La storia della biolisciviazione

Una delle prime testimonianze sulla pratica della lisciviazione viene dall'isola di Cypro. Galeno, fisico e naturalista, riportò nel 166 AD di aver operato la lisciviazione in situ del rame. Acqua di superficie era stata fatta percolare attraverso la roccia permeabile e poi raccolta in anfore. Nel processo di percolazione attraverso la roccia, i minerali di rame si dissolvevano facendo aumentare la concentrazione di solfato di rame nell'acqua raccolta. Infine la soluzione veniva fatta evaporare fino a quando il solfato di rame cristallizzava. Plinio (23-79 AD) riportava che un processo similare per l'estrazione del rame in forma di solfato di rame era largamente diffusa nella Spagna.

Anteriormente all'invenzione dell'elettrolisi, l'unico metodo pratico per il recupero del rame dal solfato di rame avveniva tramite cementazione, un processo che deriva il suo nome dalla parola spagnola cementacion, che significa precipitazione. Si pensò che la cementazione del rame fosse conosciuta anche al tempo di Plinio, ma nessuna testimonianza scritta delle sue applicazioni commerciali sembra essere sopravissuta. La cementazione del rame era anche conosciuta dal popolo cinese, come documentato dal Re cinese Lui-An (177-122 BC). Comunque i cinesi utilizzarono la cementazione per la produzione commerciale del rame soltanto nel decimo secolo; la pianta di cementazione Chiagshan iniziò le operazioni nel 1096 con una produzione annuale di 190 tonnellate di rame. Nel medioevo, l'alchimista Paracelsio (AD 1493-1541) descrisse la cementazione del rame come un esempio della trasmutazione di Marte (ferro) in Venere (rame).

La prima lisciviazione del "mucchio" di solfuri di rame su scala industriale fu effettuata nella miniera di Rio Tinto in Spagna nel 1752 circa. Il minerale veniva schiacciato e posto su un rilievo impermeabile delicatamente inclinato. Quindi il minerale veniva frantumato e collocato su di un piano leggermente inclinato. Strati di minerale erano alternati con strati di legno. Una volta che il mucchio era stato costruito, il legno veniva bruciato, con conseguente torrefazione dei solfuri del ferro e del rame. Infine, si versava dell'acqua in cima ai mucchi. Come l'acqua percolava attraverso i mucchi, il rame e il ferro si dissolvevano, formando solfati di rame e ferro. Nel 1888 questo metodo di estrazione fu proibito dalla legge, a causa dei seri danni ambientali causati dalle nuvole di anidiride solforosa della combustione. Il processo di lisciviazione dei "mucchi" di minerale frantumato, senza l'operazione di torrefazione, continuò con successo fino al 1970 a Rio Tinto. La ragione del suo successo era sconosciuta, ma si pensò essere legata ad alcune qualità oscure o del minerale di Rio Tinto o del clima spagnolo. Oggi è risaputo che il microrganismo Thiobacillus ferrooxidans giocò un importante ruolo nel successo delle operazioni a Rio Tinto.

Diversi rapporti annuali dell'inizio scorso secolo associarono l'azione di microrganismi del suolo con le alterazioni di minerali solfuri e di carbone contente solfuri. Nel 1940 fu stimato che la produzione di acido solforico nel fiume Ohio dovuto all'alterazione del carbone bituminoso eccedeva di diversi milioni di tonnellate. Questo livello di inquinamento fu considerato allarmante, e Università e diverse istituzioni governative americane, come la USBM (US Bureau of Mines, chiusa nel 1996), cominciarono a cercare la cause di quell'acido solforico. Le prime ricerche trovarono che la causa dell'acido solforico era l'ossidazione della pirite contenuta nel carbone bituminoso, e che tale ossidazione avveniva a delle velocità superiori a quelle normalmente attribuite alle reazioni chimiche. In più fu scoperta l'esistenza di batteri in grado di ossidare lo zolfo. Un paio di anni dopo, nel 1950, furono identificate delle nuove specie di batteri e il genus fu chiamato Thiobacillus ferrooxidans. Questo organismo è capace di ossidare lo zolfo elementare e gli ioni ferrosi a delle velocità più alte di quelle che normalmente si verificano in natura. Da allora, questo organismo e tutti quelli in grado di partecipare come catalizzatori nei processi di ossidazione dello zolfo e del ferro sono stati utilizzati nei processi di biolisciviazione.

Normalmente questi organismi acidofili si riproducono ottimamente in un range di temperatura compreso tra i 10° e i 30 °C. L'isolamento di microrganismi ossidanti lo zolfo da un ceppo ad opera di Brief e di Brock negli anni '60, suggerì l'opportunità di utilizzare reattori di biolisciviazione con temperature molto più alte. Woese fece presente negli anni '70 che questi e similari organismi appartenevano interamente ad un nuovo regno animale, che chiamò "archae". La proposta di Woese che questi microrganismi fossero così differenti dai batteri, così come gli eucarioti lo erano dai batteri, fu verificata da dettagliati studi genetici nel 1996. Gli "archae" di ossidazione dello zolfo e del ferro sono attualmente i microorganismi di scelta nello sviluppo dei processi di lisciviazione nei serbatoi per l'estrazione di base solforica metallica.

I microrganismi correntemente usati nelle operazioni commerciali di biolisciviazione (sia serbatoi mescolati, sia mucchi bioassistiti di lisciviazione, sia biolisciviazione in situ) sono presenti in natura più di quanto si pensi; infatti il loro ambiente naturale è fatto semplicemente di acqua e di un minerale adatto. I microrganismi utilizzati nelle operazioni commerciali sono esattamente gli stessi che sono stati trovati in natura; la sola differenza è che, in alcuni casi, essi sono frutto di una selezione avente come scopo la loro rapida crescita sul minerale, sul concentrato da trattare. La loro crescita è inibita o compromessa in presenza di materia organica. Inoltre vivono solo all'interno di un certo intervallo di temperatura, richiedono ferro o solfati ridotti come sorgenti di energia e crescono in modo ottimale ad un Ph < 2,5 (per questo sono anche detti acidofili). Queste estreme condizioni ambientali impediscono la crescita di tali microrganismi sulle piante, insetti o animali, includendo l'uomo. Essi sono quindi non patogeni e non ci sono mai stati casi di malattie dovute ad essi.

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