Memorie di un artista della delusione, di Jonathan Lethem, minimum fax, tr. Martina Testa

 

In attesa di vedere tradotto in Italia il nuovo romanzo di Lethem, You Don't Love Me Yet, uscito in America a marzo, è il caso di non perdere questa raccolta di saggi, alcuni dei quali deliziosi, alcuni decisamente splendidi, e tutti mirabilmente tradotti da Martina Testa (magari avesse lei l'esclusiva sulle traduzioni dello scrittore di Boerum Hill...).

Ma andiamo per ordine. Il primo, “Storie metropolitane”, è la storia di una fermata della metropolitana di New York, Hoyt-Schermerhorn, quella nei pressi della casa dove Lethem è cresciuto. Un piccolo saggio autobiografico che insegna quanto un non-luogo come una stazione della metro possa essere colmo di ricordi e di tracce umane. Il secondo saggio, “L'artista della Delusione”, presenta lo scrittore americano Edward Dahlberg, ma anche la zia di Lethem, Wilma Yeo, allieva di Dahlberg e autrice per l'infanzia. Segue “Il ritorno del re, o dell'identificazione con i genitori”, che raccontando la passione di Lethem adolescente per i fumetti Marvel, narra una fase importante della sua vita, e spiega tante piccole e grandi cose della sua scrittura (ma anche del grande disegnatore Jack Kirby). Arriva poi “Voi non conoscete Dick”, forse l'unico degli scritti della raccolta a non essere scopertamente autobiografico, e comunque un'intelligente presentazione del maestro di Lethem, ovvero Philip K. Dick. C'è quindi “Le vite dei bohémien”, un saggio sul padre di Lethem, Richard, pittore anticonformista tutt'altro che di second'ordine, che spiega molto della sua pittura ma anche di un complicato rapporto tra padre e figlio (come se ce ne fossero di semplici). A seguire una brillante analisi del cinema di John Cassavetes, “Due o tre cose che non so di Cassavetes”, e infine un fuoco d'artificio conclusivo, “Le barbe”, nel quale Lethem ricostruisce la sua traiettoria di scrittore attraverso una serie di passioni brucianti per dischi, libri, registi amati follemente e poi rinnegati.

A questo ben di Dio la minimum fax ha fatto seguire una “bonus track” intitolata “Il padrone del soul”, cioè un reportage scritto da Lethem per Rolling Stone dopo aver seguito in studio d'incisione James Brown e la sua band, in una serie di episodi grotteschi e surreali che solo la sua tastiera avrebbe potuto rendere così bene.

Morale della favola: non ve lo perdete. A parte gli argomenti dei diversi saggi, questi testi costituiscono le tessere di un’autobiografia divertente, irriverente, spesso toccante, e in qualche pagina veramente commovente. A suo modo, una specie di romanzo destrutturato. E maledettamente bello.

 

[Anche se questa recensione venne scritta per Pulp Libri essa non venne pubblicata per un disguido]

 

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