in Perù. Ma sempre dalla stessa zona provengono alcuni reperti archeologici, il cui mistero è altrettanto inesplicabile. In questa zona le precipitazioni sono davvero scarse, ma nel 1961 ci fu una serie piogge anomale. I letti dei fiumi, normalmente secchi, si riempirono al massimo della loro capacità, mentre i fiumi normalmente calmi si trasformarono in un flusso alluvionale. In un piccolo paese, vicino alle linee di Nazca, gli argini del vicino fiume Ica furono profondamente erosi, rivelando diverse centinaia di sassi incisi che erano stati sepolti all'interno di camere sotterranee. Non appena il corso d'acqua si ritirò, questi sassi rimasero lungo gli argini del fiume.

 

La popolazione locale iniziò a collezionare questi sassi scolpiti, ma un fisico del posto, il Dr. Javier Cabrera, osservando alcuni di questi reperti, si accorse di un'evidente anomalia. Uno dei sassi conteneva l'immagine di un pesce appartenente ad una specie ormai estinta.
La sua curiosità aumentò ed egli andò alla ricerca di altre pietre. Aiutato dagli abitanti locali, ha raccolto ed interpretato negli ultimi 20 anni oltre 11.000 reperti, che ora costituiscono la collezione delle "pietre di Ica".

Le pietre sono di diverse dimensioni. Le più piccole possono essere tranquillamente tenute in mano, le più grandi arrivano circa ad un metro di larghezza. Ma la cosa comune è che tutte le pietre hanno figure incise con una linea continua sulla loro superficie. Il solco dell'incisione appare più chiaro della restante superficie, ma lo strato di ossido che ricopre il sasso è presente anche all'interno dei solchi, dimostra che i disegni sono molto antichi. Questi disegni potrebbero facilmente essere attribuiti ad una delle civiltà precolombiane, se non fosse per il fatto che i soggetti ritratti fanno decadere anche questa ipotesi: troviamo misteriose ed inspiegabili raffigurazioni di dinosauri, di uomini che volano in groppa a pterosauri e chiare scene di trapianti di organi (fegato, reni, cuore, ecc.) e carte geografiche dell'intero pianeta.

 

 

Sophia Melewska, geologa ed antropologa, incaricata di investigare sui reperti, concorda sulla loro autenticità. Dopo lo studio della collezione di Ica, la Melewska definì la scoperta uno "shock intellettuale". Le pietre di Ica sono la prova dell'esistenza di una civiltà avanzata che aveva conoscenze in campo chirurgico, sulla storia passata del pianeta e sulla stessa evoluzione della Terra. Come è possibile questo? Melewska è uno degli scienziati che ora sta tentando di rivolgere l'attenzione del mondo accademico su questa preziosa scoperta. Ma questa è una dura battaglia.

Al contrario di altri ritrovamenti che possono contenere materiali organici (ad esempio, delle statuette di terracotta spesso contengono frammenti di paglia), le pietre di Ica, essendo di solida roccia, non contengono materiali organici, quindi non è possibile determinarne l'età. La tecnica di analisi al radiocarbonio, infatti, può essere solo eseguita su materiali organici. La superficie di questi sassi, comunque, ha una copertura che è il risultato del deposito di batteri e minuscoli organismi che, nel corso dei secoli, hanno aderito alla superficie. E questo deposito è uniforme su tutta la superficie, anche all'interno delle incisioni. In effetti, il contenuto dei disegni, in particolare gli animali estinti,  dovrebbero fornirci un'idea sull'età dei reperti. Potrebbero dei dinosauri essere sopravvissuti fino a tempi relativamente recenti? Qualche debole prova potrebbe esserci. Alcune specie di animali, creduti estinti, sono stati ritrovati congelati e in buono stato di conservazione. Ad esempio, dei mastodonti (una specie di elefante peloso) sono stati ritrovati nei ghiacci siberiani. I loro corpi erano così preservati che, durante l'autopsia, sono stati trovati nel loro stomaco giunchiglie fresche ed erbe dolci non ancora digeriti. D'altronde nessuna delle pietre raffigura mastodonti e nessun dinosauro congelato è mai stato trovato, mentre gli pterosauri sono vissuti tra i 140 e i 180 milioni di anni fa. Ultimamente le incisioni delle pietre sono state autenticate da alcuni laboratori in Germania. Le analisi petrografiche più recenti collocano le pietre (dal peso specifico anomalo) nell'età mesozoica, cioè tra i 65 e i 230 milioni anni.

 

La collezione di Ica è organizzata per soggetti ed include:

  • Le varie razze presenti sul pianeta

  • Animali antichi

  • Continenti perduti

    • alcune pietre mostrano gli emisferi terrestri indicando l'esistenza di continenti sconosciuti, forse Atlantide, Mu e Lemuria, di cui oggi rimane conoscenza nella nostra mitologia ( 1 )

  • Cataclismi del pianeta

    • con l'aiuto di geologi, il Dr. Cabrera ha cercato di interpretare le mappe geografiche. Basandosi su sofisticate simulazioni al computer, ha confermato che il profilo dei continenti è estremamente accurato e concorda con la situazione geologica del pianeta, come doveva essere 13 milioni di anni fa.

  • Procedure mediche

    • trapianti di organi e di emisferi cerebrali

    • estrazione di materiale cellulare dalla placenta e sua reintroduzione nell'organismo per impedire il rigetto degli organi

    • parto cesareo unitamente ad agopuntura come forma di anestesia

    • apparecchi per mantenere in vita gli operati, alimentati da una forma di energia che sembra provenire dallo stesso chirurgo

    • manipolazione di codici genetici e prolungamento della vita

    • i vasi sanguigni vengono ricollegati utilizzati tubi riassorbibili dal corpo, sfruttando la naturale rigenerazione delle cellule

  • Astronomia e viaggi spaziali

    • secondo il Dr. Cabrera chi ha inciso le pietre era a conoscenza dell'esistenza della vita su altri pianeti e galassie e possedeva dispositivi tecnologici per viaggiare nello spazio. In effetti alcune rappresentazioni dei continenti della terra sono molto simili a fotografie aeree scattate da grande altezza. Cabrera suggerisce la possibilità che la piana di Nazca, con i suoi disegni visibili solo da un aereo, fosse una specie di base di partenza per questi veicoli.

    • Una delle pietre mostra un uomo che osserva una cometa a mezzo di un telescopio. Nello stesso disegno sono rappresentati i pianeti Giove e Venere e un eclissi di sole.  Altre pietre rappresentano 13 diverse costellazioni incluse le Pleiadi. ( 2 )

  • Strumenti musicali

Non solo è stato confermato che non può essere stabilita nessuna relazione con le culture andine conosciute, inca e preincaiche, ma è chiaro che le pietre costituiscono una vera e propria biblioteca, una biblioteca di pietra che racchiude un bagaglio conoscitivo straordinario, di gran lunga più evoluto del nostro .

Con oltre 15.000 pietre scoperte fino ad oggi e le teorie conseguenti alla loro interpretazione, l'enigma è ancora lontano da una conclusione definitiva; in ogni caso è ben lontano dagli attuali paradigmi scientifici e può essere considerato il teatro di un avvenimento di enorme importanza antropologica che potrebbe far riscrivere del tutto la storia dell'umanità.

 

 

 

 

Tratto da http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm

 

Le incredibili pietre del dottor Cabrera

 

Una capsula temporale di immagini, unica, si trova ad Ica, Peru'. Ventimila pietre e tavolette decorate con un grande assortimento di incisioni, alcune delle quali fuori luogo e anacronistiche. Il proprietario è il fisico, archeologo dilettante e geologo dottor Javier Cabrera Darquea.

La maggior parte del materiale impiegato è andesite grigia, di matrice granitica, semi cristallina, molto dura, difficile da incidere. La gente della regione è solita rinvenire tali pietre da secoli, sin dal 1500. Sulle pietre sono raffigurate scene di chirurgia e pratiche mediche molto sofisticate, in alcuni casi molto piu' avanzate dei nostri giorni: sono rappresentati tagli cesarei, trasfusioni di sangue, l'agopuntura come anestetico, delicate operazioni ai polmoni o ai reni e la rimozione di tumori. Ci sono anche immagini dettagliate di operazioni a cuore aperto o al cervello, e pietre che descrivono un trapianto di cuore seguendone tutta la procedura. Alcuni dottori hanno verificato che nelle pietre viene mostrato perfino un trapianto di cervello, a dimostrare che i chirurghi della preistoria erano altamente piu' avanzati di noi in fatto di medicina.

 

 

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

Doppia dentatura

 

Nel 1888 a Clearwater (Minnesota) furono recuperati sette scheletri in un tumulo sepolcrale. Anche questi sono anatomicamente corretti, ad eccezione che la loro bocca è caratterizzata da una doppia fila di denti nella mandibola superiore ed in quella inferiore. Tutti sono stati sepolti in posizione seduta con la faccia rivolta verso il lago. La loro fronte è particolarmente bassa e spiovente con le arcate sopracciliari molto pronunciate.

Resti diabolici

Resti di teschi umani dotati di corna sono stati scoperti in un tumulo sepolcrale a Sayre (Bradford County, Pa) nel 1880. Le proiezioni cornee si estendono per 5 cm al di sopra delle sopracciglia, mentre gli scheletri sono alti circa 2,2 m. A parte queste anomalie, sono anatomicamente del tutto normali. E' stato stimato che furono seppelliti intorno al 1.200 a.C.

 

Da : http://web.tiscalinet.it/tannoiser/settimana18.htmnon

 

Notizia della settimana dal 28/05/00 al 04/06/00

Il nome di OOPART (Out Of Place Artifacts cioè manufatti - reperti fuori posto), introdotto nella letteratura scientifica non ufficiale, indica tutte quelle tracce di presenza umana rinvenute in strati geologici in cui non dovrebbero esistere, oppure quegli utensili di livello tecnologico incompatibile con le conoscenze della civiltà in questione. Anche se ciò non è riportato sui libri di storia, questi reperti sono molti e contraddicono palesemente la visione tradizionale delle preistoria, con grande dispiacere per i pensatori ortodossi. L'abitudine a considerare questi ritrovamenti delle anomalie (chiamando in causa, ad esempio errori di datazione, fenomeni naturali, malafede dei ricercatori coinvolti), solo perché non rispecchiano gli schemi di pensiero accettati, ha permesso che questa mole di dati venisse accantonata e dimenticata, formando un vero e proprio capitolo di "Archeologia proibita".

Continuiamo, questa settimana, con la rassegna dei ritrovamenti di resti umani in strati geologici "impossibili":

SCHELETRI DI HOMO SAPIENS 

Scheletro completo di Homo Sapiens moderno a Olduvai George, in Tanzania, fossilizzato in strato di 1-2 milioni di anni, rinvenuto dal dottor Hans Reck ne 1913. 

Omero e femore di uomo attuale, in Kenia, datati rispettivamente 4 e 2 milioni di anni (1965, 1972, documentazione ufficiale). 

Femore anatomicamente moderno trovato sull'Isola di Giava nel 1894. Venne erroneamente associato, ad un teschio di ominide primitivo a formare un fantomatico miscuglio che prese il nome di Homo Erectus, caposaldo ormai incontestabile della nostra linea evolutiva. 

Ossa di Homo Sapiens rinvenute a Brescia dal geologo Giuseppe Regazzoni in strato del PIiocene (3-4 milioni di anni) (1860). 

Cranio di ominide dalle caratteristiche controverse, scoperto dall'antropologo Richard Leakey in Kenia (1972). Presentava una capacità cranica inaspettatamente alta, con una forma facciale primitiva, e la stima dell'età oscillava tra 2,6 e 1,8 milioni di anni. Nonostante la sua classificazione come Homo Habilis, questo ominide non può appartenere alla linea evolutiva originata dall'Australopitecus (Fonte: «Origins» di Leakey e Lewin). 

Cranio umano calcificato ritrovato assieme ad uno scheletro di iguanodonte dal professor Henao Martiri (Fonte: Università dei Quindio, Colombia). 

Prove di trapanazione del cranio, praticata nell'era neolitica, a scopo magico o terapeutico (praticata anche oggi da diverse tribù africane che si trovano allo stadio neolitico). Il più antico è un cranio di uomo cinquantenne ritrovato in Alsazia da una missione archeologica nel 1997, datato intorno al 5000 a.C. con il metodo C14. Il soggetto riportava le tracce di diversi interventi chirurgici, a cui sopravvisse, come dimostra la rigenerazione dell'osso cranico. 

Scheletro umano venuto alla luce casualmente, in una miniera italiana (probabilmente decine di milioni di anni). 

Scheletro completo di Homo Sapiens, scoperto in un bacino carbonifero risalente ad almeno 300 milioni di anni, presso Macoupin, in Illinois. (Fonte: «The Geologist», 1862). 

Articolo tratto da  "Nexus" - Edizione Italiana

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

Sfere metalliche

 

Le più antiche. In un deposito precambriano del Sudafrica sono state ritrovate varie sfere di limonite (di durezza anomala), lavorate con scanalature parallele. I reperti, conservati al Museo di Kerksdorp (Sudafrica), sono state datate 2,8 miliardi di anni.

 

 

Negli anni passati i minatori del Sudafrica hanno ritrovato centinaia di sfere metalliche con 3 incisioni parallele, lungo l'equatore delle sfere. Le sfere sono di due tipi:  "...uno di metallo bluastro con punti bianchi, e un altro di sfere cave riempite nel centro di un materiale elastico" (Jimison 1982).  Roelf Marx, sovrintendente del Museo di Klerksdorp, in Sudafrica, dove sono conservate alcune sfere, ha dichiarato: "Le sfere sono un completo mistero. Esse sembrano lavorate dall'uomo, ma risalgono ad un'epoca in cui, secondo la storia della Terra, non esisteva alcuna forma di vita intelligente. Questi reperti sono qualche cosa che non ho mai visto prima" (Jimison 1982).

In una lettera datata 12 settembre 1984, Roelf Marx fornisce ulteriori informazioni sulle misteriose sfere: "Non è stato pubblicato alcuno studio scentifico sulle sfere, ma i fatti sono chiari. Esse furono trovate nella pirofilite, scavata vicino a Ottosdal, nel Transvaal occidentale. Questa pirofilite (Al2Si4O10(OH)2) è un minerale secondario, abbastanza tenero, calcolato a 3 punti della Scala di Mohs, formatosi dalle sedimentazioni circa 2,8 miliardi di anni fa. D'altra parte le sfere, che hanno una struttura fibrosa all'interno ed un guscio esterno, sono molto dure e non è possibile scalfirle nemmeno con una punta d'acciaio. La Scala di durezza di Mohs è così chiamata dal nome di Friedrich Mohs, che scelse 10 minerali come punti di riferimento per le prove comparative di durezza, usando il talco come grado 1 ed il diamante come grado 10.

Nella sua lettera, Marx dichiarò che A. Bisschoff, un professore di geologia all'Università di Potchefstroom, disse che le sfere erano una "concrezione di limonite". La limonite è un tipo di minerale ferroso. Una concrezione è una massa avvolgente e compatta di roccia, formata dalla cementazione localizzata intorno ad un nucleo.

Un primo problema, in apparente contrasto con l'ipotesi della limonite, riguarda proprio la loro durezza. Come abbiamo anticipato, le sfere metalliche non possono essere scalfite da una punta d'acciaio, indicando quindi un'estrema durezza. Ma i riferimenti standard della limonite indicano da 4 a 5,5 gradi della Scala di Mohs, vale a dire un basso grado di durezza (Kourmisky 1977). Inoltre le concrezioni di limonite normalmente si presentano in gruppi, come bolle di sapone attaccate l'una all'altra e, ovviamente, prive delle scanalature orizzontali.

In assenza di spiegazioni soddisfacenti, le prove raccolte lasciano intendere che siamo di fronte a qualcosa di misterioso, lasciando aperta la possibilità che le sfere del Sudafrica, trovate in un deposito precambriano vecchio di 2,8 miliardi di anni, siano state lavorate da un essere intelligente.

Bibliografia:

            Marx, R. (1984) personal communication, September 12.

 

 

Tratto da http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm

 

Teschi di cristallo di Atlantide

 

Senza dubbio il cristallo piu' enigmatico è il teschio, scoperto nel 1927 da F.A. Mitchell-Hedges sulla cima di un tempio in rovina nell'antica città maya di Lubaantum, belize.Il teschio era fatto di un singolo blocco di quarzo alto 12 cm, lungo 17 e largo dodici.Le sue proporzioni corrispondono a quelle di un piccolo cranio umano, dai dettagli perfetti.Molte anomalie vennero riscontrate durante gli studi effettuati nel 1970.Non furono usati strumenti di metallo per modellare il quarzo, che era stato trattato senza badare assolutamente all'asse naturale del cristallo, situazione impensabile nella moderna arte della lavorazione del quarzo.Secondo gli studiosi gli venne dato un primo abbozzo di forma usando probabilmente il diamante. La fase di lucidatura e forma finale dovrebbe essere stata condotta con sabbia di cristalli di silicio e acqua. Se questo fosse vero, avrebbe richiesto 300 anni di lavoro continuo per ottenere tale risultato. Ad oggi, dopo essere andati sulla Luna e aver scalato montagne, sarebbe impossibile riprodurre un simile oggetto.

 

 

I tredici teschi

da Focus febbraio 2001

 

Secondo un'antichissima e assai dubbia  leggenda maya, dovrebbero segnare l'avvento di una Nuova Era Cosmica, quando si ritroveranno di nuovo insieme dopo una diaspora ultramillenaria. Sono 13 teschi di cristallo, di origine ancora misteriosa, sparsi per il mondo e giunti in mano ai loro attuali proprietari per vie spesso oscure. A poco meno di un secolo dalla loro prima apparizione hanno già fatto nascere leggende, libri, film. Uno dei 13, quello di proprietà di una signora inglese, Anna Mitchell-Hedges, oltre che bello e famoso,è anche al centro di un'avventurosa vicenda archeologica alla Indiana Jones, per di più con risvolti "gialli" degni di Agatha Christie.

Secondo la versione fornita dalla stessa protagonista,il teschio sarebbe stato rinvenuto da Anna nel 1927, in occasione del suo diciassettesimo compleanno, fra le rovine maya che erano state scoperte nell'Honduras britannico (l'attuale Belize) da suo padre adottivo,Frederick "Mike" Mitchell-Hedges. Lui stesso le aveva battezzate Lubantuum. Il teschio, completo di mascella mobile (scoperta a poca distanza, 3 mesi più tardi) era stato, sembra, identificato dagli indigeni come un antichissimo oggetto sacro: ma l'episodio era venuto alla luce solo molti anni più tardi, nel 1954,  quando "Mike" ne aveva parlato, in modo assai vago, nel suo libro di memorie.

«Al rientro in Inghilterra» aveva scritto «portammo con noi anche il sinistro Teschio del Destino. Il pezzo risale a 3.600 anni fa. Secondo la leggenda, veniva usato dal grande sacerdote maya per compiere riti esoterici. Sembra che quando il sacerdote invocava la morte per mezzo del teschio, la morte sopraggiungesse ineluttabilmente. Il teschio è stato descritto come la rappresentazione del male, ma io non intendo spiegare questo fenomeno». Tutto qui: e anche questa criptica allusione era misteriosamente scomparsa sin dalla seconda edizione del volume, l'anno successivo. Così il "Teschio del Destino" era rimasto per oltre trent'anni avvolto in vecchi giornali, sinché nel 1962, 3 anni dopo la morte dell'esploratore, Anna l'aveva tirato fuori dall'armadio per mostrarlo a un giornalista del Daily Express, che era andato a intervistarla per tutt'altro motivo.

È solo a questo punto che la storia della scoperta e il resoconto degli strani fenomeni connessi al teschio cominciano a rimbalzare di giornale in giornale sino a diventare un mito per tutti i fanatici dell'archeologia misteriosa. Si dice infatti che a volte il lobo frontale del reperto assuma un aspetto lattiginoso con forme fluttuanti all 'interno.  Si vocifera che il teschio si muova senza essere toccato, che diffonda un alone paglierino, che emani un odore di muschio e che trasmetta strani suoni di cori e campanelle.E si dice anche che provochi visioni e sensazioni di benessere o d'inquietudine nei visitatori disposti a subirne l'influsso. Anna asserisce infine che il teschio, dopo aver protetto la vita di suo padre in una decina di pericolosi frangenti, ha guarito (disgraziatamente senza controllo medico) parecchie persone (rimaste anonime); ma si è rivelato anche capace di interventi mortali, come quando si è vendicato delle beffe di uno stregone africano facendolo incenerire da un fulmine.

Questi episodi hanno destato l'interesse di molti occultisti, compreso il famoso (e famigerato) satanista californiano Anton LaVey, che ha rivendicato l'origine diabolica del manufatto (e anche il suo personale diritto a prenderne possesso).

Anna ha preferito invece fidarsi della multinazionale informatica Hewlett-Packard, specializzata in test elettronici, per accertarne le tecniche di lavorazione. Si è così scoperto che l'oggetto è stato levigato a mano con sabbia e acqua, partendo da un blocco di quarzo originario almeno tre volte più grande. Non si è potuta effettuare alcuna datazione al carbonio 14 perché il quarzo non è un materiale organico, ma la tecnica è stata giudicata compatibile con una fabbricazione in epoca pre-colombiana: e questo è stato sufficiente ad Anna per dichiararsi soddisfatta. Peccato che, nel frattempo, si siano andate addensando ombre inquietanti circa l'autenticità dell'intera storia.

Il silenzio di tutti i resoconti della spedizione a proposito del reperto ha fatto sorgere il sospetto che l'intera storia sia stata inventata da Mitchell-Hedges, fanatico dell'archeologia misteriosa, sedicente protagonista di molte altre dubbie peripezie e già in altra occasione colto a spacciar panzane. Ma la vera "bomba" è esplosa quando si è accertato che il teschi di cristallo era stato venduto a Mitchell-Hedges nel 1944 dall' antiquario londinese Sidney Burney il quale lo aveva acquistato molti anni prima da un altro proprietario; che il teschio era stato con frontato nel 1936 con quello posseduto dal British Museum, risultando che i 2 reperti erano quasi identici ma entrambi probabilmente di origine azteca e che nel 1943 il gioiello aveva figurato in un'asta di Sotheby, con Buni sempre segnalato quale legittimoproprietario. Anna Mitchell-Hedges si è difesa con le unghie e i denti da ogni accusa, rivendicando l'origine maya del teschio (che pertanto resta a tutt'oggi l'unico dei 13 teschi attribuito a una cultura diversà da quella azteca) e imbastendo una complicata storia di prestiti contro pegno che avrebbe consentito all'antiquario Burney di presentarsi per oltre 10 anni come proprietario del gioiello, senza averne alcun diritto. Queste spiegazioni sono state di solito giudicate poco convincenti, e il ritrovamento del teschio è stato trasferito d'ufficio dalla lista delle Grandi Scoperte a quella delle Grandi Burle del nostro secolo. Ma l'effetto valanga era ormai avviato e i teschi di cristallo hanno continuato a spuntare come funghi sia dalle teche di rispettabili musei, sia dai cassetti di assai meno affidabili collezionisti privati. Nessuno, però, proveniente da dove avrebbe dovuto realmente essere, e cioè da siti archeologici.

Oltre a quello già citato del British Museum (acquistato nel 1897 da un gioielliere di New York senza elementi sicuri circa la sua provenienza), anche altri 2 teschi sono emersi, rispettivamente dal Musée de l'Homme del Trocadero a Parigi e dallo Smithsonian Institute di Washington: il primo apparso negli inventari della fine dell'Ottocento senza alcuna indicazione di origine, e il secondo registrato come "spedito per posta da un anonimo donatore". Ancor meno certe le origini dei più importanti fra i teschi posseduti da privati: da quello di Jo-Ann Parks, regalato a suo padre da un lama tibetano (!),a quello di Nick Nocerino, che sarebbe stato scoperto dal proprietario grazie ai suoi poteri metapsichici in una località segreta nello stato messicano di Guerrero, a quello dell'aristocratica creola Norma Redo, capitato nella sua famiglia non si sa bene come verso la metà del secolo XIX. Tutti adeguatamente sfruttati dai loro proprietari per arricchirsi vantando i loro presunti poteri paranormali. Per la precisione, telepatia e cristallomanzia  per Jo-Ann Parks e Nick Nocerino, guarigioni per Norma Redo.

L'ultima ipotesi sulla loro origine è la più fantasiosa: che c'è chi li considera trasmittenti a cristalli di quarzo, abbandonate sulla Terra in epoca remota da qualche civiltà extraterrestre e pronte a comunicare con il cervello umano "per vi neuronica". Affermazione, quest'ultima, che suscita più interrogativi di quanti ne risolva.

Di fatto la spiegazione sull'origine di ognuno dei teschi si è rivelata priva di credibili pezze d'appoggio. Ma se non hanno origini precolombiane, da dove vengonoallora i teschi? E chi li ha realizzati? Una studiosa, Jane Maclare Walsh, ha fatto indagini e ha pubblicato un libro su questo tema per la Smithsonian Institution Pres.La Maclaren ritiene che gli esempi di dimensioni più piccole risalgano agli inizi del Sedicesimo secolo mentre quelli più grandi potrebbero essere stati intagliati fra 1867 e il 1886. Studi condotti negli anni '90 dal British Museum hanno infatti rivelato che il quarzo del teschio del British Museum è di origine brasiliana. Questo fatto è stato collegato alla presenza in Brasile di immigrati tedeschi provenienti dalla cittadina della Renania-Palatinato di Idar-Oberstein, un centro specializzato nella lavorazione dell'agata fin dal Quindicesimo secolo. Per quanto riguarda l'uso, la Maclaren indica che solo uno dei teschi più piccoli, e non di cristallo ma realizzato in pietra verde, è stato trapanato orizzontalmente attraverso le tempie secondo la metodologia pre-colombiana utilizzata per i teschi dei sacrifici umani, che venivano poi esposti nel cosiddetto tzompantli,o "rastrelliera di teschi".Tutti gli altri teschi sono stati trapanati dall'alto verso il basso, confermando la teoria che sarebbero stati usati come base per crocifissi di fattura spagnola. Durante il Rinascimento iberico si raffigurava infatti la crocifissione di Cristo sulla sommità del Golgota, che in ebraico significa teschio, sulla cui base viene spesso ritratta una

caverna all'interno della quale è nascosto un teschio, che sarebbe, secondo la tradizione, appartenuto ad Adamo.

La Maclaren ha anche seguito i movimenti in Francia, Messico e Stati Uniti di un certo Eugene Boban che alla fine dell'Ottocento potrebbe essere stato legato alla misteriosa comparsa nel mercato dell'arte dei teschi di cristallo di dimensioni più grandi. La studiosa è dell'opinione che il teschio dello Smithsonian Institute sia senza ombra di dubbio un falso del Diciannovesimo secolo.

Qualunque sia la verità, per qualche anno ancora possiamo stare tranquilli: per il summit dei 13 Teschi destinato a inaugurare la Nuova Era Cosmica, apportatrice di contatti interstellari, amore per la Madre Terra e comprensione fra gli uomini c'è ancora da aspettare. Almeno sino all'esaurimento del cosiddetto Conto Lungo di 1.366.560 giorni della cronologia maya, iniziato il 13 agosto del 3114 a. C. e destinato a concludersi al tramonto del sole in America centrale il giorno 21 dicembre 2012.

Così almeno in base agli ultimi calcoli dei moderni sciamani guatemaltechi.

Sergio De Santis

(ha collaborato Elisabetta Del Soldato)

 

Per saperne di più:

F.A. Mitchefl-Hedges, Tesori nascosti e mostri marini (Baldini & Castoldi). J. Ropper, il segreto dei teschi di cristallo (Piemme).

C. Morton e CL. Thomas, il mistero delle 13 chiavi (Sonzogno).

Jane Madaren Walsh, Crvstal Skulis and otherproblems (Srnithsoniall Institution Press), in inglese.

 

 

 

Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

Il vaso di Dorchester

 

Il vaso di Dorchester. Nel Luglio 1851 la rivista Scientific American pubblicò la notizia del ritrovamento di un vaso metallico, contenuto all'interno di un blocco di roccia solida estratto ad almeno 5 metri nel sottosuolo. Il vaso, a forma di campana, è alto circa 15 cm ed è composto di una lega di zinco e argento. Sulla superficie, figure di fiori intarsiati in argento puro. L'età stimata della roccia è di 600 milioni di anni.

Nel 1851 alcuni operai stavano facendo brillare delle cariche esplosive a Dorchester, Massachusetts, quando, dall'interno di un pezzo di roccia venne estratto un vaso metallico decorato, di una lega sconosciuta (ma contenente zinco e argento). L'altezza è di circa 15 cm ed è ornato da intarsi floreali in puro argento, evidentemente eseguiti da un abile artigiano.  Secondo l'opinione dell'editore della rivista Scientific American il vaso sarebbe stato fabbricato da Tubal-cain, il mitico padre della metallurgia.  La roccia precambriana che racchiudeva il vaso è stata datata 600 milioni di anni.

 

 

 Tratto da : http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

Federazione delle Associazioni Culturali e Scientifiche Milano

Vite di Abbey

Vite di Abbey. Nel 1865 venne scoperta una vite di 5cm all'interno di un pezzo di feldspato estratto dalla miniera di Abbey a Treasure City (Nevada). La vite è molto ossidata, ma la forma, in particolare il suo filetto, è ben visibile nel feldspato. E' stato calcolato che la pietra si sia formata intorno ai 21 milioni di anni fa.

 

 

Alcuni indirizzi utili su internet :

 

http://web.tiscalinet.it/fantagallery/oopart.htm

http://www.modicaonline.com/Fuoriposto.htm

http://digilander.iol.it/Acam/oopart2.htm

http://www.cun-italia.net/news/newrete234.htm

http://www.cun-italia.net/index.htm

http://www.ininterland.it/tempolibero/misterinterland/mistero3.htm

http://digilander.iol.it/enricorea/indagatori.htm

http://utenti.tripod.it/facs/sparkplug.html

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/teschi_di_cristallo_di_atlantide.htm

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/un_jet_dal_sud_am.htm

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/computer_di_antikythera.htm

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/la_colonna_di_ashoka.htm

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/le_lampade_di_dendera.htm

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/chirurgia_avanzata_nell.htm

http://www.ticino.com/cusi/Redaz/Attualita/scheda063.htm

http://utenti.tripod.it/facs/body_archivio.html

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/news_htm/menu_news2000.htm

http://digilander.iol.it/Acam/realtastorica.htm

http://utenti.tripod.it/facs/oopart.html

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/oopart/oopart.htm

http://digilander.iol.it/setiufo/setiufo/news_htm/trovati__oopart__in__russia.htm

http://www.oopart.com/in

http://www.oopart.com/pages/templaroa.html

http://briefcase.yahoo.com/ellecroft68

http://bluemoonnews.net/images3.htmin

http://web.tiscalinet.it/tannoiser/settimana18.htmnon

 

 

 

 

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