Perdido Street Station, di China Miéville, Fanucci, trad. Elisa Villa

 

In Italia usiamo spesso parole straniere a modo nostro, specie se provenienti dall’inglese. Una di queste è fantasy. Questo termine, nella maggior parte dei casi, suscita immagini di maghi, eroi armati di spade incantate, elfi e draghi; insomma Tolkien, antesignani ed eredi. In realtà il termine fantasy ha un significato molto più vasto, e per indicare Tolkien e i Suoi Derivati oltreoceano parlano di sword & sorcery.

Perdido Street Station, uscito nel 2000 nel Regno Unito, è (in mancanza di termini italiani) un romanzo fantasy nel senso più ampio del termine. La presenza della magia (chiamata “taumaturgia” nel testo) lo attesta; ma anche un classico meccanismo dei poemi cavallereschi, ovvero il raccogliersi di un variopinto gruppo di eroi che affronteranno una spaventosa minaccia che mette a rischio un’intera comunità. Però nel romanzo c’è anche molto altro: una forte vena horror, la compresenza di razze diverse (roba da fantascienza? non necessariamente, c’è anche nel Signore degli anelli), e soprattutto il luogo in cui si svolge l’azione, la smisurata e surreale metropoli di New Crobuzon, che coi suoi treni a vapore e i suoi fiumi torbidi deve molto all’immaginario steampunk.

Il volume è imponente (quasi ottocento pagine), e praticamente corrisponde alla ricchezza dell’ambiente urbano costruito da Miéville (giovanotto la cui fantasia è perlomeno generosa); la trama ricca di digressioni, e sfacciatamente dickensiana nel suo incedere; la suspense, una volta entrati in questo strano mondo, è garantita; infine i mostri contro cui dovranno lottare lo scienziato Isaak e i suoi compagni sono sufficientemente terrificanti. Potremmo raccomandare il romanzo di Miéville come valido e sofisticato prodotto d’intrattenimento, dove tutto sommato la componente avventurosa prevale, non fosse che alla fine una serie di colpi di scena (c’è anche il finale coi botti) cambiano le carte in tavola e portano a sospettare che, come in gran parte della fantasy, la vicenda raccontata abbia una morale (forse più d’una), e non sia solo avventura.

Del resto, di Miéville sappiamo che è un convinto trotzkista e che alla scrittura alterna la militanza politica; può darsi allora che una volta letto il libro per il gusto della trama, lo riprenderemo per rintracciare l’apologo nascosto nelle vie e nei vicoli di New Crobuzon.

(Nota: la traduzione della Villa è buona, s’è ben districata nella complessa toponomastica e terminologia della metropoli immaginaria; però una levigata finale al testo ci sarebbe stata bene…)

 

(Pulp Libri, n. 45, p. 30)

 

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