Follia per sette clan, di Philip K. Dick, Fanucci, tr. Paolo Prezzavento

La Fanucci prosegue l’impresa di riproporre tutto Dick in traduzioni rispettabili e corredato dalle ricche introduzioni di Carlo Pagetti. Tocca questa volta a uno dei migliori romanzi dell’autore californiano, Follia per sette clan, che era nell’originale edizione americana del 1964 Clans of the Alphane Moon (I clan della luna di Alpha); riuscitissimo forse perché l’argomento del libro è perfettamente adatto alla tecnica narrativa adottata da Dick, quella di far vivere una vicenda da più personaggi e presentarcela da diverse prospettive psicologiche; o meglio, psichiatriche.

Doppia trama, si diceva; e anche doppia ambientazione, a capitoli non esattamente alterni. Sulla Terra Dick ambienta il disastro coniugale (una delle sue specialità) di Chuck Rittersdorf, dipendente della CIA (chiamarlo “agente” sarebbe eccessivo) che programma spie robot, ossessionato dal desiderio di sbarazzarsi della moglie Mary dalla quale è separato, e che gli sta rovinando l’esistenza. Attorno a Chuck si concentrano manovre sempre più torbide di politici, servizi segreti, imprenditori mass-mediatici, alieni affaristi, attrici siliconate, killer da hard-boiled, eccetera. È un mondo distopico dove tutti ingannano tutti e non si capisce mai bene chi manipola e chi è manipolato

Alla Terra si contrappone la luna di un lontano pianeta nel sistema di Alpha Centauri, dove i pazienti di un manicomio, abbandonati a se stessi durante una guerra interstellare, hanno fondato una strana società i cui cittadini appartengono a sette tipi di patologia mentale (schizofrenia, ebefrenia, paranoia, ecc.) e in base a questo scelgono in quale delle sette città risiedere e quale vita condurre. Qui Dick si scatena, costruendo un mondo folle e rigoroso nella propria improbabilità, dove gli ebefrenici risiedono a Gandhitown, una comunità di mistici e santi visionari dai poteri paranormali, mentre i paranoici, abilissimi politici perennemente intenti a difendersi da minacce reali e immaginarie, dimorano ad Adolfville.

Questo romanzo è sessantottino in senso nobile, animato com’è dalla convinzione che normalità e follia si mettano reciprocamente in discussione, e che la pazzia possa essere la via di fuga dall’incubo di una vita normale, generato dall’insonnia della ragione. Non proprio idee che vanno per la maggiore di questi tempi; ma almeno in letteratura non decide la maggioranza.

(Pulp Libri, n. 54, p. 38)

 

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