A rotta di collo di Valerio Aiolli, Edizioni E/O

 

Come epigrafe del suo secondo romanzo, lo scrittore fiorentino ha scelto una frase lapidaria di Friedrich Dürrenmatt: “Soltanto la commedia è adatta a noi”. E nella quarta di copertina si afferma che A rotta di collo è “una commedia amara e divertente”. Ebbene, si dovrebbe aggiungere che Aiolli ha trasportato nel romanzo nient’altro che la commedia all’italiana; non quella che si trascina stanca e fiacca nel nostro cinema più o meno giovane, ma quella ben costruita e vitale che faceva grande il nostro cinema una trentina d’anni fa.

La vicenda di Elio Gobbò, aspirante fumettista e creativo insoddisfatto, è infatti una veloce, sarcastica e ben scritta commedia all’italiana, che in un seguito di scene grottesche e ben incastrate (e l’intreccio a orologeria, con tanto di malintesi a catena, è tipico della commedia) va a toccare molte facce più o meno sgradevoli dell’Italia di oggi. Al cinema di quelle belle commedie di una volta non se ne vedono più; ma per fortuna quella forma è ricomparsa miracolosamente nella letteratura, e non si può non esserne contenti. Anche perché il libro di Aiolli è un piacere da leggere − anche e soprattutto per i piccoli virtuosismi stilistici che l’autore ci regala a piene mani (valga per tutti la decostruzione della retorica ciclistica di De Zan père che apre il romanzo).

Ma va anche detto che la trama di A rotta di collo è una e bina: dietro la commedia all’italiana c’è l’altro grande genere del cinema italiano dell’Età d’Oro, il film di denuncia socio-politico alla Le Mani sulla Città o Il caso Pisciotta, quella che potremmo chiamare la tragedia all’italiana. Aiolli racconta anche un’indagine sul sacco edilizio di un’anonima città italiana (alla fine riconoscibilissima) che riapre brillantemente una pratica della nostra letteratura rimasta a prender polvere dai tempi della Speculazione edilizia di Italo Calvino. Ed era ora che quell’incartamento venisse riaperto.

(Pulp Libri n. 39, p. 28)

 

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