Fino all’ultimo uomo, di Frederic Manning, Piemme, tr. Franca Genta Bonelli

Nel lontano 1930 esce in Gran Bretagna un romanzo intitolato Her Privates We, la storia tragica di un fante inglese nelle trincee della prima guerra mondiale. L’autore si nasconde dietro il proprio numero di matricola, “Private 19022”. Il successo è notevole: la capacità dell’anonimo soldato semplice di rendere la lingua sia dell’upper che della working class (rispettivamente i ceti degli ufficiali e dei soldati), la qualità della sua prosa, la magistrale strutturazione della trama attirano l’attenzione di grandi nomi, da Hemingway a Eliot a Lawrence d’Arabia, che di guerra ne sapeva ben qualcosa. Alla fine salta fuori il nome dell’autore, ed è un po’ una sorpresa: trattasi di Frederic Manning, australiano, poeta di serie B e recensore librario sul Criterion, un professionista della cultura ma tutt’altro che una star. (Tormentato assai verosimilmente dalla propria esperienza di soldato, Manning sarebbe morto alcolizzato di lì a poco, nel 1935.)

Tra una bevuta e l’altra, l’autore era stato testimone dell’abbrutimento dei soldati nel fango della Somme, aveva visto i suoi compagni morire uno ad uno o a decine, nel corso della carneficina industrializzata sul fronte occidentale. Ma in quell’orrore era riuscito a cogliere l’umanità e la gentilezza di uomini comuni messi in divisa e armati di fucile o mitragliatrice, però restati pur sempre civili nell’animo, in tutti e due i sensi del termine. Della grande guerra non aveva né la visione esaltata e visionaria di Ernst Jünger né quella amara e sarcastica di Emilio Lussu, gli altri massimi testimoni di quella macelleria di ferro e di gas; però aveva saputo cogliere (forse ancor meglio di loro) la quotidianità di quel conflitto, le lunghe attese snervanti, il vuoto interrotto bruscamente e brutalmente dai bombardamenti, dagli assalti suicidi, dai raid notturni. E soprattutto la noia che s’alterna alla paura, e le bevute disperate che servono ad anestetizzare entrambe.

Eppure, con tutti i suoi meriti, Her Privates We era in realtà la versione censurata e indebolita del vero romanzo di Manning, uscito in tiratura limitatissima (solo 600 copie!) nel 1929, col titolo amaro e sconcio di The Middle Parts of Fortune (anche questa una citazione di Shakespeare, come il titolo dell’edizione censurata). Fino al 1999 The Middle Parts of Fortune è stato accessibile solamente a pochi studiosi intraprendenti e fortunati collezionisti; poi, finalmente, è stato ripubblicato integralmente nel Regno Unito, e ora Piemme ci propone la traduzione della prima edizione, completa di tutte le oscenità al posto loro. Ci giunge così, ed era ora, un testo fondamentale del Novecento, la cui importanza è pari a quella di straclassici come Niente di nuovo sul fronte occidentale, Addio alle armi e Un anno sull’altipiano.

L’importanza di questo romanzo sta anche nello snodo politico-tecnologico che l’ha originato: la Grande guerra, genesi del mondo che abitiamo oggi. Le radici delle nostre angosce contemporanee si trovano in quegli anni, dal 1914 al 1918, in cui la società di massa si manifestò con tutta la sua devastante brutalità sotto forma di conflitto di massa. In quegli anni si sviluppano la motorizzazione di massa, l’aeronautica, le telecomunicazioni, la manipolazione delle coscienze, le materie sintetiche, e soprattutto le armi di sterminio di massa; nascono gli stati del Medio Oriente come li conosciamo oggi, il fascismo, lo stalinismo e il nazismo, ma anche il complesso militare-industriale (cioè il capitalismo stile famiglia Bush).

Ultima osservazione: ringraziamo Piemme per aver permesso ai lettori italiani di scoprire Manning e il suo magnifico romanzo. Però dobbiamo constatare con rammarico che la traduzione non è assolutamente all’altezza dell’originale, e ciò non soltanto a causa di una serie di errori piccoli e grandi (sinceramente un po’ troppi e troppo evidenti), ma anche di una resa del tutto erronea della parlata dei soldati semplici, che nella versione italiana è troppo corretta e appiattita. Per venti euro ci si poteva attendere di meglio.

 

(Pulp Libri, n. 49, p. 29)

 

Torna alle recensioni…