I chierici alla guerra: La seduzione bellica sugli intellettuali da Adua a Baghdad, di Angelo D'Orsi, Bollati Boringhieri

 

 

Se pensate che i guai degli italiani siano cominciati con Borghezio e le sue magliette, oppure con la sciagurata partecipazione all'occupazione dell'Iraq, avete la memoria corta. Come c'insegna questo splendido saggio di Angelo D'Orsi – che insegna all'Università di Torino e fa onore al nostro non sempre splendido ceto accademico – il male del bellicismo (leggi: smania di entrare in qualsiasi guerra purché si spari e s'ammazzi) non è cosa recente.

Voi magari avrete creduto a quella boiata catto-comunista di “italiani brava gente”; io no, perché mi venivano sempre in mente personaggi celebri della nostra storia come Cesare Borgia, Raffaele Cutolo e Totò Riina (per non citare Quell'Omo, come lo chiamava Gadda). Come tutti i popoli anche il nostro ha una vena violenta, guerrafondaia, sanguinaria. Solo che mentre in altri paesi chi crede alla guerra poi prende fucile ed elmetto (o cacciabombardiere stealth) e va a rischiare la pellaccia, da noi prevale la genia degli esaltatori della guerra che poi, con poche eccezioni, rimane a casa e semmai va ai funerali di quelli accoppati (e versa pure la lacrimetta).

Questa genia, secondo D'Orsi, è ben rappresentata dai nostri intellettuali. Non da tutti: nella sua ricca e documentatissima ricostruzione spiccano le figure, come quella del grande Antonio Gramsci, che non si sono mai fatte sedurre dalle sirene della strage. Ma quelli che a ogni sparo di fucile, cannone o missile cruise si sono messi a incitare l'italiche genti a prendere elmo di Scipio e moschetto (oggi fucile automatico) sono stati veramente troppi, dal D'Annunzio al Bocca (ai tempi del Kossovo, l'Iraq della sinistretta nostra). E merito di D'Orsi è quello di dimostrare, con una messe di documenti impressionante e ripescando scritti interessantissimi e dimenticati, che alla fin fine i nostri uomini di cultura sono anche troppo pronti a lanciarsi nell'invettiva guerrafondaia, e soprattutto a insultare e aggredire chi della guerra non è entusiasta come loro. E non parliamo del solito Marinetti, ma di altri ben più recenti (un nome tra tanti: Adriano Sofri) che furono altrettanto invasati di spirito sanguinario (tanto loro in una trincea o in un blindato non ce li vedrai mai). E D'Orsi fa vedere benissimo come, si tratti della prima o della seconda guerra mondiale, della Spagna o dell'Etiopia, del Golfo I o II, del Kossovo o della Libia (intendo la guerra del 1911), i nostri chierici sono sempre, purtroppo, pronti a tradire la loro missione di civiltà.

 

(Pulp Libri, n. 60, p. 53)

 

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