"Temporale" di Patrick Carosso |
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- Fermati, ti prego. - Perché hai voluto portarmi qui ? Lisa parlava concitatamente, stringendo i pugni sulle ginocchia. I muscoli del collo le si tendevano sotto il colletto della camicetta leggera. - Ci mancava anche questo temporale, maledizione ! , - imprecò sempre più agitata - Lo sapevo, lo sapevo. Non ci dovevo venire ! La voce le era diventata stridula, quasi un falsetto. Per un attimo temetti che spalancasse di botto lo sportello e si gettasse fuori dall'auto. Sapevo che ne sarebbe stata capace. Quel mattino d'agosto tanto avevo detto e fatto da convincerla ad una gita in collina. Avevo saputo non so come di un pittore di una certa fama, che proprio in quei giorni faceva mostra dei suoi quadri in un certo paesino delle Langhe, non lontano da dove ero nato. Dovetti faticare non poco a persuaderla: Lisa amava la città, i ritrovi, gli amici; e quando la città era vuota e gli amici in vacanza propendeva per il mare e le spiagge. - E' un pittore conosciuto. Ha esposto anche qui a Torino. - Sì, mi ricordo. Ci andremo, prima o poi. Ma oggi, oggi perché non andiamo un po' su per la collina? Vedrai, non te ne pentirai. Possiamo pranzare in qualche trattoria di paese, magari su qualche belvedere. - Con questo caldo non è meglio un tuffo fra le onde? Quel mattino un sole impietoso, arrabbiato. Poi, verso il mezzogiorno, nubi grevi e minacciose - di un grigio piombo - s'erano accumulate all'orizzonte, lassù oltre le cime delle colline, dalla parte di Castino e Cortemilia. Quasi speravamo di averla scampata, quando folate di vento capricciose, maligne avevano iniziato a strappare il fogliame dalle vigne e dai noccioleti, sollevando il polverone dalla strada. Capimmo di non averla scampata: il temporale ci prendeva in pieno. Chiudemmo i finestrini; dappertutto s'era sparso l'inconfondibile odore di pioggia che accompagna i temporali estivi. Fu questione di poco, e già la prima acqua evaporava sull'asfalto arroventato. La furia dell'acquazzone s'amplificava come in un crescendo di una apocalittica sinfonia. I fossati presto s'empirono e rivoli d'acqua terrosa iniziarono a tagliare la strada. Poi si fecero vere e proprie correnti che tiravano via la terra buona dalle vigne fresate di fresco. Qualche contadino stava sicuramente bestemmiando i suoi santi. - Non possiamo fermarci ora, - dissi tentando di mantenere la calma - cerchiamo almeno un riparo. Portai l'auto al centro strada, procedendo sempre più lentamente. I fossati erano diventati torrenti che trascinavano via foglie e rami spezzati. Ma, al fondo del rettilineo, percorrendo una insidiosa esse, d'un tratto persi il controllo dell'auto. Il veicolo - non so come - procedette per un po' in rettilineo, poi iniziò a girarsi di traverso. Lisa si mise ad urlare. Mi si aggrappò ad un braccio, terrorizzata. Per molti metri continuammo a scivolare nella corsia opposta, finché non urtammo un paracarro di cemento. Rumore di lamiere piegate, il volante diede uno strattone. Nient'altro. L'auto si fermo col cofano a mezzo metro da un muro di contenimento. Fui io il primo a tentare di scendere. Lisa era bloccata dal paura, gli occhi sbarrati. Aveva smesso di urlare; non diceva più nulla. Lo sportello per fortuna non era bloccato. Misi i piedi a terra, e fui investito dalle sferzate del temporale. Non feci in tempo a fare un giro intorno all'auto che già l'acqua mi scorreva giù per la schiena. Una ruota anteriore era praticamente divelta. Certo di lì non ci saremmo più mossi. Soltanto, più in basso, sotto la strada, un vecchio casolare in pietra, in parte crollato, affondato nell'incolto di una valletta fra due colline. - Ecco quello che hai fatto ! , - urlò Lisa sullo scrosciare del temporale - qui chi ci viene a prendere, adesso ? L'auto tagliava di netto la corsia opposta, proprio tra le due curve. - Scendere, con questa pioggia ? E dove andiamo ? Fui tentato di uscire da solo e lasciarla lì. Si sarebbe decisa. Ma qualcosa mi trattenne. - Dai, non aver paura,- dissi sforzandomi di sorridere - è come ... fare un tuffo in mare quando l'acqua è ancora fredda. Rabbrividisci per un attimo, poi tutto passa. Per arrivare alla cascina si doveva imboccare una stradina sterrata a pochi passi da dove ci trovavamo. Era poco più che un sentiero sovrastato dalla gaggie scosse dal vento. Presi Lisa per mano. - Di qui, vieni. Ci trovammo in un locale basso e ampio, dalle volte non intonacate. Prendemmo fiato, guardandoci intorno, sospesi in un attimo di quiete: attraverso i muri spessi il frastuono del temporale giungeva attutito. Oltre la porta c'era un'unica apertura, una finestrella senza vetri, schermata da una vecchia tela di sacco sbrindellata. Poco a lato era appesa una falce rugginosa, tenuta al gancio da un fil di ferro. Ci sedemmo in un angolo, su alcune balle di paglia mezze sfatte. C'era paglia un po' dappertutto, sparsa sull'ammattonato. Nella greppia, sovrastata da rozze mensole sostenute da grossi chiodi c'era ancora del fieno. - Lisa, hai una sigaretta ? Dopo qualche tentativo dall'accendino scaturì la fiamma. Ora fumavo stringendo nervosamente la sigaretta tra la labbra. - La pioggia non accenna a diminuire, - disse Lisa, scrutando altre il limite della porta. - Quest'oggi peggio di così non poteva andare. Espirai nervosamente una boccata di fumo. Tenni la sigaretta tra le dita tremanti. Per un attimo ricordai le tele, appoggiate contro il muro esterno delle chiesetta di Serravalle Langhe. Paesaggi marini e lacustri, spiagge, isolette. Il pittore stava spiegando calorosamente i segreti della sua arte ad una comitiva di tedeschi raccoltasi intorno. - Tanti pensano che sia difficile dipingere il mare, capite, e indicò una delle sue tele, un distesa marina in tempesta - Ma non è così. Prese la tavolozza dei colori ed una tela vergine. Ci stese un po' di blu e di bianco. Qualche rapida pennellata, sotto gli occhi incuriositi dei turisti, ed ecco - non capii come avvenne, né l'esatto momento in cui accadde - ad un tratto gli occhi smisero di percepire quel colore come una macchia informe, ed iniziarono a vedervi onde, schiume, marosi. Anche Lisa ne era rimasta incantata. - Perché il giallo di quelle stoppie, lo smeraldo di quei vigneti, il verde pallido di quei canneti non mi sembrano diversi dal giallo di un'insegna o dal verde di una bottiglia o di un'auto. Un dato oggettivo, come posso dirvi... scientifico. Null'altro. Per quelle spiagge, quel mare che ho sempre conosciuti è diverso. Sono colori vivi, in ogni senso. Colori stampati nell'anima. - Che hai, adesso? , - chiesi. Mi passai le mani fra i capelli, appiccicati alla fronte. Lisa aveva protestato: Guardai verso la cima della collina. La torre era circondata dalla boscaglia che più in basso, verso di noi, lasciva posto ad un vigneto. Decisi che avremmo attraversato il vigneto, poi avremmo sicuramente trovato qualche sentiero fra gli alberi. - Perché vuoi portarmi lassù ? Vacci tu, se vuoi andare. Io ti aspetto qui. Anzi scendo sulla strada e mi cerco un po' d'ombra. Guardavo quei filari diritti, regolari, senza un palo storto, senza un tralcio fuori posto, senza un filo d'erba. Parevano siepi di un giardino. Un sentiero c'era, sotto le gaggie, tra l'erba alta; lo individuammo quasi subito. Ma c'era da camminare più di quanto avessi pensato fra quella macchia verdeggiante ronzante di insetti. Finalmente, ecco la base della torre, a pochi metri da dove l'altura strapiombava sull'altro versante. Girammo intorno alla torre. Trovammo una piccola apertura da cui potevamo entrare. Attraversai la soglia eccitato come un bambino alla scoperta di un luogo misterioso. Mi guardai attorno. Per un attimo rimasi immobile, attonito. Non c'erano scale, non c'erano pareti divisorie, non c'era nulla di nulla. Tutto vuoto. - Bello scherzo, - dissi serio a Lisa. - Tanto camminare per vedere nulla. Passarono lunghi minuti, in cui tra di noi non era altro che il fumo della sigaretta e il rumore del temporale. - Potevamo andare al mare, - disse - come volevo io. Invece poco ci manca che ci ammazziamo per vedere quattro paesi che nessuno conosce. Per vent'anni avevo lavorato e vissuto in quei luoghi. Lisa lo sapeva. - Ci sono cresciuto qui, ci ho giocato, ci ho lavorato, ci ho sudato. Poi un bel giorno ho dovuto andarmene, per te, per il lavoro, per la città. Lisa si voltò per vedere dove indicassi. C'era un vecchio ciliegio, al limitare dello spiazzo erboso di fronte alla cascina, d'una specie che produce frutti piccoli e pallidi, ma dolcissimi. - Si lo vedo. Cosa c'entra adesso ? Lisa si voltò, piano. Mi appoggiò la testa sulla spalla. Qualcosa le si era mosso dentro, lo sentivo. Le passai un braccio intorno alla vita. Rimanemmo così per lungo tempo, in silenzio, ascoltando il rumore della pioggia che andava scemando, e il cupo rimbombo del tuono sempre più lontano. Passarono lunghi minuti.
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