Certe volte, tanto per
cambiare, per riprendersi dalle carneficine dell’hard-boiled e del noir
nostrano o d’importazione, fa piacere leggere un giallo dove di morti ce n’è uno
solo, di innocenti (forse) ingiustamente accusati anche, e attorno al cadavere
ruota un ridotto numero di personaggi. Magari un giallo scritto da un suddito
di Sua Maestà britannica; insomma, il classico giallo inglese.
Ma questo romanzo della
giallista britannica (nonché avvocato penale) Frances Fyfield, uscito nel Regno
Unito dodici anni fa ma solo oggi ripescato da Meridianozero (che tanto per
cambiare ci ha visto giusto) è tutt’altra cosa dagli straclassici di Agatha
Christie (o del Francis Durbridge degli sceneggiati polizieschi anni ’60). Non
è solo per l’acutezza e la spudoratezza con cui l’autrice scava negli angoli
più riposti della mente dei personaggi, prendendo di petto il sesso e altre
cose sulle quali, all’epoca della Christie, si glisssava; né per la sincera
brutalità con la quale vengono ritratte le miserie familiari dalle quali, com’è
quasi sempre negli omicidi, la violenza esala come il lezzo da un cadavere; ma
è soprattutto per il paesaggio urbano nel quale la Fyfield ha scelto di ambientare
la sua vicenda, l’indagine sull’omicidio della signora Blundell, moglie di un
agente immobiliare nella periferia remota e “perbene” della metropoli
londinese.
Branston, questo suburb
dove si rifugiano i ceti medi che scappano da una Londra ormai troppo caotica,
multietnica e paurosa, è in effetti il vero protagonista del romanzo, più
dell’acuto e introverso poliziotto Geoffrey Bailey e del sensibile e
intelligente procuratore Helen West. Rifugio di famiglie che vorrebbero la pace
della campagna, Branston si rivela invece il purgatorio di gente che si porta
dietro un vuoto interiore che non perdona.
Sarà reazionario il giallo
italiano? Non so; ma questo della Fyfield mi sembra, nel suo britannico
grigiore, sottilmente eversivo.
(Pulp Libri, n. 41, p. 41)