Il risveglio di Erode, di Greg Bear, Fanucci, 2002, tr. Maurizio Nati

 

Gregory Dale Bear, in arte Greg Bear, enfant prodige della fantascienza (primo racconto pubblicato a quindici anni), ebbe l’onore di essere incluso da Bruce Sterling nell’ormai storica antologia Mirrorshades, il manifesto dell’ondata cyberpunk. Ma a ben vedere, Bear è stato solo un compagno di strada di Bruce Sterling & C., che nel tempo si è manifestato come autore originale e del tutto a sé stante nel panorama della fantascienza americana. In effetti già nel suo secondo romanzo, Psychlone, del 1979, si poteva trovare in forma embrionale la miscela di ingredienti caratteristica della sua cucina: speculazione scientifica iperdensa, con un occhio sempre rivolto alle possibilità di trascendenza della finitudine umana; visione attenta e sempre più disincantata degli spietati giochi di potere che ruotano attorno alla ricerca scientifica e alle sperimentazioni tecnologiche; capacità di animare personaggi sempre più credibili e vivi, a differenza di altri mestieranti della hard science-fiction.

Dagli esordi incerti dell’opera prima, Egira, e di Psychlone, romanzo inquietante ma ancora grezzo, Bear è diventato un astro di prima grandezza nel firmamento della fantascienza hi-tech; ci ha dato romanzi sempre narrativamente sempre più intelligenti come Eon, La musica del sangue e La regina degli angeli; e la sua solida immaginazione tecno-scientifica si è fatta al tempo stesso sempre più sofisticata e sempre più iperbolica.

Prova ne è la sua ultima fatica, Il risveglio di Erode, vincitore del Premio Nebula nel 2001. Va detto che il titolo originale è Darwin’s Radio; e ci si chiede se la Fanucci non avrebbe fatto meglio a conservarlo. Certo non si può negare che all’inizio romanzo sembri raccontare il risveglio di Erode, virus annidato nel genoma umano da decine di migliaia di anni, che improvvisamente minaccia di estinguere la specie umana facendo abortire tutte le donne incinte. Tutte le prime duecento pagine della vicenda si presentano come un serratissimo thriller genetico, ben scritto, documentatissimo, dove la suspense viene costruita non solo dall’enigma scientifico, ma da un’intelligente ricostruzione degli intrecci perversi tra finanza, ricerca scientifica, politica e industria farmaceutica nell’America delle lobbies biotecnologiche.

Però, man mano che si scopre l’affascinante funzionamento della radio di Darwin, vera protagonista del romanzo, ci si rende anche conto che in questo romanzo non tutto, anzi ben poco, è quel che sembra all’inizio. Questo vale per i personaggi in carne ed ossa, piccoli e grandi che siano, ma soprattutto per quelli immateriali, ma altrettanto importanti: il genoma umano, l’evoluzione, il DNA, gli introni e gli esoni e soprattutto i retrovirus endogeni umani, cui appartiene il morbo di Erode che dà il titolo all’edizione italiana. Tutte queste meraviglie della genetica diventano, nelle mani di Bear, metafore e simboli per raccontare quello che siamo e quello che potremmo essere come individui, ma soprattutto come collettività. E difficilmente chi legge questo romanzo vorticoso e avvincente potrà dimenticare l’immagine forse più bella, quella del nostro corpo come vero e proprio web genetico, immagine speculare del nostro mondo cablato e satellitare.

Alla fine la posta in gioco non è più la cura del supposto virus, ma il destino del percorso evolutivo dell’umanità; e vincerà il gioco chi saprà ascoltare la musica trasmessa nel sangue da Radio Darwin.

 

(Pulp Libri, n. 38, p. 29)

 

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