Non è vero che l’accademia
italiana sia sempre e dovunque avvolta da un grigiore burocratico e chiusa in
se stessa e nei suoi rituali di cooptazione e perpetuazione. Ogni tanto manda
segnali degni del massimo interesse, come nel caso di questa raccolta di saggi
che si articolano attorno a un oggetto culturale complesso e sfaccettato, la
Repubblica di Haiti e ciò che essa ha rappresentato nel passaggio dal XVIII al
XIX secolo, e ancora rappresenta per noi oggi. Haiti è ben più di un fondale
per qualche storia di spionaggio con tanto di palmizi e riti vudù; è un caso
paradigmatico e rappresentativo dell’evoluzione di quel sistema
politico-economico detto colonialismo che ha contribuito a fare dell’Occidente
quel che oggi è, e del resto del mondo quel che ne abbiamo fatto. Dati gli
avvenimenti del giorno ci sembra un tema a dir poco d’attualità.
I saggi contenuti in questa
raccolta, solidamente documentati e scritti senza ricadere in gerghi
specialistici, studiano da più prospettive l’impatto della rivoluzione
haitiana, che nel 1791 portò mezzo milione di schiavi africani a ribellarsi
contro i loro padroni francesi e a instaurare di fatto quell’uguaglianza tra
gli uomini al di là del colore della pelle che a quell’epoca era
difficilmente pensabile anche per i filosofi illuministi. Fatto di cui
purtroppo di parla ben poco o per niente nei libri di scuola, ma che ha avuto,
come ci spiegano gli autori dei contributi, un impatto considerevole sulla
cultura europea (tanto da essere la vera radice storica, come ipotizza la
filosofa americana Susan Buck-Morss, che ha scritto il pregevole saggio
iniziale della raccolta, della dialettica servo-padrone in Hegel).
Validissimo volume dunque,
che spazia dal passato al presente (paranoia dell’AIDS inclusa); peccato solo
per la mancanza di una cronologia dei principali eventi della storia haitiana,
e per la singolare assenza di saggisti locali nella raccolta: una voce del
posto non ci sarebbe stata male.
(Pulp Libri, n. 42, p. 52)