Vite difficili: Jim Thompson, David Goodis, Chester Himes, di James Sallis, Giano, tr. Luca Conti

Di Sallis già recensimmo Cypress Grove Blues, giallo anomalo pubblicato anch’esso da Giano. L’editore di Varese ci riprova, e questa volta convince molto ma molto di più. Il volume in questione è una raccolta di tre bei saggi dello scrittore e studioso americano: lo raccomando a tutti quelli che sentono parlare sempre più spesso di Goodis e Thompson, anche grazie all’impegno editoriale della Fanucci che sta riproponendo le opere migliori dei due (mentre s’è dedicata a Himes l’encomiabile Marcos y Marcos).

Sallis esplora con grande sensibilità e stile personalissimo il mondo di questi tre grandi del giallo statunitense: parliamo dell’era dei paperback, libri usa e getta che furoreggiarono negli Stati Uniti negli anni ’50 e nei primi anni ’60, sostituendo la vera pulp fiction (quella delle riviste), prima che arrivasse la televisione a spazzar via tutto. L’intuizione felice di Sallis è che sia stato il tumultuoso e anarcoide mercato dei paperback a consentire a personaggi del tutto anomali, come i tre di cui sopra, di produrre una letteratura in apparenza di puro intrattenimento, ma che in realtà andava a scavare in profondità nelle inquietudini e nelle paure inconfessabili dell’immaginario collettivo a stelle e strisce. A Goodis, Thompson e Himes (meno noto da noi il terzo, autore afroamericano di grandissimo interesse) il territorio di frontiera del paperback offrì una libertà d’azione pagata con retribuzioni al limite della fame e una reputazione di scribacchini privi di dignità letteraria. Stessa sorte è toccata, guarda caso, ad altre figure affascinanti della letteratura americana del secondo dopoguerra, che camparono nel mercato del paperback ma sul versante fantascientifico (potremmo citare il solito Philip K. Dick, ma ci sarebbero anche Robert Sheckley, R.A. Lafferty, Cordwainer Smith, e altri ancora…).

In quei gialli brutali e desolati qualcuno (p. es. i soliti francesi, che già avevano intuito la grandezza di Edgar Allan Poe quando in patria lo consideravano un mentecatto alcolizzato e niente più) aveva visto non solo il mestiere e le formule meccaniche di un prodotto di mero consumo, ma una griglia di lettura del reale che, in mano alle persone giuste, poteva spalancare abissi sotto la realtà più o meno rassicurante dell’America felix degli anni ’50. E in mano a Sallis questi tre autori svelano in controluce un’intera poetica del fallimento (sia esso personale o esistenziale), di profondità a tratti sconcertante, faccia oscura dell’impero americano.

 

(Pulp Libri, n. 52, p. 57)

 

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