Raphael Lemkin: segnatevi
questo nome. Forse, anzi quasi certamente, non ne avete mai sentito parlare,
eppure quest’uomo è uno dei grandi del XX secolo, uno che ha lasciato un segno
indelebile nel nostro immaginario collettivo, e nella lingua che parliamo tutti
i giorni. Lemkin, giurista e magistrato ebreo polacco, scampato all’Olocausto e
riparato negli Stati Uniti, è il padre di uno dei termini che si sentono usare
più frequentemente, forse troppo frequentemente: genocidio.
A differenza di altri
grandi scrittori e pensatori, l’opera che Lemkin ci ha lasciato è
sostanzialmente fatta di una parola, e di un concetto. Ma nel definire la prima
e il secondo, Lemkin ci ha fatto prendere coscienza di un orrore forse sempre
esistito, ma diventato quanto mai minaccioso dal 1915 in poi. Ha anche
contribuito a far sì che questo crimine venisse definito giuridicamente e
sanzionato da una convenzione delle Nazioni Unite nel 1948.
Il voluminoso e
documentatissimo saggio della Power, oltre a ricostruire la storia di questo
grande sconosciuto del XX secolo spiega come mai, dopo l’approvazione della
convenzione per la prevenzione e la punizione del genocidio, questo delitto
smisurato sia stato commesso ripetutamente nell’indifferenza dell’opinione
pubblica internazionale. Ricostruisce con dovizia di particolari i mattatoi di
Cambogia, Iraq (prima della guerra umanitaria), Bosnia, Ruanda, Kosovo; fa
capire perché, a parte gli appelli e l’indignazione (che costano poco), di
fatti non se ne siano visti molti − se non quand’era troppo tardi. Spiega
anche come mai di fronte a determinati abomini i governi statunitensi voltino
regolarmente la testa dall’altra parte; salvo indignarsi per gli stessi abomini
quando conviene (vedi la triste storia del tristo Saddam Hussein).
Voci dall’inferno non sarà stilisticamente raffinato come la Storia
universale dell’infamia di Borges; ma quanto a impatto emotivo e a capacità
di illuminare una dimensione tenebrosa e disgraziatamente ampia del nostro
mondo globalizzato, non ha assolutamente niente da invidiare all’opera
dell’argentino. Da leggere, e da rileggere quando esploderà la prossima
emergenza umanitaria.
(Pulp Libri, n. 48, p. 58)