Noi Marziani, di Philip
K. Dick, Fanucci, tr. Carlo Pagetti
Bisogna ammettere che è
imbarazzante recensire un romanzo come Martian Time-Slip, ribattezzato
in Italia Noi marziani (dal titolo dell’edizione su rivista, All We
Marsmen). Imbarazzante perché ci si confronta con un testo che, a trentotto
anni dalla sua uscita, è un classico moderno, scritto da un autore la cui
canonizzazione procede a marce forzate. Imbarazzante anche e soprattutto per la
violenza dei sentimenti racchiusi in queste pagine; perché Noi marziani,
incentrato com’è sulla figura di un bambino autistico e sul modo in cui vede
l’umanità che gli si agita intorno insensatamente, ha un forte impatto emotivo
su chi si trovi a rileggerlo − figurarsi su chi lo affronti per la prima
volta.
Sinteticamente, Noi
marziani è nient’altro che la vita quotidiana di una periferia americana
degli anni sessanta (ormai simile a qualsiasi periferia dell’impero di oggi),
che Dick ha genialmente traslato nello spazio immaginario di un Marte desolato,
reincarnazione dei deserti spirituali di T. S. Eliot. Vita suburbana che Dick
ritrae con stile piano e tagliente, come suo solito, con dialoghi più veri del
vero, con uno sguardo stravolto, che alterna raggelata indifferenza e
partecipazione profonda. La ritrae, questa vita americana (forse dovremmo dire
occidentale) in tutta la sua meschinità, la sua avidità, la sua artificialità;
la ritrae con tutti gli affari e i dollari, gli status symbols e le piccole
sopraffazioni quotidiane, la ritrae insomma da grande romanziere che nella sua
fetta di vita, per quanto fantascientifica, sa far rientrare tutto un mondo.
E mi sembra doveroso
chiudere elogiando la limpida e come sempre intelligente prefazione di Carlo
Pagetti, vero mastermind della meritoria impresa editoriale della
Fanucci (giunta ormai alla decima puntata delle opere complete di Dick); vale
la pena di ricomprare questo romanzo, se già l’avete letto, solo per farsi
guidare nelle sue wasteland da questo lettore d’eccezione.
(Pulp Libri, n. 39, p. 31)