L’evoluzione della malattia mentale :
aspetti legislativi
La
legge del 1838, primo corpus che in modo organico si sia occupato del disagio
mentale, prevedeva come esigenza primaria l’isolamento dalla società civile.
Il passaggio in
senso evolutivo alla Legge del 1904 è segnato da modalità nuove di
internamento: “può essere consentito dal Tribunale su richiesta del
Procuratore del Re, la cura in una casa privata e in tal caso il malato e il
medico sono sottoposti agli obblighi imposti dal regolamento” (art. 1, comma
2, Legge 14-2-1904 n° 36).
Oltre a ciò
vengono prese in considerazione le dimissioni in prova: “il direttore del
manicomio può ordinare il licenziamento in via di prova dell’alienato che
abbia raggiunto un notevole grado di miglioramento e ne darà immediata
comunicazione al Procuratore del Re e all’autorità di Pubblica Sicurezza “
(art. 3, comma 5, Legge 14-2-1904 n° 36).
La Legge n° 36
del 14 Febbraio 1904 trova la sua piena applicazione con il R.D. del 16 Agosto
1909 n° 615 che accoglie parzialmente le richieste della Società Freniatrica
con norme che incentivano il ricovero dei folli cronici in asili specifici, le
dimissioni sperimentali, la cura familiare, sanziona ufficialmente un indirizzo
volto a diversificare il modello dell’assistenza psichiatrica centrato
precedentemente sul manicomio. La Legge 14 Febbraio 1904 n° 36, recante
“disposizioni sui manicomi e sugli alienati”, ha etichettato una
cinquantennale pratica fondata sul concetto che le persone affette per qualunque
causa da alienazione mentale, quando fossero pericolose per sé o per gli altri
o riuscissero di pubblico scandalo e non fossero o non potessero essere
convenientemente custodite o curate in appositi luoghi privati, dovessero essere
“custodite o curate” nei manicomi.
Traspare dall’articolo 1 della Legge sopra riportato, l’esigenza
della custodia e della cura dell’alienato mentale, custodia e cura che
rappresentano un tutto unico. La realtà storica ha però dimostrato come la
prima esigenza, quella della custodia, dell’isolamento, abbia avuto la netta
prevalenza sulla cura e come i manicomi siano divenuti centri di raccolta e di
isolamento degli alienati. Lo
spirito della legge cercava di tutelare il diritto alla cura del malato mentale
e nello stesso tempo la sicurezza della comunità rispetto alla “pericolosità”
dello stesso.
Tuttavia la
responsabilità giuridica, politica ed amministrativa affidata al Ministero
degli Interni e ai Prefetti permetteva all’intervento psichiatrico di
qualificarsi come misura di sicurezza sociale più che intervento o strumento
terapeutico.
Appare evidente
l’inserimento della legge manicomiale nelle misure di “prevenzione”
dirette a tutelare la comunità nei confronti delle “classi pericolose della
società”.
Il concetto di
“custodia” prevale su quello di “cura”.
Il regolamento
n° 615 del 1909 ammetteva anche la possibilità che un maggiorenne, quando
avesse coscienza della propria infermità mentale, potesse chiedere di essere
ricoverato in manicomio (Ricovero Volontario).
La dimissione
dal manicomio, nel sistema della legge del 1904 e del Regolamento del 1909, era
autorizzata con decreto del Presidente del Tribunale, su richiesta o del
Direttore dell’Ospedale o dei parenti, tutori o protutori, o
dell’Amministrazione Provinciale previo parere del Direttore, il quale aveva
la facoltà in via di esperimento e sotto la propria responsabilità, di
dimettere la persona ritenuta guarita dandone avviso al Procuratore della
Repubblica e all’autorità di Pubblica Sicurezza.
Sempre in via
di esperimento, al Direttore del manicomio era riconosciuta la facoltà di
consegnare l’infermo di mente alla famiglia, quando il miglioramento era tale
da consentire la continuazione della cura a domicilio.
A completamento
delle indicazioni della legge del 1904 e del relativo regolamento si deve
ricordare che, ai fini dell’intervento delle autorità locali di Pubblica
Sicurezza in questa materia, l’art. 153 del t.u. (R.D. 1931 n° 1173) delle
leggi di pubblica sicurezza, fissava l’obbligo degli esercenti le professioni
sanitarie di denunziare alla locale autorità preposta alla pubblica sicurezza,
entro due giorni, le persone da loro assistite o esaminate che fossero risultate
affette da malattia di mente o da grave infermità psichica, qualora
dimostrassero o dessero sospetto di essere pericolosi per sé o per gli altri.
Questa prima
legislazione ha organizzato razionalmente la separazione tra alienato mentale e
ammalato “normale”, isolando il “diverso” a causa di una patente di
marcata pericolosità o quanto meno di una estraneità al “sistema”. Così
facendo è venuta meno sia la possibilità della cura che quella del
reinserimento nella società civile.
Sotto tale
aspetto indubbiamente la legislazione del 1904 è gravemente lesiva di
fondamentali diritti oggi riconosciuti dalla costituzione, quali quelli della
libertà individuale e dell’assistenza sanitaria: soprattutto in rapporto alle
norme concernenti l’internamento nell’Ospedale Psichiatrico, la legge ha
consentito veri e propri sequestri di persona contrabbandati sotto forma di
ricoveri per infermità mentali di tipo pericoloso.
Fondamentali
innovazioni sono state introdotte dalla Legge 18 Marzo 1968 n° 431.
Le analisi sociologiche sul carattere inumano delle
istituzioni psichiatriche e le nuove esperienze sviluppate negli Ospedali
Psichiatrici creano una consapevolezza delle possibilità riabilitative e,
contemporaneamente, la convinzione di poter curare il malato senza dover
ricorrere al ricovero psichiatrico coatto. Tale legge consente lo sviluppo
dell’assistenza extraospedaliera, abroga le norme che impongono la
registrazione del ricovero manicomiale nel casellario giudiziario (art. 604 del
C.C.P.), introduce la possibilità del ricovero volontario su richiesta del
malato e favorisce, mediante l’istituzione dei Centri di Igiene Mentale il
reinserimento sociale del malato mentale.
Nell’art. 3
della legge 431 del 1968 si fa esplicita menzione ai C.I.M. considerati tuttavia
servizi subordinati all’ospedale psichiatrico e aventi funzione di
deospedalizzazione e di trattamento dei dimessi. La stessa composizione degli
organici dei centri e dei servizi di igiene mentale denota la volontà del
legislatore di creare una struttura idonea ad assicurare all’infermo di mente
o al disturbato psichico un complesso di cure che possano agevolare il pieno
reinserimento nel tessuto della società. Si tratta quindi di una struttura di
sanità pubblica, affidata agli enti locali, sorta al fine di costituire una
reale alternativa all’Ospedale Psichiatrico ma non destinata a contrapporsi
frontalmente a quest’ultimo.
Sotto altro
aspetto la legge n° 431 del 1968 ha un contenuto innovativo della legislazione
precedente per quanto concerne la dimissione dell’infermo dall’Ospedale
Psichiatrico. L’at. 4 della legge infatti ha disposto che l’ammissione in
Ospedale Psichiatrico può avvenire volontariamente su richiesta
dell’ammalato, per accertamento diagnostico e cure, su autorizzazione del
medico di guardia. In tal caso è previsto che non trovino applicazione le norme
vigenti per le ammissioni, la degenza e le dimissioni dei ricoverati d’autorità.
Quanto alle
dimissioni dall’Ospedale delle persone affette da disturbi psichici,
ricoverati d’autorità, è previsto che il licenziamento venga comunicato alle
autorità di Pubblica Sicurezza, fatta eccezione per i casi nei quali il
ricovero originariamente di autorità sia stato trasformato in ricovero
volontario. La indicata normativa ha rappresentato dunque il primo serio
tentativo di rompere il cordone ombelicale che fa da raccordo tra atto di
ricovero e dimissioni dall’O.P. ed intervento dell’autorità giudiziaria.
Rispetto quindi
alle finalità istituzionali dell’O.P., cioè custodia e cura dell’infermo,
si privilegia l’aspetto terapeutico: l’ammalato ha la possibilità di
chiedere liberamente di essere ricoverato e il sanitario si libera delle
responsabilità connesse con l’attività di custodia. La Legge 431 del 1968
avvia il processo di riforma dell’assistenza psichiatrica nel nostro paese.
Successivamente,
durante il decennio dal ’68 al ’78 si sviluppa l’esigenza di potenziare
gli interventi preventivi, non come diagnosi precoce, ma come intervento a
livello delle strutture ambientali al fine di rimuovere le cause sociali dei
disturbi. Si prende infatti coscienza che malattia
e salute non sono dei concetti assoluti ma relativi ad un contesto sociale. Si
è malati o sani in rapporto alla società in cui si vive.
Questo
movimento di idee ha portato all’approvazione della Legge 13 Marzo 1978 n°
180, sostanziale anticipazione di parte della riforma sanitaria.
Le disposizioni
più significative della legge 180 sono state poi trasfuse negli artt. 33,34 e
35 della Legge 833. Fra gli obiettivi fondamentali del S.S.N. è preminente la
tutela della salute mentale, infatti nell’art. 2 comma secondo, lettera g
della legge 833 così si scrive: “privilegiando il momento preventivo e
inserendo i servizi psichiatrici nei servizi sanitari generali in modo da
eliminare ogni forma di discriminazione e di segregazione, pur nella specificità
delle misure terapeutiche, è da favorire il recupero o il reinserimento dei
disturbati psichici”.
La struttura
fondamentale dei servizi psichiatrici è così individuata nel Dipartimento di
Salute Mentale.
L’art. 34
della legge 833 distingue due tipi di interventi a tutela della salute mentale.
Il primo di tipo preventivo, curativo e riabilitativo, da attuarsi a cura dei
servizi e dei presidi territoriali extraospedalieri a struttura dipartimentale.
Il secondo, più specificamente attinente al trattamento sanitario obbligatorio,
da attuarsi mediante ricovero ospedaliero dell’infermo. In particolare il
ricovero (ultimo comma dell’art. 34) deve essere effettuato presso gli
ospedali generali, in specifici servizi psichiatrici di diagnosi e cura
all’interno delle strutture dipartimentali per la salute mentale.
L’assunto di
base è il convincimento che il recupero dell’infermo di mente è pressoché
impossibile in regime di segregazione e di sostanziale ghettizzazione
dell’alienato mentale, all’opposto il rapporto con altri soggetti agevola il
rapido reinserimento dell’alienato nel consorzio civile.
L’iter
legislativo della legge manicomiale non può essere separato dall’evoluzione
del concetto di pericolosità del malato mentale. La follia si configura
storicamente come internamento allorché i lebbrosari vuotati durante il
Rinascimento vengono bruscamente destinati, nel XVII° sec. Alla segregazione e
alla repressione. Durante il XVII° sec. Vengono istituite case di internamento
ed il “gesto che rinchiude” ha significati politici, sociali, religiosi,
economici, morali, ed è un fenomeno che acquista dimensioni europee. A partire
dalla metà del XVII° sec. I folli vengono internati pur rimanendo oscura la
coscienza giuridica che anima queste pratiche: con gli “insensati” vengono
rinchiusi i poveri, i disoccupati, gente malfamata creando un coacervo di
elementi eterogenei.
Le strutture
adibite all’internamento non hanno carattere sanitario ma appaiono come
emanazioni del potere legislativo sotto forma di istanze dell’ordine; in tal
modo fuori dai tribunali si giudica e si decide l’internamento nei confronti
di chiunque possa turbare il buon ordine dello spazio sociale sia esso mendico o
ozioso. Gli uomini di sragione costituiscono tipologie riconosciute e isolate
dalla società: c’è il dissoluto, il dissipatore, l’omosessuale, il mago,
il suicida, il libertino.
La sragione
viene misurata in base alla distanza dalla norma sociale. Con la nozione
“furioso” veniva all’epoca designato colui che appariva sotto il dominio
oscuro di una rabbia minacciosa: furore è un termine tecnico della
giurisprudenza e della medicina che designa una delle forme della follia ma nel
vocabolario dell’internamento
esso connota una regione indifferenziata del disordine, disordine della condotta
e del cuore, disordine dei costumi e dello spirito tale da dettare
l’imperativo poliziesco e morale dell’internamento senza dover precisare se
l’individuo è malato o criminale.
In un certo
senso è giusto affermare che la scienza medica delle malattie mentali si è
costituita sul fondo di un’esperienza giuridica dell’alienazione.
Secondo il
pensiero politico o morale del XVIII° sec., la malattia mentale, che la
medicina si porrà come oggetto, si costituisce come l’insieme delle azioni
compiute da un soggetto giuridicamente incapace e da un uomo riconosciuto come
perturbatore del gruppo. Questa animalità percepita come lo spazio naturale
della follia costituisce l’elemento immaginario dal quale sono
nate tutte le pratiche dell’internamento.
La legislazione
sul ricovero, volontario e non, dei malati mentali si evolve simultaneamente al
concetto di pericolosità.
E’ chiaro che
se la pericolosità intesa come possibilità che si verifichi un evento dannoso
diminuisce, la legge sull’internamento assume caratteristiche formalmente più
libertarie. Rimane da chiarire come la pericolosità del folle possa diminuire.
Probabilmente ciò avviene in rapporto all’evoluzione della ricerca
psichiatrica ed alla individuazione di metodologie cliniche e nosologiche più
idonee alla valutazione della pericolosità stessa.
La ricerca
psichiatrica del XX° sec. Evidenziò la possibilità di cronicizzazione della
malattia mentale grazie
all’internamento del portatore di disagio psichico.
Quando furono
abbandonati i metodi di cura coercitivi in virtù della scoperta degli
psicofarmaci (1952), il portatore di disagio psichico poté essere curato fuori
dal manicomio.
Dal ricovero
indiscriminato proprio del XVII° e XVIII° sec. Si passò alla creazione di
strutture atte a contenere esclusivamente malati di mente e successivamente
emerse la possibilità di cura in strutture extramurarie.
Testi e Pubblicazioni