American Ground, di William Langewiesche, Adelphi, tr. Roberto Serrai

 

Mettiamo bene in chiaro che questo non è un libro sull’11 settembre. Si parla anche della caduta delle torri, ma è soprattutto un reportage giornalistico, ben confezionato, sulla rimozione delle rovine delle torri e degli altri edifici del World Trade Center dalla voragine di Ground Zero. Se volete sapere chi ha veramente organizzato l’attentato, se ci sono stati depistaggi, se Bush si sta approfittando del massacro e altre questioni simili, pur degne del massimo interesse, ebbene no, non leggete questo libro. Se invece volete sapere cosa è successo fin dal momento in cui si è posato il polverone nella ballardiana area del disastro, chi ha rimesso in ordine l’estremità meridionale di Manhattan, e chi sono i veri protagonisti di uno dei più grandi e ardui cantieri di tutti i tempi (non Rudolph Giuliani, con buona pace dei suoi adoratori nel Bel Paese), allora potete anche leggervi American Ground. Non vi deluderà.

Sarà anche interessante confrontare il tono asciutto e pragmatico (e tutto sommato di buon gusto) adottato da Langewiesche, onesto fino al punto di illustrare persino gli aspetti meno edificanti dell’impresa, con gli sbrodolamenti e le invettive e il sentimentalismo della nostra stampa. I nostri giornalisti (qualunque sia il loro orientamento politico) non s’informano, s’indignano, seguendo la lezione di Oriana Fallaci. E passi per la maestra, che se non altro sa scrivere: i suoi allievi invece hanno seri problemi a mettere insieme verbi e avverbi, dipendenti e subordinate. Sanno strillare, non argomentare né ragionare. Magari si ripassassero American Ground per vedere come si fa un reportage.

Ultima considerazione, non tanto marginale: la moglie di uno degli ingegneri che hanno lavorato nello scavo di Ground Zero esclama a un certo punto: “Abbiamo perso l’innocenza!” (sottintendendo “noi americani”). Mi vien voglia di fare il verso a Camilleri e chiederle: “Ca quali ’nuccenza?” Ma quale innocenza, signora mia? Innocente è chi non nuoce, e per questo non ha colpa: lo dice la parola stessa. Piuttosto l’11 settembre gli americani hanno perso la vecchia (e falsa) convinzione d’essere invulnerabili; di essere al sicuro delle conseguenze della loro politica estera (giusta o sbagliata che sia, non è questa la sede per discuterne). Si spera che con le macerie delle torri non abbiano rimosso anche questa nuova consapevolezza.

 

(Pulp Libri, n. 47, p. 52)

 

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