Il tempo dei miracoli, di Borislav Pekić, Fanucci, tr. Alice Parmeggiani Dri

Proprio mentre in televisione infuriano (si fa per dire) polemichette montate ad arte dagli uffici stampa sulla Passione secondo Mel Gibson, arriva nelle nostre librerie questo volume (annata ’65) del grande scrittore montenegrino Borislav Pekić. Delle letterature balcaniche non so moltissimo, mea culpa; ma che lo scrittore sia grande l’attesta questo libro, che forse meriterebbe l’aggettivo immenso.

Più che nei prodotti di Hollywood o nella comunicazione vaticana, le riflessioni più profonde su Cristo e sul cristianesimo ormai si trovano in romanzi infernali come Il prete di Thomas M. Disch, o sarcastici e veementi come Il tempo dei miracoli. L’amarezza che abbonda in queste pagine si spiega col fatto che vennero concepite nelle galere jugoslave dove lo scrittore passò cinque anni per ragioni squisitamente politiche. La bellezza a momenti soprannaturale delle stesse me la posso spiegare solo coll’interazione tra la Bibbia, unico libro a disposizione di Pekić nel carcere, e un talento letterario sbalorditivo, che trabocca da ogni parte.

Il risultato è questa serie di racconti uniti dall’intento di riscrivere la storia più famosa, quella di Gesù, dei suoi apostoli, del suo traditore, e soprattutto dei miracolati. Pekić infatti non si limita a raccontare come il Nazareno restituì la vista ai ciechi o la lingua ai muti, ma immagina cosa sia stata la vita per quelli che vennero risanati. Niente di piacevole, apprendiamo, perché il mondo non accetta la scandalosa violazione delle leggi di natura costituita dal miracolo. Nella seconda parte del libro, intitolata “Il tempo delle morti”, ci viene infine proposta una delle versioni più devastanti della passione e morte di Cristo, che procede con passo inesorabile verso un gran finale, quello della morte sul Golgota, da lasciare attoniti e quasi atterriti.

Libro scandaloso, ho detto. State tranquilli che a Domenica in non ne parleranno, e farà molto meno scalpore della questione (del tutto fasulla) del crocefisso nelle aule scolastiche. Però mi dà l’idea di essere un libro molto più cristiano questo di tante recenti blaterazioni clericali; perché Cristo era uno che dava scandalo, come e quando poteva, e Pekić quella lezione l’ha imparata benissimo.

Infine: lode e onore alla Parmeggiani Dri che tradusse benissimo tanto splendore. Se esiste un paradiso dei traduttori, l’ha ampiamente meritato.

 

[Questa recensione, scritta per Pulp Libri, non venne poi pubblicata per un disguido]

 

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