Voci dall’inferno: L’America e l’era del genocidio, di Samantha Power, Baldini Castoldi Dalai, trad. di Nazzareno Mataldi

 

Raphael Lemkin: segnatevi questo nome. Forse, anzi quasi certamente, non ne avete mai sentito parlare, eppure quest’uomo è uno dei grandi del XX secolo, uno che ha lasciato un segno indelebile nel nostro immaginario collettivo, e nella lingua che parliamo tutti i giorni. Lemkin, giurista e magistrato ebreo polacco, scampato all’Olocausto e riparato negli Stati Uniti, è il padre di uno dei termini che si sentono usare più frequentemente, forse troppo frequentemente: genocidio.

A differenza di altri grandi scrittori e pensatori, l’opera che Lemkin ci ha lasciato è sostanzialmente fatta di una parola, e di un concetto. Ma nel definire la prima e il secondo, Lemkin ci ha fatto prendere coscienza di un orrore forse sempre esistito, ma diventato quanto mai minaccioso dal 1915 in poi. Ha anche contribuito a far sì che questo crimine venisse definito giuridicamente e sanzionato da una convenzione delle Nazioni Unite nel 1948.

Il voluminoso e documentatissimo saggio della Power, oltre a ricostruire la storia di questo grande sconosciuto del XX secolo spiega come mai, dopo l’approvazione della convenzione per la prevenzione e la punizione del genocidio, questo delitto smisurato sia stato commesso ripetutamente nell’indifferenza dell’opinione pubblica internazionale. Ricostruisce con dovizia di particolari i mattatoi di Cambogia, Iraq (prima della guerra umanitaria), Bosnia, Ruanda, Kosovo; fa capire perché, a parte gli appelli e l’indignazione (che costano poco), di fatti non se ne siano visti molti − se non quand’era troppo tardi. Spiega anche come mai di fronte a determinati abomini i governi statunitensi voltino regolarmente la testa dall’altra parte; salvo indignarsi per gli stessi abomini quando conviene (vedi la triste storia del tristo Saddam Hussein).

Voci dall’inferno non sarà stilisticamente raffinato come la Storia universale dell’infamia di Borges; ma quanto a impatto emotivo e a capacità di illuminare una dimensione tenebrosa e disgraziatamente ampia del nostro mondo globalizzato, non ha assolutamente niente da invidiare all’opera dell’argentino. Da leggere, e da rileggere quando esploderà la prossima emergenza umanitaria.

 

(Pulp Libri, n. 48, p. 58)

 

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