Martin Dressler: Il racconto di un sognatore americano, di Steven Millhauser, Fanucci, tr. Simona Basso

 

Vi ha mai preso, in albergo, la sensazione che lì c’è tutto, il ristorante, il bar, la sala giochi, la piscina, la palestra, la sauna, la Jacuzzi, il televisore in camera col satellite; insomma, si sta bene, non ci si deve preoccupare di niente (salvo ovviamente pagare il conto), per cui, perché mai uscire? Tanto vale restare nell’albergo.

Ecco, se per la testa vi è mai frullata un’idea del genere dovete assolutamente leggere questo romanzo, uscito negli Stati Uniti otto anni fa, proposto con encomiabile intuizione dalla casa editrice romana, e soprattutto tradotto benissimo da Simona Basso. Non era impresa facile: Millhauser, che di anni ne ha sessantuno e con questo romanzo ha vinto il Pulitzer nel ’97, è infatti uno stilista. La sua prosa è curata, ricca, complessa, iridescente di sfumature, nitida come una foto di qualche maestro del colore; i suoi ritmi sono magistrali. Per renderla in italiano s’intuisce che la Basso ha sgobbato, e non poco.

La storia s’apre come un romanzo storico nella New York del 1881, in un torrido mattino estivo. È allora che inizia la scalata di Martin Dressler, figlio di immigrati tedeschi tutt’altro che benestanti, che da fattorino d’albergo diventa imprenditore geniale, creatore di immensi e sfarzosi hotel. Il suo capolavoro è il Grande Cosmo, enorme struttura che ricorda le unità residenziali del Ballard di Condominium, vero e proprio microcosmo di quaranta piani, gli ospiti del quale non avranno più bisogno d’uscire, perché nell’immenso edificio troveranno semplicemente tutto.

L’ascesa di Martin s’intreccia al suo matrimonio con Caroline, ragazza diafana e silenziosa; e proprio nello sviluppo del rapporto con questa e altre donne, la storia passa dal realismo al fantastico, in un graduale dispiegarsi di una surrealtà onirica, culminante nella realizzazione dell’opus magnum del sognatore americano. Opus faustiano di una volontà sfrenata e visionaria, il Grande Cosmo si manifesta come metafora di tante altre cose, America inclusa.

In questa sua prima opera tradotta in italiano Millhauser si rivela scrittore colto e raffinato, capace di riscrivere il grande poema di Goethe aggiungendogli qualcosa di assolutamente suo. A quelli della Fanucci non mi resta che implorare: “Ancora! Ancora!”

 

(Pulp Libri, n. 53, p. 45)

 

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