Drive, di James Sallis, Giano Editore, tr. Luca Conti

 

Che vi devo dire, io i titoli lasciati in inglese non li mando proprio giù. Voglio comunque essere comprensivo con quelli di Giano (che stanno facendo un buon lavoro, e non solo con James Sallis), dacché certamente il termine che costituisce il titolo di questo romanzo criminale breve ma denso, veloce ma tutt’altro che esile, ha le sue belle ambiguità. Il verbo To drive vuol dire guidare, ma in inglese drive è anche sostantivo che significa pulsione, istinto, e talvolta volontà. E proprio in quest’ambiguità si costruisce la trama: la storia di Driver (il vero nome del protagonista non ci viene detto, né il suo nomignolo viene tradotto, mannaggia!), stunt-man dalle doti fenomenali, che lavora nel cinema ma è spinto da una pulsione irrefrenabile a prestare il suo talento al delitto. Questo lo porta a rischiare la pelle in una serie di rapine più o meno riuscite, fino a restare impegolato in una specie di carneficina dalla quale esce vivo a stento. A questo punto Driver si trova pieno di soldi, ma anche braccato dal mandante dell’ultimo colpo al quale ha partecipato, un mafioso di Brooklyn trapiantato in California.

Dire altro sulla trama non si può. Diciamo però che dentro ci trovate il classico Sallis: attenzione ai luoghi e alle tante sfumature e i tanti colori dell’America infelice (in questo romanzo losangelino l’attenzione dello scrittore si concentra sugli ispanici); gusto per la buona tavola e i buoni vini; ricostruzione minuziosa di un ambiente particolare, quello degli autisti che movimentano i filmoni hollywoodiani con le loro acrobazie a quattro ruote, con quegli inseguimenti di automobili quintessenzialmente americani.

In tutto ciò il colto scrittore, che già s’è fatto apprezzare da noi per la serie di Lew Griffin, piazza ogni tanto la sua citazione colta, il suo ammiccamento a Jorge Luis Borges o a Paul Celan. O accenna alla tradizione del giallo a stelle e strisce, che conosce così bene. Ma il riferimento a Thompson sul risvolto di copertina mi convince poco, perché quelli del grande Jim sono personaggi accecati dalla vita, che precipitano in abissi di distruzione; mentre quelli di James Sallis, pur imbrattati di sangue, sono individui che raggiungono una loro particolare saggezza – di strada, certo, eppure a suo modo profondamente filosofica.

Insomma, peccato per quel titolo non tradotto…

 

(Pulp Libri, n. 62, p. 45)

 

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