La morte in versi, di Ruth Rendell, Fanucci, tr. Giuseppe Costigliola

 

Lo confesso: non sono un grande appassionato di gialli. E se proprio devo scegliere preferisco quelli con più morti che spiegazioni, alla Hammett, a quelli deduttivi che partono da un cadavere e arrivano a un colpevole.

Detto questo, aggiungo che la seconda puntata della serie dell’ispettore Wexford me la sono divorata in un pomeriggio. Eppure è il classico giallone inglese, anche se la placida cittadina di Kingsmarkham (dove si svolgono tutte le indagini dell’ineffabile ispettore capo) viene descritta dalla Rendell immersa in un’afa quasi mediterranea (ulteriore tocco italico in un paesaggio del tutto britannico: uno dei personaggi gira per il paese alla guida di una Lancia Flavia).

Ribadisco: il romanzo della Rendell me lo sono bevuto. Una parte di merito ce l’ha il Costigliola Giuseppe che a ogni puntata diventa più bravo. Ma diamo a Cesare quel ch’è di Cesare: la Rendell è una signora scrittrice. Col pretesto del giallo è capace di aprire la società inglese facendocene vedere tutti i meccanismi, non ultimo il peso schiacciante delle classi sociali che noi italiani stentiamo a capire, ma che in qualche modo deve affascinarci se poi, sotto sotto, di anglofili da queste parti ce n’è così tanti.

Ma dalla sua la Rendell non ha solo penetrazione psicologica, bello stile, senso dei dialoghi, capacità di ambientazione. La Lady del giallo (fa parte della camera dei Lord, mica scherzi) è anche una donna colta e dalle profonde frequentazioni letterarie. Se butta lì il nome di Jane Austen, come in questo romanzo fa a pagina 57, non è vezzo; è allusione a un’ascendenza, e sfida. Come se ci dicesse che quel che bonariamente raccontava l’Austen all’inizio dell’Ottocento, ora lo riferisce lei, spietatamente, senza tirarsi indietro. Un’altra epoca, un’altra Inghilterra, coi jeans e le Mini Minor e l’eroina: ma lo stesso sguardo lucidissimo sulle convenzioni sociali e i rapporti interpersonali.

E io proporrei all’attenzione dei lettori (tra le tante finezze) le epigrafi dei capitoli, tutte tratte dall’anglicano Common Prayer Book, testo liturgico chiave del protestantesimo made in England: quei versetti inseriti come colpi di maglio risuonano nel testo in modo terribile e sublime. Ci vuole la sensibilità del grande scrittore per ottenere un effetto del genere. Well done, milady!

 

(Pulp Libri, n. 51, p. 47)

 

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