Nel giugno del 1952 Cyril Lionel Robert James, intellettuale trotzkista,
caraibico e mulatto, che dal 1938 risiedeva e lavorava negli Stati Uniti, viene
internato a Ellis Island, un tempo porta dell’America per legioni di emigranti
europei, ma a quell’epoca campo di prigionia per indesiderabili. Come compagni
di sventura James ebbe comunisti di svariati paesi che l’America maccartista
stava sbattendo fuori grazie a leggi sull’immigrazione più restrittive, e una
congerie di personaggi provenienti da tutti i continenti, accomunati
dall’essere undesirable aliens, espressione che oggi si potrebbe rendere
con “immigrati clandestini”.
Oggi ce ne sono ancora tante, di storie così. Quella di C.R.L. James
risulta particolarmente interessante per la reazione di questo critico
letterario, storico (autore del primo studio sistematico sui giacobini neri di
Haiti) e anticipatore dei cultural studies (notevole il suo libro sul
cricket, nel quale il tema delle differenze culturali viene analizzato tramite
lo sport). James infatti durante la detenzione affronta un classico della
letteratura americana, Herman Melville, concentrandosi sul suo capolavoro, Moby-Dick.
E ne fa un’interpretazione del tutto originale, attingendo alla propria
esperienza di meticcio, di militante trotzkista eretico, di reietto
dell’America in preda a una delle sue periodiche convulsioni reazionarie e
nazionalistiche. La sua è un’interpretazione da prigioniero, un’interpretazione
forzatamente reticente, ma comunque a tratti di una tale intelligenza da farsi
perdonare i propri limiti (puntualmente individuati nella bella postfazione di
Giorgio Mariani).
James vede in Melville un autore capace di predire i totalitarismi e le
società a una dimensione del XX secolo. Melville antesignano di Adorno e Horkheimer;
il Pequod allegoria della società fordista. Ma tra le righe si intuisce ciò
che James aveva colto ma non poteva scrivere, perché in attesa della sentenza
definitiva riguardo alla propria permanenza negli Stati Uniti, e cioè che il Moby-Dick
è allegoria dell’America stessa, società multietnica come la ciurma del Pequod,
guidata da ufficiali bianchi, anglosassoni e protestanti, che di tanto in tanto
finisce in mano a un ossesso come Achab, pronto a mandare tutto in malora pur
di uccidere un capodoglio albino. La crociata del capitano dalla gamba d’avorio
diventa dunque figura di quelle a venire, che periodicamente avrebbero
mobilitato l’America contro qualche Male Assoluto.
James alla fine venne espulso, e dovette tornarsene in Inghilterra. Ci
ha lasciato questo testo appassionato e profetico, che per la prima volta viene
riproposto in italiano. Una lettura obbligata non solo per gli specialisti di
Melville o per i letterati; una vera e propria visione degli Stati
Uniti, degna di William Blake, rivolta a chiunque voglia riflettere sull’Impero
Americano.
(Pulp Libri, n. 46, p. 57)