Con la morte nel cuore, di Ruth Rendell, Fanucci, trad. Giuseppe Costigliola

 

Mi è capitato di recensire tempo fa un bel giallone inglese, ovvero La prova del fuoco di Frances Fyfield, e notavo quanto il crime novel inglese si fosse allontanato dai grandi modelli storici, siano la Christie o Durbridge, ma senza far rivoluzioni, conservando tutta una serie di elementi caratteristici della scuola britannica: l’ambientazione provinciale, l’attenzione all’ambiente domestico, l’analisi dei rapporti familiari. Ora, nel leggere questo romanzo d’esordio della Rendell, decana del giallo d’oltremanica, mi rendo conto da dove viene la Fyfield; e capisco perché questi gialli solidi e assai poco propensi alla sperimentazione abbiano comunque e sempre un fascino tutto loro. Per l’appunto, l’appeal discreto ma ineludibile del classico giallone inglese.

In un romanzo come questo Con la morte nel cuore, l’Inghilterra si racconta e si guarda allo specchio come nell’Ottocento si rispecchiava nei classici di Dickens, di George Eliot e di Trollope. Soprattutto gli ultimi due vengono in mente, in quanto cantori di quell’Inghilterra al tempo stesso agraria e alto-borghese (se non aristocratica) che trova la sua terra d’elezione proprio in quel Sussex in cui è ambientato il romanzo della Rendell. Campagna britannica curata come un giardino, mucche al pascolo, occasionalmente una caccia alla volpe, ogni tanto un cadavere sotto gli alberi.

Proprio lì viene trovato il corpo esanime di Meg Parsons, una casalinga assolutamente qualunque, ordinata e bigotta, strangolata in un bel pomeriggio estivo. L’indagine condotta dall’ispettore capo Wexford (personaggio di un’inglesità quasi metafisica) si stringe attorno a Doon, un tempo amante della donna, la cui passione giovanile non s’è consumata. Il problema è che Doon è uno pseudonimo, un nome tracciato su vecchi libri di poesia vittoriana donati alla vittima; e non è affatto facile capire chi, tra gli abitanti di Kingsmarkham, si nasconda dietro quel nome poetico un po’ retrò.

Ma al momento dello svelamento (con tutti i sospetti riuniti, stile Agatha Christie), abbiamo la sorpresa di scoprire, oltre al colpevole, che l’Inghilterra non è più quella dei delitti sul Nilo o dei dieci piccoli indiani: questo romanzo è infatti del 1964, e l’atmosfera della Swinging London in queste pagine si sente.

Chiudo plaudendo alla traduzione di Giuseppe Costigliola, che se l’è cavata benissimo sia con la prosa che coi versi di cui il romanzo è ricco.

 

(Pulp Libri, n. 50, p. 47)

 

Torna alle recensioni…