Se volessimo cominciare la
recensione in tono malignetto, dovremmo dire “Be’, ma si sono scordati di
tradurre il titolo?” Ahimè, so bene che questo è un dilagante malvezzo della
cinematografia e dell’editoria italiana: il titolo lasciato in inglese “fa
fico”. Per me fa solo sciatto, anche perché “Uomini e cartoni” andava benissimo
(è ben noto l’uso di “cartoni” per “cartoni animati”); oltre tutto in questo
modo si sarebbe colta meglio l’allusione a Uomini e topi di
Steinbeck.
Ora, dopo le bacchettate,
le lodi. Perché Cassini e il resto della truppa di minimum fax le meritano, per
la testardaggine e l’impegno con cui continuano a lavorare su questo scrittore
del quale in Italia si fatica a prendere coscienza (impegno ben maggiore di
quello dimostrato dall’altro editore che possiede i diritti delle altre opere
di Lethem, ovvero Tropea). Lethem, nella schiera di scrittori statunitensi che
ci vengono ammanniti dalla nostra editoria, brilla ormai di luce propria, e lo
fa anche nelle cose piccole (ma non per questo trascurabili), come i racconti
qui raccolti. Racconti al limite del fantastico, come sempre nell’ultimo
Lethem: uno spray che consente di vedere gli oggetti smarriti o rubati (“Lo
spray”), un inspiegabile dejà-vu che è forse premonizione (“Vivian
Relf”), un supereroe fallimentare (“Super Goat Man”), eccetera. Ma il tema
ricorrente di questi racconti è anche e soprattutto (e in questo s’accostano
all’ultimo grande romanzo del nostro, La fortezza della solitudine) lo
scontro e l’incontro delle nostre fissazioni e mitologie infantili (soprattutto
l’amore per i supereroi) con l’amara consapevolezza che nel mondo adulto non
c’è Devil e Uomo Ragno che vengano a rattoppare gli strappi e gli squarci delle
nostre vite.
Qua e là Lethem infila gag
surreali (come in “Gli occhiali”) e riflessioni tra il serio e il patafisico
(“Il distopista…”); gli riescono quasi sempre bene, perché, e questo non va
trascurato, ha l’immaginazione sfrenata del californiano (suo nume tutelare è
Philip K. Dick), ma anche la corrosiva ironia del newyorkese. E la prosa
nient’affatto semplice di questo narratore coast-to-coast è stata ben
resa (come al solito) da Martina Testa.
(Pulp Libri, n. 57, p. 41)