Un cadavere di troppo, di Leigh Brackett, trad. Luca Conti, Giano

Ci sono, nelle lettere statunitensi, figure delle quali è difficile cogliere l’importanza. Gente come Richard Matheson, che s’è mosso tra cinema, televisione, letteratura, lasciando la sua impronta dovunque, ma senza dedicarsi mai esclusivamente a un solo campo d’attività. Inoltre questi personaggi sono spesso professionisti della tastiera, dediti a generi non del tutto rispettabili come fantascienza, horror, giallo ecc. quindi snobbati dai critici accademici e dai puristi.

Eppure sono questi scrittori che hanno dato una forma (non sempre rassicurante) a quell’immaginario americano che da una ventina d’anni ha invaso il nostro (per cui, per esempio, i nostri bambini vanno ormai in giro la sera del 31 ottobre a scimmiottare quelli d’oltreoceano senza nemmeno saper bene cosa fare).

Leigh Brackett è proprio una di questi grandi produttori d’immaginario. Scrittrice affermata di giallo, di fantasy e fantascienza fino agli anni ’40, si sposta poi a Hollywood a scrivere sceneggiature di alcuni capolavori assoluti della filmografia statunitense. Un esempio tra tutti, ha lavorato al Lungo addio di Howard Hawks, e scusate se è poco. Non avesse scelto il cinema avrebbe scritto altri romanzi come questo Un cadavere di troppo, e l’investigatore privato Edmond Clive, protagonista dell’ingarbugliata vicenda, oggi sarebbe senz’altro famoso come Sam Spade, Marlowe o Mike Hammer. Il libro, che ruota attorno a una torbida storia di ricatti e segreti della classica famiglia di ricconi degenerati (gli Alcott), è ben costruito e godibilissimo, nonostante i suoi sessant’anni. E la narratrice dimostra di saperlo farcire di cazzotti e pistolettate come i colleghi maschi.

Con un notevole occhio alla moda, però. Come in un passo che mi ha colpito, e che cito, dove si descrive una classica fatalona da hard-boiled: “Oltre ai soliti capelli biondo platino e alle unghie rosso sangue, Sugar indossava un maglioncino rosso, lungo una decina di centimetri e ben poco coprente. Tra la fine del maglioncino e l’inizio dei calzoni della ragazza si apriva un largo tratto di pelle nuda, un ventre morbido ma sodo. I calzoni erano bianchi, lucidi e aderenti. I sandali avevano un tacco di oltre dodici centimetri.” Nel complesso, mi pare un personaggio che vedresti bene nel programma di Maria De Filippi o nel Grande fratello.

Niente di nuovo sotto il sole?

 

(Pulp Libri, n. 53, p. 35)

 

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